In qualsiasi disciplina creativa, dal cinema al calcio, dalla letteratura alla pubblicità, ci sono due tipi di genio: quello che si accontenta di portare ai massimi livelli la propria arte grazie al dominio assoluto dei mezzi che ha a disposizione per farla, e quello che non si accontenta, e oltre a fare come un dio quel che fa, prende il testimone che si è trovato in mano e lo porta più avanti rispetto a dove lo ha trovato. Il fumettista americano Scott McCloud fa parte del secondo gruppo, uno di quelli che guardano avanti.
Ma c’è un’altra caratteristica che rende McCloud un interlocutore pressoché unico nel panorama mondiale: grazie al suo sguardo rivolto al futuro e alla mancanza assoluta di ogni tipo di paura o timidezza verso le nuove tecnologie — una dote che nell’arte non è così comune — McCloud è uno che da almeno vent’anni prova a immaginare il futuro dell’arte del fumetto, arrivando a teorizzare cose che per quasi tutti gli altri sono pura fantascienza e andare, almeno con l’immaginazione, ben oltre i confini della pagina.
Abbiamo incontrato McCloud nella sede di Bao Publishing, la casa editrice che lo pubblica in Italia, in occasione del suo tour mondiale di ottanta giorni — sì, sul serio, proprio come quello di Phileas Fogg e Passepartout di Jules Verne — per la presentazione della sua nuova graphic novel, l’imponente Lo scultore.
Con l’avvento massiccio delle tecnologie digitali, cosa sta cambiando nel modo di fare i fumetti? Ci sarà più da perdere o più da guadagnare?
Qualcuno se ne avvantaggerà, qualcuno ci perderà qualcosa. Io sono tra quelli che ci guadagnerà. La ragione è che ho una mano difficile e non sono mai soddisfatto del primo risultato. Quindi un ambiente che mi consente facilmente di correggere, risistemare, spostare elementi, ingrandire dettagli, rimpicciolirne altri, per me è una vera pacchia. Non ho mai avuto la fluidità e la facilità di tratto che altri artisti hanno, per me le nuove tecnologie digitali sono state e saranno sempre più un regalo veramente fantastico. Uso costantemente Photoshop, ma ancor di più uso una tavoletta grafica che si chiama Cintiq, che rispetto alle altre ha la caratteristica di essere innanzitutto più grande, ma soprattutto di essere sia tavoletta che schermo, permettendomi di disegnare direttamente sullo schermo. Per me è uno strumento ancor più naturale della pagina ed è qualcosa che stavo aspettando da quando avevo vent’anni, ho dovuto aspettare un pochino, ma ora finalmente è arrivata.
«Non ho paura del digitale, per me la mano è solo una schiava al servizio della mia immaginazione»
Quindi non succederà nulla di apocalittico?
No, no, per niente, almeno non per me. Sai, mio padre era un ingegnere, uno scienziato. Ho imparato a non temere, anzi ad amare e soprattutto usare la tecnologia molto precocemente. È nella mia natura percepire queste innovazioni come un arricchimento del campo da gioco. Per altri forse è diverso. Ci sono artisti per cui la mano è un vero e proprio strumento e per i quali passare al digitale potrebbe forse essere un trauma, ma per me la mia mano è solo una schiava al servizio della mia immaginazione, e gli strumenti digitali che ho finalmente a disposizione sono un alleato perfetto per la mia mente e per i miei occhi.
«L’idea alla base è semplice: trattare lo schermo non come pagina, ma come una finestra»
Nel futuro si può prospettare la caduta dei confini della pagina, cosa accadrà?
Sì, certo, è assolutamente possibile, è una teoria a cui io personalmente penso dalla metà degli anni Novanta e che ho chiamato Infinite Canvas. L’idea alla base è semplice: trattare lo schermo non come pagina, ma come una finestra. Mettendo centinaia, se non migliaia di vignette su un singolo piano in cui il lettore può muoversi. È un vantaggio incredibile. Permetterebbe finalmente al lettore di usufruire di un oggetto realmente nuovo, che mantiene l’identità artistica del fumetto, ma che non somiglia a nessun altro medium che abbiamo già visto.
Che tipo di vantaggi darebbe a un autore?
Uno dei più grandi vantaggi potrebbe essere quello che quando scegli la forma e la dimensione della prima vignetta, questa non condiziona la vignetta successiva, che non deve per forza restringersi o cambiare forma. È una dinamica che accade nella pagina stampata, perché essendo uno spazio limitato, gli elementi si condizionano per forza a vicenda. Se invece tratti lo schermo come una finestra e crei questo gigantesco muro che non finisce mai, potrai scegliere qualsiasi forma e qualsiasi dimensione sia funzionale alla tua idea, alla tua storia. Puoi trovare sul serio la forma della tua storia, senza dover ragionare sulla forma del tuo device, o della tecnologia che usi, che sia la matita e carta, o la tavoletta e un computer. Capiamo tutti bene quanto sia potente come novità, quanto allarghi le potenzialità del fumetto.
«Puoi trovare sul serio la forma della tua storia, senza dover ragionare sulla forma del tuo device, o della tecnologia che usi»
Pensa anche a un altro vantaggio: nel fumetto stampato almeno in minima parte puoi variare dimensioni e forma delle vignette, ma c’è una cosa su cui non potrai mai intervenire in maniera sostanziale, ovvero la distanza tra le vignette, che su carta è obbligata dalla pagina. Sono una di fianco all’altra, giustapposte, a ritmo frenetico. Per quasi un intero secolo è stato così: se tre vignette sono una di seguito all’altra la loro distanza è all’incirca di mezzo centimetro o poco meno, e hanno un ritmo serrato, al di là del ritmo della storia. Se aumentiamo quella distanza il ritmo cambia, si fa più lento se la storia ha bisogno di più lentezza, o si fa irregolare volendo. Questa per me è una straordinaria opportunità per la creazione di fumetti.
