Forza Italia si spacca in Puglia, la Lega si divide in Veneto, la rottura a sinistra, invece, si consuma in terra ligure. Ogni regione ha la sua pena. Ogni elezione, il suo partito dilaniato da scontri interni. Il voto del 31 maggio servirà per rinnovare sette amministrazioni, ma con buona pace degli elettori sarà soprattutto un regolamento di conti. Le correnti diventano partito e sfidano la vecchia dirigenza. È così un po’ ovunque.
Tra Salento e Gargano va in scena in questi giorni il duello dentro Forza Italia, o in quel che ne resta. Da una parte Silvio Berlusconi, in campo per sostenere la candidatura di Adriana Poli Bortone. Dall’altra Raffaele Fitto, ex delfino ribelle, al fianco del chirurgo Francesco Schittulli. Nessuno lo ammette, ma la corsa è per il secondo posto. Il vero avversario non è Michele Emiliano, il candidato di centrosinistra favorito per la vittoria. L’obiettivo è superare il concorrente interno, accreditarsi a suon di preferenze come la vera alternativa al renzismo dilagante. Sono le prove generali di una scissione che con la Puglia ha poco a che vedere. Qui vincere non è importante, essenziale è arrivare prima dell’ex compagno di partito.
Intanto le agende dei due leader si rincorrono freneticamente. In Puglia saranno due giorni di comizi paralleli. Mentre Fitto è in campagna elettorale permanente per presentare la sua lista, tra stasera e domani il Cavaliere sarà a Bari e Lecce, dove interverrà davanti ad alcune migliaia di militanti. La spaccatura ufficiale di Forza Italia è solo rimandata. I gruppi parlamentari legati all’ex governatore pugliese lasceranno Forza Italia dopo le elezioni. Nessuna improvvisazione, a Montecitorio e dintorni i ribelli lavorano con il pallottoliere già da tempo. Alla Camera dovrebbero allontanarsi in una quindicina. Qualcuno di più, forse, al Senato. Ma non è escluso che alla scissione possano partecipare anche i parlamentari vicini a Denis Verdini, altro dirigente del partito in rotta con i vertici.
Ogni regione ha la sua pena. Ogni elezione, il suo partito dilaniato da scontri interni
Dalla Puglia si percorre la costa adriatica fino in Veneto. Altro voto regionale, altra faida. Nel ricco Nordest a spaccarsi è la Lega Nord, il partito in forte crescita nei sondaggi che molti attendono alla prima vera prova del voto. Qui l’astro nascente di Matteo Salvini deve scontrarsi con la – piuttosto limitata a dire il vero – opposizione interna. È quella di Flavio Tosi, uscito dal Carroccio per potersi candidare contro il governatore uscente, il leghista Luca Zaia. La metafora calcistica del derby non è la più calzante, più corretto richiamare l’immagine del conte Leopold Von Sacher-Masoch, padre nobile del masochismo. Nonostante il voto si avvicini, infatti, in Veneto Tosi naviga attorno al 10 per cento. Percentuale più che onorevole, ma identica a quella che aveva a inizio campagna elettorale. Fermo alle cifre di un mese fa, difficilmente il primo cittadino di Verona potrà aspirare alla conquista di Palazzo Balbi. Piuttosto, assicurano i maligni, il suo obiettivo è far perdere Zaia. Una candidatura di rappresentanza per dimostrare di essere indispensabile, insomma. Una ripicca. I sostenitori di Tosi non sono d’accordo: ben radicato nella sua città, meno altrove, il sindaco scaligero punta più in alto. Sogna di candidarsi alla guida del centrodestra italiano. Le Regionali? Sono solo il primo banco di prova del suo progetto politico. Per il momento Zaia non sembra correre troppi rischi. Gli ultimi sondaggi accreditano al presidente uscente almeno dieci punti di vantaggio sull’avversaria di centrosinistra, Alessandra Moretti. La stessa che pochi giorni fa ha firmato una nota congiunta con Tosi per denunciare la poca disponibilità del governatore al confronto pubblico.
Si resta al Nord, ma cambiano regione e schieramento politico. In Liguria si pesano le aspettative – e forse anche il futuro – della sinistra alternativa al premier. Con coraggio non comune, qualche mese fa il deputato Luca Pastorino ha lasciato il Partito democratico per candidarsi a governatore e sfidare Raffaella Paita. La vincitrice delle discusse primarie di centrosinistra. Attorno al sindaco di Bogliasco si è raccolta l’area di sinistra alternativa a Renzi. C’è Pippo Civati, suo amico. Sinistra Ecologia e Libertà. Ma anche l’ex leader Cgil Sergio Cofferati, il candidato sconfitto alle primarie. Quella di Pastorino – accreditato dai sondaggi fino al 13 per cento – rischia di diventare una presenza ingombrante. Non solo per la proposta politica avanzata, ma per le ripercussioni sull’equilibrio della partita. Secondo gli esperti il candidato berlusconiano Giovanni Toti e la democrat Paita sarebbero ormai appaiati. Un testa a testa sul filo dei voti, che potrebbe facilmente pendere a favore di questo o quel contendente. Quella che per il Pd sembrava una vittoria quasi scontata, diventa una scommessa. Ecco allora che in Liguria si misurano la forza e le prospettive di un movimento in grado di unire la sinistra. Renzi teme l’esito del voto, anche per questo si è già speso molto a favore della sua candidata. Ma il rischio è più grande e supera ancora una volta i confini della regione. Se i voti di Pastorino dovessero risultare determinanti, lo scenario potrebbe ripetersi altrove. E il progetto di un partito di sinistra alternativo alla linea renziana potrebbe velocemente prendere piede.