Pubblichiamo la replica dell’Ufficio stampa della Pirelli all’articolo “Tronchetti Provera e il tradimento dell’eredità di Leopoldo Pirelli” e la controreplica dell’autore dell’articolo, Beniamino Andrea Piccone.
Gentile Direttore,
la ricostruzione fatta nell’articolo “Tronchetti Provera e il tradimento dell’eredità di Leopoldo Pirelli”, a firma di Beniamino Andrea Piccone, e la successiva replica al dottor Enrico Parazzini, contengono falsità ed inesattezze che denotano la scarsa conoscenza dell’argomento su cui l’autore del pezzo si cimenta.
1) È falso che “la scalata fallita a Continental si chiude peraltro in profitto, grazie alla svalutazione della lira”. Come risulterebbe a chiunque si fosse documentato un minimo, e anche dalla lettura del libro di Carlo Bellavite Pellegrini (capitolo VI pag. 224), citato dal dottor Piccone, al termine del 1991 Pirelli registrò perdite per “i rilevanti costi, oneri, indennizzi e svalutazioni relative all’operazione Continental” per 350 miliardi di lire dell’epoca. Il libro, tra l’altro, ricostruisce in modo dettagliato, la complessa opera di ristrutturazione e rilancio del Gruppo Pirelli effettuata dal dottor Tronchetti Provera in seguito al fallimento dell’operazione con Continental. Di tutta questa parte, stranamente, nell’articolo di Piccone non c’è traccia;
2) È falso anche che “Tronchetti Provera vende tutte le attività che la Telecom aveva acquistato all’estero, in mercati a forte crescita, salvo poi accumularne di più per fondere Tim con Telecom”. Come ampiamente documentato nel tempo attraverso diverse fonti pubbliche mai smentite e facilmente accertabile anche attraverso la consultazione dei bilanci Telecom, durante la gestione Pirelli furono cedute quasi esclusivamente partecipazioni di minoranza che non consentivano alcun potere gestionale. L’autore dell’articolo ignora la crescita avvenuta sotto la gestione Tronchetti in Brasile, dove si passò dai 5,3 milioni di clienti del 2002 ai 25,4 milioni del 2006. Nel broadband europeo Telecom Italia passò dai 160 mila clienti del dicembre 2003 tra Olanda, Francia e Germania agli 1,9 milioni di fine 2006. In termini di ricavi, le attività internazionali di Telecom Italia passarono dai 3.681 milioni di euro del 2001 (11,9% del totale) ai 5.072 milioni di euro del 2006 (16,2% del totale).
Per quanto riguarda l’integrazione Telecom-Tim, anche post fusione il debito complessivo del Gruppo Telecom era significativamente inferiore a quello ereditato dalla gestione precedente. L’integrazione tra Telecom e Tim mirava a sfruttare al meglio la convergenza telefonica fra piattaforme fisse, mobili e contenuti che avrebbe reso possibile una nuova generazione di servizi e di offerte. Un’operazione apprezzata all’epoca da molti operatori del settore e che anticipava nei tempi le strategie industriali verso le quali si indirizzano oggi gran parte delle società di telecomunicazioni;
3) Per quanto riguarda la lunga catena societaria, quest’ultima fu “accorciata” con una serie di fusioni tra Pirelli e Pirellina, tra Olivetti e Telecom, e tra Telecom e Tim. Operazioni evidentemente non significative per Piccone, ma che lo furono per il Financial Times che, nel 2005, in un articolo dal titolo Normitalia, scrisse: “Il rischio tradizionale percepito di Telecom Italia – l’abuso delle minoranze – è diminuito. Telecom Italia si fonde con TIM, la sua unità attiva nel mobile. Questo lascerà Olimpia, la società che controlla Telecom Italia, con una quota del 20%, limintandone la possibilità di comportamenti scorretti… L’indebitamento netto raggiungerà un livello elevato, pari a 44 miliardi di euro dopo la fusione con TIM. Ma, considerata la capitalizzazione di 52 miliardi di euro e i risultati operativi stabili, è gestibile… Ma, con la struttura di Telecom Italia che ora sembra normale, le preoccupazioni degli azionisti diventeranno anche queste piu convenzionali.”;
