Niente referendum. Sfuma la grande scommessa politica di Pippo Civati. L’ex deputato del Partito democratico non è riuscito a raccogliere cinquecentomila firme per depositare in Cassazione gli otto quesiti che avrebbero messo in discussione le principali riforme del governo. Dalla Buona Scuola all’Italicum, passando per il Jobs Act. Eppure il leader di Possibile racconta il successo inaspettato dell’iniziativa. Raccogliere in poche settimane il consenso di 300mila elettori senza l’appoggio di altri partiti e senza la copertura dei media è un’impresa da non sottovalutare. A suo dire contro ogni aspettativa. Da qui si possono mettere le basi per creare una nuova forza politica che a breve muoverà i primi passi. Certo, l’assenza di sostegno da parte dei movimenti di sinistra non lascia ottimisti in vista di una riunificazione dell’area. «Si è persa un’occasione» riconosce Civati. Ma c’è un punto importante da cui partire: i duecento comitati sparsi nel Paese, i circa mille banchetti attivi nelle piazze, le centinaia di migliaia di persone che hanno firmato per dire la loro sulle riforme del governo Renzi.
Civati, è ancora presto per avere i numeri esatti della partecipazione popolare a questa iniziativa?
Siamo attorno alle trecentomila firme, la cifra è quella. Devono ancora arrivare i moduli da molti comuni. Purtroppo l’onda è arrivata tutta insieme, nelle ultime due settimane. A riprova di un dato politico evidente: l’idea dei referendum era buona. Le persone che volevano partecipare ci sono e sono tante. Appena si sono accese le telecamere le firme si sono moltiplicate. Con un po’ di copertura mediatica avremmo raggiunto l’obiettivo.
Al governo non sembrano essersi spaventati troppo.
Be’, consiglio ai renziani di non fare i fenomeni. Capisco che hanno scampato il pericolo, ma forse dovrebbero interrogarsi sul fatto che appena la notizia è passata la gente si è precipitata ai gazebo per firmare.
È soddisfatto del risultato?
Intendiamoci, abbiamo mancato l’obiettivo. L’anno prossimo non si voterà. Ma questa è stata la prima vera manifestazione, divisa in mille piazze italiane, contro le politiche del governo. I numeri di chi ha firmato sono clamorosi.
I renziani di non facciano i fenomeni. Appena la notizia è passata la gente si è precipitata ai gazebo per firmare
È mancato il sostegno delle altre forze di sinistra.
Hanno deciso di non sostenere il referendum, ognuno con ragioni diverse. Io li avevo chiamati tutti: non ho mai voluto portare avanti questa iniziativa da solo. Ho avanzato la proposta il 13 maggio scorso, ne abbiamo discusso per due mesi. Adesso tutti sostengono di non essere stati contattati, ma non è vero.A chi si riferisce, Maurizio Landini?
Mi riferisco a tutti quelli che non hanno partecipato alla campagna referendaria. Da Landini ci sono andato. Sono andato alla prima assemblea della “coalizione civile” per chiedere di fare insieme questo percorso. Gli ho inviato i quesiti, poi nulla. Adesso a sinistra molti dicono che i referendum li faremo il prossimo anno. Va bene, metterò a disposizione tutte le mie forze. Non ho problemi. Mi limito a sottolineare che l’anno giusto per raccogliere le firme era questo.Alcuni esponenti di Sinistra Ecologia e Libertà hanno firmato, ma solo nelle ultime settimane.
Hanno firmato i loro elettori. Ma non voglio fare nessun tipo di polemica. Ognuno ha le proprie responsabilità: a me mancano 200mila firme… Dico solo che se avessimo fatto insieme questa campagna referendaria, insieme avremmo raggiunto l’obiettivo.Si aspettava anche la partecipazione della minoranza Pd?
La minoranza Pd non è pervenuta. Peccato, a loro questi referendum convenivano più degli altri. Avrebbero aperto un dibattito tra gli elettori del Partito democratico sulle riforme di questo esecutivo. Capisco che un esponente del Pd non può fare una campagna contro il governo che sostiene in Parlamento, ma forse qualcuno meno in vista poteva anche darci una mano.Dall’esito di questa esperienza sembra sempre più difficile costruire un progetto unitario a sinistra.
Il dialogo si costruisce sugli argomenti. Anche per questo avevo proposto la campagna referendaria, un progetto in cui non c’erano leader. Certo, da questo punto di vista è stata un’occasione persa.Un esponente del Pd non può fare una campagna contro il governo, ma forse qualcuno meno in vista poteva anche darci una mano
Nonostante la grande partecipazione popolare, attorno a questi referendum c’è stata poca attenzione dai parte dei media. Che spiegazione si è dato?
Nessun complotto, ma si tende a non vedere quello che c’è fuori dal Palazzo. Ci sono state diecimila persone impegnate a raccogliere firme, lunghe code ai banchetti. Evidentemente c’è una forte sottovalutazione di quello che succede nel Paese. Abbiamo raccolto centinaia di migliaia di firme, mi sembra una notizia. Nessuno se n’è occupato. Eppure sarebbe stato giornalisticamente interessante chiedersi chi erano queste persone, perché stavano firmando. Parecchi giornali non hanno pubblicato nemmeno una riga su questa iniziativa, salvo scrivere alla fine che non avevamo raggiunto l’obiettivo.Adesso che succede?
Questa campagna referendaria è stata una palestra fantastica, ha dimostrato che l’attivismo esiste ancora. Adesso riprendiamo il percorso da dove l’avevamo interrotto. Costituiremo un soggetto politico, sperando di diventare un polo attrattivo sui temi al centro del dibattito.Un partito in diretta concorrenza con il Pd?
Non bisogna creare un partito a sinistra del Pd, ma un partito che rappresenti lo spazio lasciato dal Pd. C’è un sacco di gente interessata, io l’ho incontrata in questi mesi.