«Il lettore contribuisce sempre attivamente alla storia che legge perché mette in gioco una dose altissima di immaginazione»
E per quanto riguarda l’interattività?
L’interazione può essere molto interessante e potente, ma solo in certi contesti. E comunque non dimentichiamoci che il fumetto è già un medium interattivo, anche quello tradizionale. Il lettore contribuisce sempre attivamente alla storia che legge perché mette in gioco una dose altissima di immaginazione, che non è da meno di quella messa in gioco nella lettura di un libro, anche se quest’ultimo non può sfruttare le immagini. E questa immaginazione il lettore la attiva continuamente, tra ogni vignetta e quella successiva, ma anche all’interno di ogni vignetta dando vita a ciò che vede e legge. Ci sono modalità di interazione con i fumetti in un contesto digitale che sono in accordo con la natura del fumetto, che mantiene l’idea che quando ti muovi nello spazio ti stai muovendo anche nel tempo. Ma ce ne sono altre che non lo sono, quindi la cosa importante nei prossimi anni sarà capire quali di queste modalità tradisce e contraddice la natura del fumetto e quali invece la potenziano e la amplificano, arricchendo potenzialmente l’arte del raccontare storie a fumetti. Ma questa è una dinamica in corso, e noi ora ci troviamo proprio nel mezzo, vedremo dove ci porterà.
«Non dimentichiamocelo mai, dobbiamo capire l’effetto che le sperimentazioni hanno sui lettori, sono loro che determinano cosa ha futuro o meno»
Credi che sia possibile ideare dei fumetti in cui i lettori possano avere parte attiva nelle decisioni narrative?
Sì, certo che è possibile, ne ho visti. Ma ci sono tante modalità di interazione diverse e credo che dovremmo analizzare teoreticamente la loro funzionalità e la loro pertinenza con il linguaggio del fumetto. Ma soprattutto, non dimentichiamocelo mai, dobbiamo capire l’effetto che ha sui lettori, perché alla fine sono loro che determinano se una forma o un’altra hanno futuro o meno. Sarà decisivo capire cosa li annoia, cosa li diverte, cosa li disturba, se le nuove forme di interazione sembreranno loro naturali o no. Anche qui, stiamo a vedere.
«Nel futuro, almeno negli Stati Uniti, ci saranno sempre più donne che faranno fumetti ed è una grande opportunità»
Il fumetto sta guadagnando lettori e lettrici in tutto il mondo, cosa porterà nel futuro questo allargamento del mercato?
Il futuro del fumetto sarà rigoglioso se sarà diversificato e ricco. La ricchezza e la diversità si possono avere in svariati modi, sia sulla carta che in digitale; può essere una ricchezza di soggetti e di argomenti, ma anche diversità e ricchezza di lettori. Ci sono sempre più autori dal background diverso che approdano al fumetto. E poi abbiamo un popolo sempre più variegato che legge fumetti ora: ci sono sempre più donne, per esempio. Negli Stati Uniti la maggior parte del pubblico giovanile pare sia composta da donne, e se una parte di queste lettrici — che un paio di decenni fa non c’erano — dopo la scuola decideranno di dedicarsi al fumetto, noi potremmo assistere entro un decennio, quanto meno negli Stati Uniti, a un aumento vertiginoso delle donne che fanno fumetti. È una grande opportunità per l’industria del fumetto.
«Il fumetto non si guarda, si legge. Perché se il lettore non anima il fumetto con la propria volontà e la propria immaginazione, qualcosa non funziona»
Un’ultima domanda: il fumetto si legge o si guarda?
Il fumetto non si guarda, si legge. Perché se il lettore non anima il fumetto con la propria volontà e la propria immaginazione, quel fumetto non è un fumetto, o al limite è un fumetto pessimo. Ci sono esperimenti su web di motion comics, ma a me più che fumetti sembrano piuttosto clip che aspirano ad essere film o show televisivi. Non sono fumetti proprio perché abbandonano tutto ciò che rende un fumetto un fumetto. Non voglio certo chiudere la porta in faccia ai tentativi di mutazione dell’arte del fumetto — tutto deve essere tentato — ma quelli che spingono così lontano i propri tentativi, credo che si allontanino dal fumetto e arrivino ad tutt’altre cose. E poi io credo che l’esperienza di lettura non debba soltanto essere “divertente”, ma debba anche avere una purezza di forma, la forma deve essere semplice, una storia deve essere raccontata con strumenti semplici. Il cinema racconta le storie attraverso l’arte cinematografica, la letteratura attraverso l’arte letteraria. Ci sono idee semplici, e quando mantieni le idee semplici la forma svanisce, e la storia e il contenuto diventano visibili, reali e accerchiano il lettore. Questo è quello che ci serve: storie in cu i lettori si possano perdere, è facendo così che i lettori continueranno a tornare sui fumetti. E questo significa che dobbiamo restare fedeli alla semplicità dell’idea che sta alla base alla base del fumetto, ovvero che quando ti sposti nello spazio ti stai spostando nel tempo, e fare fumetti che siano fumetti.