Annientamento è il primo tassello di una trilogia fantascientifica che si chiama The Southern Reach, scritta dallo statunitense Jeff Vandermeer e pubblicata in Italia da Einaudi a partire dal 17 marzo, con l’uscita di questo primo romanzo, a cui seguiranno gli altri due volumi a distanza molto ravvicinata: a giugno il secondo, Autorità, e a settembre il terzo, Accettazione.
Per chi non ne avesse mai sentito parlare, Jeff Vandermeer è uno scrittore decisamente interessante, anche se poco noto in Italia. Insieme alla moglie, Ann, ha coniato qualche anno fa la definizione di new weird, evoluzione di un genere — il weird — molto popolare negli Stati Uniti, soprattutto nel mondo della narrativa breve e nel fumetto anni Sessanta e Settanta.
Il new weird è un genere ibrido che parte dal punto di incontro di fantascienza, fantasy e fantastico e che va oltre
Secondo la definizione dei Vandermeer, il new weird è un ibrido del macrogenere fantastico, che supera il fantasy à la Tolkien mescolando alcuni dei temi e degli ingredienti tipicamente fantasy e fantastici — la magia, il soprannaturale, il bizzarro e lo straniante — con elementi di forte realismo nell’ambientazione e nei personaggi. Un genere che oltrepassa i generi, insomma, che parte dal punto di incontro di fantascienza, fantasy e fantastico e che va oltre, mantenendo spesso la componente allegorica tipica del fantasy, ma oltrepassando con realismo e un briciolo di pessimismo la distinzione categorica e un po’ consolatoria tra bene e male.
Ma torniamo al libro. Perché quello che il lettore si trova tra le mani non è un libro come tutti gli altri e lo si capisce già a partire dal progetto grafico, affidato a uno dei migliori disegnatori italiani del momento, Lorenzo Ceccotti, che ha disegnato tre copertine veramente impressionanti per forza espressiva e per tecnica — che a detta dell’autore, ibrida e mescola disegno digitale con tratto “analogico”, pantoni acidi con classici colori tipografici, stampa tipografica con tecniche serigrafiche — copertine avvolgenti che non ci aspetteremmo nei Supercoralli, la prestigiosa collana di Einaudi in cui è stata inserita la trilogia.
Lo straniamento è una presenza costante in tutto il romanzo, insieme a una sensazione di disagio, di inquietudine permanente, e a una tensione in crescita costante
Lo straniamento è anticipato graficamente dalla copertina, ma non si ferma certo lì. È una presenza costante in tutto il romanzo, insieme a una sensazione di disagio, di inquietudine permanente, e a una tensione in crescita costante sia nella voce narrante, che nella testa dei lettori che ne seguono il racconto procedendo a tentoni insieme a lei in un mondo di cui fa sempre più parte ma che non riesce a capire fino in fondo.
La ricetta dell’inquietudine di Jeff Vandermeer non è molto complessa e potremmo riassumerla così: prendi una serie di personaggi senza nome, quattro, definiti semplicemente secondo la loro professione — una biologa, un’antropologa, una topografa e una psicologa — e senza volto, visto che mai vengono descritti fisicamente. Portali in un luogo misterioso, l’Area X, ostile, attraversato da forze sovrannaturali, contaminato, riconquistato da una natura bizzarra, in cui le uniche vestigia umane sono un faro abbandonato e un pozzo inquietante che, lo si capisce alla prima riga, non è quello che sembra. Dai loro una missione altrettanto misteriosa e fai loro fare i conti con una presenza costante, inquietante, pervasiva, tanto naturale quanto sovrannaturale, capillare sia nella natura che fa da sfondo, sia nei personaggi che ci si muovono dentro e che da quella natura sono influenzati fino alla contaminazione.
L’indeterminatezza avvolge tutto ciò che è legato all’essere umano: i nomi delle protagoniste, i loro volti, gli spazi in cui si muovono, le sensazioni che provano. E l’inquietudine dilaga e conquista ogni cosa, a partire dalla voce narrante, quella della biologa, sostanzialmente inaffidabile, ma a cui ci affidiamo e ci lasciamo guidare senza opporre resistenza.
Annientamento è un romanzo molto delicato da raccontare. È tutto talmente legato e compenetrato che si corre facilmente il rischio di dire troppo. È un rischio che vorrei evitare, ma c’è una scena, al centro del romanzo, che mi sembra poter rappresentare in qualche modo il libro stesso e che credo valga la pena di raccontare.
Siamo a poco più di metà del romanzo, la biologa è da sola, si è avventurata lontano dal pozzo-tunnel-torre e ora si trova nel faro, che è il secondo punto di riferimento per così dire “urbanistico” dell’Area X. A un certo punto la biologa si trova davanti a una catasta marcescente composta dai diari e dai documenti delle spedizioni precedenti. La descrive così:
I diari e altri materiali formavano una montagna cadente alta circa tre metri e mezzo, larga quasi cinque, che nella parte bassa si era chiaramente trasformata in concime organico, per via della carta che marciva. Scarafaggi e pesciolini d’argento si prendevano cura di quegli archivi, insieme a minuscole blatte nere con le antenne sempre in movimento. Sul fondo vidi traboccare resti di fotografie e decine di cassette mescolate alle pagine decomposte. Anche lì trovai tracce di topi. Per scoprire qualcosa avrei dovuto calarmi in quel letamaio da una scaletta inchiodata all’orlo della botola e arrancare su una franosa collina di poltiglia sfaldata.
In qualche modo l’Area X mi sembra sia questo: un luogo in cui la natura contagia un’umanità che, come la montagna di documenti che ha prodotto, si sfalda, marcisce, si arrende alla natura. E quel che resta è una montagna marcescente e putrida che contiene, e nello stesso momento rappresenta, un mistero la cui spiegazione si può trovare soltanto affrontandola, calandocisi dentro, lasciandosi contagiare.
Un libro molto riuscito, che ha contemporaneamente del disturbante e dell’affascinante
Jeff Vandermeer vince la sua prima battaglia calandosi e calandoci nel mistero, più che affrontando l’inquietudine abbandonandocisi, scrivendo un libro molto riuscito, che ha contemporaneamente del disturbante e dell’affascinante, un libro a cui ci si arrende subito e che si insegue fino in fondo. Un libro che sarei molto curioso di dare in mano a un disegnatore come Charles Burns, uno che, al pari di Jeff Vandermeer, sa bene come inoculare dentro il lettore, ma anche nei suoi personaggi, un’inquietudine ossessionante e irresistibile.