Torna di attualità e arriverà di nuovo anche in Parlamento la vicenda di Alma Shalabayeva e della figlia Alua che all’epoca dei fatti aveva sei anni. Gli sviluppi dell’inchiesta coordinata dalla procura di Perugia (competente per le indagini sui magistrati romani) hanno portato all’invio di otto avvisi di garanzia indirizzati, tra gli altri al giudice di pace in servizio al Cie di Ponte Galeria Stefania Lavore, all’attuale capo dello Sco Renato Cortese e al questore di Rimini Maurizio Improta, all’epoca dei fatti a capo dell’ufficio Immigrazione romano.
Le accuse sono di sequestro di persona e falso ideologico, e in questi giorni gli inquirenti perugini stanno interrogando gli indagati per mettere un punto alle 67 ore che hanno portato prima all’irruzione della polizia nella villa di Casal Palocco per prelevare Shalabayeva e figlia per poi espellerle verso il Kazakistan.
Per comprendere la vicenda occorre riavvolgere il nastro al 28 maggio 2013, quando su impulso delle autorità kazake viene organizzato un blitz che avrebbe dovuto portare alla cattura di Mukhtar Ablyazov dissidente ed ex membro del governo kazako, accusato dalle procure del Kazakistan di truffa e bancarotta. Il blitz arriva fin dentro la villa alle porte di Roma, ma nella casa ci sono solo la moglie, Alma Shalabayeva e la figlia Alua. Da lì il trasferimento al Cie di Ponte Galeria e l’espulsione.
Il blitz arriva fin dentro la villa alle porte di Roma, ma nella casa ci sono solo la moglie, Alma Shalabayeva e la figlia Alua. Da lì il trasferimento al Cie di Ponte Galeria e l’espulsione
Il 2 dicembre scorso Improta interrogato (l’interrogatorio è stato secretato) ha portato con sé una grande quantità di documenti per chiarire la cronologia degli eventi. Per rivendicare la correttezza del proprio operato l’ex capo dell’ufficio Immigrazione allega un documento che proverebbe che la comunicazione sull’identità di Alma Shalabayeva, scrive Il Messaggero, sarebbe stata mandata dal suo ufficio a quello Ponte Galeria, e quindi alla Questura prima dell’udienza di convalida del trattenimento al Cie.
Un tassello di non poco conto e che sarà centrale nello sviluppo delle indagini, dal momento che buona parte del caso nasce proprio per una questione di documenti e passaporti ritenuti più o meno falsi. Nell’interrogatorio di questa primavera a Roma Improta ha sottolineato come Shalabayeva fosse titolare di un permesso di soggiorno in Lettonia e protezione umanitaria in Lettonia.
Intanto le ipotesi investigative seguite dalla procura di Perugia guardano anche all’eventualità che l’arresto di Shalabayeva altro non fosse che un atto riparatore verso il governo kazako, da tempo sulle tracce di Ablyazov.
Le ipotesi investigative seguite dalla procura di Perugia guardano anche all’eventualità che l’arresto di Shalabayeva altro non fosse che un atto riparatore verso il governo kazako, da tempo sulle tracce di Ablyazov.
Centrale nella vicenda sono le mosse della Sira Investigazioni, agenzia aperta otto settimane prima della vicenda e dell’incarico da parte della società israeliana Gadot Information Service. Gadot ingaggia la Sira, spiega a Repubblica il titolare Mario Trotta per «seguirlo e controllarlo» con due agenti, tra cui Gaetano del Ferro, ex agente di polizia in pensione, che per diversi anni, fino al 2011, ha lavorato direttamente per la Presidenza del Consiglio dei Ministri. La Digos se lo ritrovò davanti nel corso del blitz.
La posizione di Ablyazov non era di certo un mistero, ma il 26 maggio l’uomo fa perdere le sue tracce e da Astana partono diverse chiamate verso l’Italia, anche al Ministero dell’Interno. Il 28 maggio parte il blitz e due giorni dopo è già pronto il volo da Ciampino per il rimpatri Shalabayeva e della figlia Alua già pagato con bonifico dall’ambasciata kazaka.
https://www.youtube.com/embed/AbHcoazkC9U/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-ITDunque ancora una volta è il Viminale a essere chiamato in causa. Con lui il suo titolare, Angelino Alfano, che domani, 4 dicembre, dovrà rispondere in parlamento all’interpellanza urgente del Movimento 5 Stelle che chiede di definire una volta per tutte di capire chi e come ha impartito ordini durante quei tre giorni di fine maggio del 2013.
Per la vicenda pagò per tutti Giuseppe Procaccini, capo di gabinetto del Ministero, che interrogato nel gennaio 2014 dalla procura di Roma mise nero su bianco come Alfano fosse consapevole della ricerca di Ablyazov da parte delle autorità kazake in Italia, ma non, «almeno nell’immediatezza dei fatti» del sequestro della moglie della figlia dello stesso Ablyazov.