Due sorelle a casa vogliono entrambe l’unica arancia rimasta e dopo una breve discussione decidono di farla a metà, risultando tutte e due appagate, anche perché nessuna ha ottenuto più dell’altra. Dopo poco una sorella usa la buccia per farne dei canditi e butta la polpa; l’altra al contempo con la sua metà si fa una spremuta, per assumere vitamine, e butta via la buccia. Immediatamente realizzano che avrebbero potuto avere il 100% dell’utilità individuale di quell’arancia e non accontentarsi solo del 50%, con il massimo della soddisfazione personale e collettiva, intesa come sommatoria delle loro due felicità individuali.
Questo esempio ci permette di introdurre l’argomento di questo articolo.
Nel quotidiano la parola negoziazione è spesso usata come sinonimo di conduzione di una trattativa: in realtà ci sono molti modi per condurre una trattativa e spartire risorse, con risultati ben diversi.
I cinque più ricorrenti sono il compromesso, il persuadere, il cedere, l’imporsi e l’arbitrato.
Il compromesso, sinonimo e frutto di mercanteggio, è la modalità a cui si ricorre con più frequenza ed è comunemente confuso con la negoziazione. Spesso i giornali titolano “Si è raggiunto un compromesso tra le parti grazie a una serrata negoziazione”. Una contraddizione in termini! Il compromesso è il classico trovarsi a metà strada. “Io voglio 100, tu vuoi 140, ci troviamo a 120”. E’ quello che hanno fatto le due sorelle. In realtà esso è frutto semplicemente di una duplice rinuncia, in questo caso pari a 20.
I compromessi scontentano chi li fa, espressione del triste adagio “mal comune mezzo gaudio”, in contrapposizione all’attitudine di generare più valore e per tutti, per nulla istintiva nel genere umano. Conforta che però possano essere frutto di una scelta perlomeno razionale. La storia citata sopra delle due sorelle – raccontata da Fisher e Ury in “Getting To Yes” – è la dimostrazione che il compromesso comporta non solo uno svantaggio economico per l’individuo, ma genera una diseconomia per l’intera collettività.
Le due sorelle avrebbero anche potuto iniziare a convincersi reciprocamente dell’importanza di disporre interamente dell’arancia. Operazione ardua e inutile: la persuasione risulta fallimentare, se pensiamo di usarla per sopire i bisogni altrui. Innanzitutto, nessuno di noi cambia facilmente opinione, specie se fondata su valori o principi, e al pari non possiamo aspettarci che altri lo facciano.
Quando la persuasione agisce su leve emotive è facile che un consenso fondato sull’emotività ci venga tolto con pari emotività. Il classico “averci dormito sopra” che muove al ripensamento.
La persuasione, inoltre, è un meccanismo poco adatto a essere applicato in caso di processi decisionali divisi e articolati tra più soggetti, peraltro sempre più diffusi. Supponiamo che A e B debbano prendere una certa decisione, a cui io vorrei portarli. Io ho modo di incontrare solo A e non incontrerò mai B. Riesco a persuadere A a sposare la mia opinione o a accettare la mia proposta. Sarà però poi bravo A a persuadere B, come io lo sono stato con lui? Questo non è un passaggio da poco, se pensiamo alla complessità dei processi decisionali che oggi caratterizzano la più parte delle dinamiche interne ed esterne alle organizzazioni.
Al pari una delle due sorelle avrebbe potuto o cedere o imporsi, attività poco funzionali, la prima rispetto alla soddisfazione dei nostri bisogni e la seconda rispetto all’assetto relazionale.
Si poteva demandare la decisione a un collegio arbitrale, composto da comuni amici? Idea balzana? Forse rispetto al merito della questione, ma in generale non tanto. In Italia ci sono oltre cinque milioni di cause civili pendenti, a significare che, se è vero che per litigare bisogna essere almeno in due, più di una decina di milioni di persone fisiche o giuridiche sono oggi in attesa di un giudizio in merito alla tutela dei propri interessi da parte di un terzo soggetto. Ciò ha costi molto alti, ma accomuna tutti i paesi del mondo: rimettere a un soggetto terzo una decisione vincolante, che anche se non dovesse soddisfarci, dovremo accettare.
La soluzione dell’arancia, più efficiente in termini di ripartizione di risorse e di assetto relazionale, avrebbe invece potuto essere frutto di una negoziazione, modalità quest’ultima di decision making fondata sullo scambio, reso possibile dal riconoscimento dei bisogni degli altri. A differenza delle altre modalità, la negoziazione non ha costi, ma solo benefici ed è praticabile quando si riescono a trovare i presupposti dello scambio, generati dalla diversa percezione, in funzione dei personali bisogni, che gli individui hanno rispetto a un certo qualcosa in termini di valore e di costo.