L’ereditarietà del genio: i figli di Einstein

Il QI passa di padre in figlio? A guardare la (sfortunata) prole Einstein sembra di no, ma la questione non è per nulla semplice

Albert Einstein era un genio. Su questo ci sono poche discussioni: sulla sua intelligenza nessuno può avere dubbi. Resta da capire se il QI, come anche il genio, possa essere un carattere ereditario. A giudicare dalla sua progenie, la questione suscita qualche perplessità.

In fatto di figli, Einstein non ha avuto fortuna. La prima, Lieserl, avuta dalla non-ancora-moglie Mileva Maric visse appena un anno. Nacque nel 1902 a Novi Sad, in Vojvodina (Serbia) e morì nel 1903. La sua esistenza, rimasta a lungo ignota ai biografi, emerse dalla lettura della corrispondenza tra Einstein e Mileva.

A Eduard Einstein, terzo figlio della coppia, andò meglio, ma non tantissimo. Nacque nel 1910, e mostrò subito una certa vivacità intellettuale. Era sveglio, amava la musica (come il padre) e si era interessato agli studi di medicina. Soffriva però di schizofrenia. Gli venne diagnosticata all’età di 20 anni, e due anni dopo venne internato per la prima volta. Soffrì per le cure (secondo alcuni avrebbero acuito il male, anziché alleviarlo) e litigò con il padre, con cui, però, restò in contatto per diverso tempo, anche dopo che Albert Einstein, divorziato da Mileva, lasciò l’Europa per rifugiarsi negli Stati Uniti.

Il secondo figlio, Hans Albert, è l’unico che riuscì a imporsi negli studi. Si dedicò all’ingegneria, con un lavoro di ricerca sui sedimenti nel trasporto che, per l’epoca, fu considerato molto importante. Anche lui, come il padre, si trasferì in America (ma cinque anni più tardi, nel 1938). Prima in Carolina, dove lavorò per il Dipartimento dell’Agricoltura, poi in California, al California Institute of Technology e alla University of California. Insomma, uno studioso importante ma non certo al livello del padre.

È difficile, allora, stabilire quanto i geni contribuiscano all’intelligenza del soggetto. Nel caso dei figli di Einstein, poi, non va trascurata la complessità del confronto con la figura paterna. Una competizione ardua. Ma un’indicazione sufficiente per chi, nelle banche del seme, cerca i geni di un padre intelligente nella speranza che lo sia anche il figlio.

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