4) Sulle ingerenze della politica nella vicenda Telecom, non è solo il dottor Parazzini a fare dello “storytelling”, come lo definisce con ironia il dottor Piccone. Per memoria dei lettori riportiamo anche lo “storytelling” di Ronald Spogli, ambasciatore americano in Italia, il quale commentò come segue la rottura delle trattative con Telecom Italia: “l’Italia ha perso l’interesse da parte di un’impresa di altissimo livello (AT&T ndr), capace di migliorare i servizi di telecomunicazione, ridurre i costi per gli utenti italiani e aumentare il valore di un’azienda nazionale… Quella americana è una società in cui il governo stabilisce le regole, che in certi settori sono molto importanti e molto dure, però lascia che i settori si sviluppino nella maniera giusta. In Italia c’è una lunga tradizione di una presenza molto più forte del governo negli affari dell’economia. Negli anni a venire sarà molto importante per gli italiani determinare se questo è il sistema che loro vogliono per il futuro” (Corriere della Sera, 17 aprile 2007); quello di Rupert Murdoch, come riferisce l’articolo del Corriere della Sera del 17 aprile 2007 dal titolo“Troppa politica, devo cercare soci per Sky Italia”: “Il Gruppo Newscorp mette ufficialmente la parola fine alla trattativa con Telecom Italia. Lo ha annunciato il magnate australiano durante un faccia a faccia con gli analisti finanziari di Wall Street. In Italia, ha lasciato capire Murdoch a pochi giorni di distanza dallo scontro con Tronchetti Provera-governo, la politica si mischia troppo con gli affari perchè si possa lavorare con tranquillità”; quello di Ferruccio De Bortoli: “Tronchetti Provera fu vittima di un pregiudizio ideologico del centro sinistra (….).Con lui ho avuto anche momenti di confronto, ma devo dire che ha sempre rispettato l’autonomia dei giornalisti e che ha pagato un prezzo per la sua indipendenza” (il Sole 24 Ore, 1 luglio 2015); e quello di Paolo Mieli: “in questi anni si sono raccontate le bande di destra, ma non le bande di sinistra che pure ci sono state e che l’hanno fatta franca, ma non credano che gli storici dimentichino.” (Il Sole 24 Ore, 1 luglio 2015);
5) Per quanto riguarda la stock option derivante dalla vendita delle attività fotoniche della Pirelli, la storia è molto diversa e il contesto in cui maturò dovrebbe essere spiegato se l’intento fosse quello di fare un’analisi serena, seppur critica. Ma l’approccio dell’articolo fondato su slogan e luoghi comuni non consente deroghe. Sul sito della Pirelli, a questo link si possono trovare informazioni dettagliate;
6) È falso che “i russi di Rosneft vengono sostituiti nel 2015 da ChemChina”. I soci russi di Long-Term Investments Luxembourg S.A. (società controllata dal Fondo Pensioni Neftegarant), nell’attuale riassetto reso pubblico da Camfin e ChemChina, rimangono azionisti, al fianco dei soci cinesi e italiani;
7) Tronchetti non ha firmato alcun “patto con il diavolo… per mantenere i benefici privati del controllo pur detenendo la minoranza del capitale complessivo” nè tantomeno per questo è costretto a firmare “con gli operatori di private equity”. Nei 143 anni di attività dell’azienda (1872-2015) l’azionista di riferimento di Pirelli non ha mai detenuto una quota di capitale ordinario con diritto di voto superiore al 10-15% dello stesso. L’operazione con i fondi di private equity è stata funzionale a una profonda riorganizzazione industriale del Gruppo che ha portato all’ingresso nel capitale di Camfin prima dei russi di LTI e successivamente di ChemChina;
Sono quindi tali e tanti gli errori contenuti nell’articolo, che emerge chiara la volontà non di ricostruire una storia, ma di riproporre un pregiudizio. Uno “storytelling”, anzi, per dirla con il dottor Piccone, logoro al punto di necessitare di una dose fuori misura di falsità e, cosa triste, anche della strumentalizzazione della memoria dell’ingegner Leopoldo Pirelli.
Ufficio Stampa Pirelli
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Replica di Beniamino A. Piccone all’Ufficio stampa Pirelli – Milano, 31 agosto 2015
In Pirelli e nel suo entourage – vedasi replica di Enrico Parazzini, ex Chief Financial Officer di Telecom Italia – viene applicato l’atteggiamento filosofico di Papa Ratzinger, per cui non esistono verità relative, ma solo verità assolute e dogmi. Ne deriva che coloro che la pensano in modo diverso su vicende complesse come la storia dell’investimento di Pirelli in Telecom Italia “diffondono falsità e inesattezze”, forniscono “verità parziali e non veritiere”, “denotano scarsa conoscenza dell’argomento”. Grazie al Secolo dei Lumi esistono anche le verità relative, per cui replichiamo per punti con ragionevolezza e spirito critico.
1) È falso – dice l’Ufficio Stampa Pirelli – che “la scalata fallita a Continental si chiude peraltro in profitto”. Bellavite Pellegrini nel suo Pirelli. Innovazione e Passione, 1872-2015, scrive: “All’inizio di aprile (1993, 5 aprile) la vicenda di Continental che si trascinava da settembre 1990, si chiuse con una buona plusvalenza a beneficio di Pirelli”, cedendo le azioni al prezzo di 250 marchi per azione, mentre il valore di carico nel bilancio Pirelli era di 207 marchi per azione (p. 242, e nota).
