Dietro ogni start up, o quasi, c’è un istante di epifania. È il momento preciso in cui viene un’idea, come una specie di illuminazione. Succede spesso di avere idee del genere, a chi più e a chi meno, a qualcuno quasi ogni giorno. E se quasi sempre sono idee che non portano a niente, piccole infatuazioni di pochi istanti, altre volte — raramente — si rivelano essere idee buone e, restando nel retrocervello il tempo giusto per maturare, dopo un po’ diventano il seme di una start up. Come è successo a Narratè, startup che è nata per commercializzare un prodotto di food design, composto da un libretto collegato a una teabag, la cui durata di lettura dura esattamente il tempo d’infusione.
Narraté, che come startup si è vista assegnare la Menzione speciale del bando Alimenta2Talent del Parco Tecnologico Padano, è stata anche selezionata per rappresentare la creatività italiana applicata al Food nella finale internazionale della Creative Business Cup, che si svolgerà a Copenaghen dal 17 al 19 novembre 2015.
Narratè rappresenterà la creatività italiana applicata al Food alla Creative Business Cup, che si svolgerà a Copenaghen dal 17 al 19 novembre 2015.
«Una notte ero insonne e ho deciso di farmi una camomilla», ci racconta Adriano Giannini, fondatore e CEO di Narratè. «Poi, mentre aspettavo i cinque minuti di infusione non sapevo che fare e mi son messo a leggere il foglietto degli ingredienti della camomilla. È stato in quel momento che ho pensato che avrei potuto leggere, nello stesso tempo, qualcosa di più interessante. Da quella notte di qualche anno fa ho iniziato a pensare meglio a quell’idea, a strutturarla. Naturalmente ci sono stati tanti passaggi e tantissimi rallentamenti».
Perché?
Perché all’inizio, come capita quasi sempre, l’idea così com’è presenta dei problemi quando si prova a metterla in pratica. Io all’inizio pensavo di usare le bustine di tè industriale e legare a quella un libricino delle stesse dimensioni, ma risultava illeggibile. Poi c’erano problemi tecnici di costruzione e produzione.
Per esempio?
Chi produce questo genere di prodotto lavora su bobine già stampate, solo da assemblare. E per come l’avevo immaginata, avevo bisogno di altro. Per quanto l’idea in sé mi convinceva — ovvero proporre un’esperienza culturale da affiancare all’alimento, in questo caso il tè, per consumare l’alimento in modo nuovo, per aggiungere valore al gesto — ci è voluto qualche anno per arrivare a trovare una serie di soluzioni che ci ha permesso, ad oggi, di avere un prodotto commercializzabile.
A che fase siete della produzione?
Al momento abbiamo realizzato un primo lotto di campioni non destinati alla vendita. Sono 1000 pezzi, e siamo risuciti a realizzarli grazie a un bando della Regione Lombardia dedicato alle start up che si muovevano nell’ambito della creatività e dell’innovazione. Grazie a questo piccolo finanziamento — si parla di poche migliaia di euro — siamo stati in grado di approntare una prima prototipazione con la quale abbiamo fatto dei test di due tipi. Il primo è stato testare la filiera; il secondo è stato un test qualitativo, più diretto verso il potenziale target.
Come avete fatto?
Abbiamo proposto il prodotto a una serie di persone scelte tra il target potenziale e abbiamo chiesto loro cosa ne pensavano. E i risultati sono stati molto promettenti, visto che su una scala decimale, la media dei giudizi e delle varie voci si è stabilizzata intorno al 8,6. È molto alta. Certamente non è attendibile come un’analisi di mercato approfondita, visto che il pubblico scelto era di sole 100 persone. Ma ci ha dato ottimi spunti per migliorare il prodotto e per andare avanti. Banalmente abbiamo capito che il nome era azzeccato, abbiamo avuto interessanti indicazioni sulla fascia di prezzo a cui potevamo metterlo in vendita (indicazioni che ci hanno stupito, perché noi stimavamo un prezzo più basso). Ma anche altro: se le dimensioni del testo erano adatte alla lettura, se i testi scelti erano apprezzati, se la stessa infusione che proponevamo era accettata.
Quando lo metterete in commercio?
Ora siamo in fase di market test, che opereremo in 4 punti vendita di Milano, la Red di Feltrinelli in piazza Gae Aulenti, il Touring Club Italiano, in corso Italia, la libreria Open di viale Montenero e il Caffé La Scala, proprio di fronte al teatro. Con tutti e quattro abbiamo un accordo, ma partiremo dopo l’estate, credo a inizio di settembre, giusto il tempo di far passare questo gran caldo, insomma.
Che sviluppi avete in mente?
Stiamo anche cercando di capire come sviluppare ulteriormente il progetto, soprattutto in tre direzioni. La prima è un prodotto che vorrebbe essere una specie di Lonely Planet del gusto di ogni città italiana. Abbiamo iniziato con un prototipo su Milano, realizzando una teabag con un infuso inedito di tè, cannella e zafferano, con allegato un testo di cinque minuti che spiega l’anima della città. La seconda è la strada del corporate storytelling, per proporre alle aziende un modo nuovo di raccontarsi, che punti molto sul racconto e sul gusto, come una nuova modalità di storytelling. Una strada parallela a quella dell’event storytelling, ovvero la comunicazione di un evento attraverso la narrazione e, anche qui, il gusto. Il prototipo in questo caso l’abbiamo fatto su Expo, proponendo, insieme a un testo estratto dal libro Expottimisti di Giacomo Biraghi, un infuso fatto con ingredienti scelti da ogni continente del mondo.
E la terza direzione?
La terza strada che crediamo possa prendere il progetto è quella della comunicazione culturale. Ovvero, abbinare a delle miscele un testo estratto da un classico, così da promuovere la lettura sfruttando un momento di concentrazione e che di solito è ritenuto tempo perso, quello di attesa per l’infusione.