Si conducono molteplici trattative ogni giorno nel contesto aziendale, politico e famigliare. Esse impattano inequivocabilmente sul risultato economico che si vuole raggiungere, sul valore che si vuole generare, in qualsiasi modo si concepisca tale valore, e sul patrimonio relazionale, personale e dell’organizzazione in nome e per conto della quale agiamo.
La negoziazione è vista da tutti come una attività e al contempo una capacità manageriale e gestionale strategica, ma a questo riconoscimento fanno da contrappunto spesso un approccio istintivo e una qual certa improvvisazione, almeno nel nostro Paese.
Mancanza di approcci strutturati
Nel mondo anglosassone, ampiamente inteso, a cui da oltre 50 anni è riconosciuta alla negoziazione una dignità scientifica, esistono corsi di studi universitari, post universitari e master dedicati alla negoziazione, produzione letteraria di alto valore e figure che, tanto nelle aziende quanto nei contesti politico istituzionali, ricoprono il ruolo di consulenti negoziali.
Barbara Imperatori, professore associato di Organizzazione aziendale presso l’Università Cattolica di Milano, ha sottolineato come «la socialità che caratterizza la nostra cultura ha in parte rallentato processi più strutturati di codifica e sviluppo di competenze manageriali relazionali, che spesso sono considerate un tratto caratteriale e psicologico naturale. La complessità attuale dei contesti organizzativi sta mettendo in luce le debolezze di questo modello manageriale».
La negoziazione è vista da tutti come una attività, ma spesso c’è un approccio istintivo e una qual certa improvvisazione, almeno nel nostro Paese
Un bravo venditore non è necessariamente un buon direttore commerciale, un buon tecnico non è necessariamente un buon direttore di stabilimento, uno studente modello non è necessariamente un futuro bravo insegnante. Spesso si confondono attitudini relazionali con capacità manageriali, che in realtà richiedono competenze approfondite e strutturate al pari di quelle tecniche.
Le difficoltà maggiori risiedono nel decodificare le competenze manageriali – e la negoziazione ne è una delle più importanti – scomporle e ricondurle a processi con output ben definiti al pari di quelle tecniche. Questa è la sfida più complessa per riuscire a elevare il rango delle cosiddette soft skills, espressione infelice, e ne sia fatta comprendere l’importanza e il valore al pari delle competenze altrimenti definite hard o tecniche.
Nel mondo anglosassone esistono corsi di studi universitari, post universitari e master dedicati alla negoziazione e figure che ricoprono il ruolo di consulenti negoziali
Molto dello scetticismo comprensibilmente nasce proprio dalla difficoltà intanto di oggettivizzare la managerialità, e a cascata le capacità ad essa sottese e i comportamenti che ne sono espressione. La “consistenza” della capacità tecnica in termini di procedure e risultato da esse garantito a fronte dell’”apparente inconsistenza” della capacità manageriale si evidenzia in termini di possibile misurabilità tra processi e risultati.
Se sbagliamo l’utilizzo di un foglio excel, perché non conosciamo una determinata funzione del programma, l’errore è visibile a tutti, come tale non nascondibile ed non è imputabile ad altri se non a noi, facilmente colmabile con l’acquisizione della relativa conoscenza che ci possa evitare di reiterarlo nuovamente.
Se la capacità negoziale è figlia solo di istinto, talento ed esperienza come facciamo a valutarla in assenza di parametri oggettivi?
Come misurare i risultati?
Nel caso delle competenze manageriali come riconosciamo gli errori (nostri e degli altri) in assenza di processi, modelli e metodi condivisi? Se la capacità negoziale è figlia solo di istinto, talento ed esperienza come facciamo a valutarla in assenza di parametri oggettivi? Limitarsi peraltro a valutare la capacità negoziale (e quindi l’efficacia) solo perché si è raggiunto un determinato obiettivo è ingannevole. Il punto non è raggiungere un obiettivo, ma come lo si raggiunge. Un automobilista che non abbia mai avuto incidenti non è detto che sappia davvero guidare in sicurezza, non è detto che non si sia invece esposto a molti rischi, abbia consumato tre volte di più le pastiglie dei freni o assai più del dovuto i pneumatici.
Relativismo e meritocrazia non possono convivere
Tutto allora rischia di diventare fluido e relativizzabile. L’assenza di processi e di metodo induce alla deresponsabilizzazione. Una società tuttavia fondata su reali processi di meritocrazia tende a valutare con maggiore attenzione i portatori di competenze, il più possibile oggettive, piuttosto che i millantatori di tali supposte capacità. L’assenza di strumenti per misurare il possesso di una capacità permette di dire a tutti di disporne, senza che nessuno possa provare o verificare il contrario. Insomma siamo tutti negoziatori, come siamo tecnici della nazionale di calcio, magari senza aver neppure mai toccato un pallone.
L’assenza di processi e di metodo induce alla deresponsabilizzazione ed è contro la meritocrazia
A maggior ragione, soffre di ciò la capacità negoziale, che tutti denunciano di possedere per il solo fatto di aver svolto o essere chiamati a svolgere determinati ruoli, in un clima di autoreferenzialità assoluta. Il curriculum vitae di un middle – top manager ha sempre nel riquadro dedicato all’elenco delle capacità soft la capacità di negoziazione, che come tasso di presenza se la gioca abbastanza alla pari con la capacità di problem solving, di comunicazione, team building e di orientamento all’obiettivo. Chi lo attesta? Come lo si dimostra? Come si misura questa capacità?
Di negoziazione, sotto tanti punti di vista e da diverse prospettive, si scriverà su queste pagine nel corso del prossimo anno, per offrire spunti, alimentare riflessioni, seminare dubbi al pari di assenso e dissenso.
L’idea è quella di un viaggio, per certi versi una scoperta di un mondo che ha un grandissimo fascino: la negoziazione.
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