2) L’Ufficio stampa Pirelli scrive: “Durante la gestione Pirelli furono cedute quasi esclusivamente partecipazioni di minoranza che non consentivano alcun potere decisionale”. Visti i mediocri risultati di gestione di Telecom, forse sarebbe stato meglio delegare ad altri tramite partecipazioni di minoranza. Perchè ad esempio Telecom Italia non è presente in alcun modo nella telefonia mobile in India, il mercato a più alta crescita del mondo? Perchè Tronchetti decise di vendere la partecipazione in Bharti Airtel (acquistata da Colaninno), leader in India nel mobile e numero 2 nel fisso. Un gravissimo errore. La partecipazione oggi vale miliardi di euro. Bisognava fare cassa perchè il debito era alto. Semplice, Watson. Come le nazioni indebitate oltre un certo livello crescono meno (cfr. R. Reinhart, K. Rogoff, This time is different, 2009), così le società meno patrimonializzate con necessità di dare dividendi al piano di sopra stentano a crescere. Fare un aumento di capitale? Non sia mai, altrimenti si perde il controllo. E “comandare – come si dice in Sicilia – è megghiu che fottere”.
3) Una delle debolezze del capitalismo italiano sta nella miriade di scatole cinesi che consentono di controllare una società quotata pur se l’impegno patrimoniale dei “furbi” è risibile. Il caso Pirelli Telecom prosegue nel mantra cucciano “le azioni si pesano e non si contano”. L’articolo del Financial Times citato dice “che il rischio di abuso delle minoranze è diminuito”, non che non esiste più. Il capitalismo italiano è pieno di horror story dove i benefici privati del controllo sono stati estratti a spese dei risparmiatori, definiti, non a caso, “parco buoi”.
4) Attribuire alla politica i “risultati della gestione caratteristica in costante riduzione (Bellavite Pellegrini, cit., p. 429) sotto la gestione Trochetti rimanda alla cultura dell’alibi di cui al punto 8. Evidentemente il focus sul debito e una strategia non esaltante ha impoverito la società, indebitata anche per pagare dividendi a Olimpia, indebitata a sua volta con le banche. Marco Onado ha spiegato con chiarezza: “Il peso del capitale sul totale attivo rimane intorno al 30 per cento, ma solo perché è stato drasticamente ridotto il denominatore, dunque perché gli investimenti sono stati tenuti al minimo e sono state dismesse attività (il totale attivo diminuisce del 12 per cento nel periodo). Ma il fatto importante è che la redditività di base cala drammaticamente perché il vecchio business non può dare più i margini di una volta. La cash cow ha esaurito il latte: in soli sei anni il rapporto fra margine netto (ebit = earnings before interest and taxes) e ricavi totali crolla dal 19 al 6,5 per cento. Ovviamente a questo punto, non ci sono più risorse per pagare gli interessi. Se nel 2007 questi ultimi (al netto dei proventi finanziari) assorbivano più di un terzo del margine, oggi non sono più sufficienti e portano il bilancio in rosso (Lavoce.info, Una triste storia di capitalismo italiano, 1.10.2013).
Dato che Ufficio stampa Pirelli sottolinea la bontà di un eventuale accordo Telecom-Murdoch, al fine di cavalcare l’integrazione tra telco e media, è utile ricordare che gli investimenti di Telecom nel settore dei media sono stati disastrosi: dal 2002 a metà 2006, le televisioni del gruppo hanno fatturato 550 milioni, perdendone 350 (prima di oneri e tasse).
5) Visto che viene citato Ferruccio De Bortoli, definito da Bellavite Pellegrini “osservatore attento, competente e imparziale”, lo stesso direttore del Corriere della Sera in una lettera a Tronchetti del 14 marzo 2011 scrive in relazione alla fusione Telecom-Tim: “Non è venuto il momento dopo tanti anni di spiegarla un po’ meglio? Noi, modesti cronisti economici, ne abbiamo compreso la ragione: far risalire dividendi accorciando la catena di controllo. Ineccepibile. Ci sono dei momenti, nella storia delle aziende, in cui gli interessi degli azionisti non necessariamente coincidono con le esigenze di sviluppo e degli investimenti delle società che controllano” (ibid., nota p. 411).
6) Le stock option a beneficio di Tronchetti Provera derivanti dalla vendita di Optical Technologies a Corning non hanno pari in Italia. Neanche Sergio Marchionne, che ha letteralmente salvato la Fiat, ha incamerato somme simili (79 milioni di euro netti, secondo una replica di Tronchetti a Massimo Mucchetti). Il fatto è che le stock options sono nate con la ratio di motivare i manager dell’azienda, non di premiare l’azionista di maggioranza relativa. La comunicazione di Pirelli si superò quando sostenne che “le stock option non furono richieste da Tronchetti Provera o da altri amministratori di Pirelli, bensì dalle banche d’affari che stavano predisponendo la quotazione al Nasdaq di Otusa, la società poi venduta a Corning, come elemento indispensabile per dimostrare al mercato la fiducia e l’impegno del top management allo sviluppo dell’azienda”. Le stock option in una società controllata dove non si hanno poteri gestori è il massimo dei minimi. Da quando in qua le banche d’affari impongono qualcosa? Sono pagate (profumatamente) per seguire le disposizioni del mandante. Hugo Dixon, già responsabile della Lex Column del Financial Times, ebbe a scrivere nell’ottobre del 2000 su www.breakingviews.com che le stock options concesse dal Consiglio di amministrazione Pirelli a Tronchetti, Buora e Morchio erano una “pessima pubblicità per il capitalismo italiano”.
Sarebbe bello un giorno vedere sul sito Pirelli una tabella con i compensi (totali) di Tronchetti Provera comparati con quelli presi dall’Ing. Leopoldo Pirelli.
7) “È falso che i russi di Rosneft vengono sostituiti da ChemChina”. Aggiungo, mi pareva ovvio, come azionista di controllo. Da ora in poi l’azionista di maggioranza relativa è ChemChina.
8) Meno male che si torna sui benefici privati del controllo perchè nel volume agiografico di Bellavite Pellegrini non se ne parla mai. Chi scrive condivide l’opinione di Alessandro Penati che l’11 settembre 2006 scriveva su Repubblica: “Le dimensioni di una società telefonica sono incompatibili con la presenza di un gruppo di controllo a miglior difesa degli azionisti di Telecom e degli interessi nazionale sarebbe dunque una società a capitale diffuso con un managemet scelto solo in base a capacità e risultati. Senza badare a pedigree e passaporti”
Invece di dare la colpa agli altri – classica cultura dell’alibi di cui parla spesso il coach Julio Velasco – Tronchetti Provera sarebbe stato più credibile se avesse ammesso l’enorme errore di valutazione nel comprare il controllo di Telecom Italia con un premio di maggioranza esorbitante, concependo quella che gli esperti di finanza conoscono come una delle più pericolose delle operazioni: un leverage sul leverage, cioè un acquisto a debito su un precedente acquisto a debito. Evidentemente è stato colpito da eccesso di confidenza o overconfidence, traducibile anche con presuntuosità, fenomeno ben noto in letteratura che induce le persone a confondere un bull market borsistico per (propria) intelligenza. Se dopo un’acquisizione, per diversi anni si è costretti a svalutazioni per centinaia di milioni di euro, è lapalissiano che si è strapagato.
Nel luglio 2001, prima di farsi prendere da “irrational exuberance” (pagare 4,17 un azione che in borsa Telecom Italia vale 2,25 euro), Marco Tronchetti Provera avrebbe dovuto chiamare per un consulto l’economista d’impresa Marco Vitale, che l’avrebbe invitato a leggere l’Economico di Senofonte, primo libro di management della storia. Vale la pena di leggere il passaggio, che migliaia di anni dopo Warren Buffett traduce in “price is what you pay, value in what you get”: “Per coloro che sono capaci di darsi da fare e coltivano la terra con ogni sforzo, vi è un modo di far denaro con l’agricoltura, che mio padre praticò personalmente e mi insegnò. Non permise mai che si comprasse della terra già coltivata, ma, quella che, per trascuratezza o l’incapacità dei proprietari, era improduttiva e non aveva piante. Diceva che le terre coltivate costano molto denaro e non possono essere migliorate; riteneva che le terre che non possono essere migliorate non danno altrettanta soddisfazione, e pensava che ogni oggetto di proprietà quando migliora, è una cosa capace di rallegrare moltissimo. Ma nulla presenta un miglioramento maggiore di una terra che da improduttiva diventa fertile. Tu sai bene, Socrate, disse, che noi abbiamo già moltiplicato varie volte il valore originario di molte terre. Udito ciò gli domandai: Iscomaco, le terre che tuo padre aveva dissodato, le teneva per sé o le vendeva, se trovava modo di guadagnarci molto denaro? Le vendeva, disse Iscomaco. Ma subito ne comprava delle altre, improduttive, per il suo amore per il lavoro” (M. Vitale, La Lunga marcia verso il capitalismo democratico, Il Sole 24 Ore, Milano 1989, pag. 27).
La risposta di Pirelli
Gentile direttore,
fra verità “relative” ed “assolute” noi prediligiamo la verità senza aggettivi, quella comprovata dai fatti documentati.
Saremo lieti di ospitare il dottor Piccone nella Fondazione Pirelli dove potrà consultare tutta la documentazione disponibile e dove saremo a sua disposizione per offrire tutto il supporto informativo necessario
Ufficio Stampa Pirelli