Si chiama Maria Teresa Canessa. Fino a ieri una signora come tante, che fa il suo lavoro nelle file della Polizia di Stato e come tutti noi, conosciuta nella sua cerchia abituale e sconosciuta al grande pubblico. È balzata all’improvviso agli onori della cronaca per aver compiuto un gesto semplice, umano, tuttavia apparso sconcertante: ha teso la mano a qualcuno, trasformando quel qualcuno da controparte in parte.
La tensione non era esasperata, pare, dai racconti dei testimoni e dei cronisti presenti: i dipendenti dell’Ilva stavano dimostrando, avevano accesso dei fuochi e lanciato dei lacrimogeni. Tuttavia, il clima era teso e i rappresentanti dell’ordine pubblico erano in tenuta antisommossa. Probabilmente in un momento di particolare nervosismo, la signora Maria Teresa ha fatto una cosa di buon senso: tolto il casco, lasciato cadere sulla divisa d’ordinanza la sua coda di cavallo stropicciata dall’elmo protettivo, ha mostrato il suo volto e teso la mano. Questo ha indotto altri suoi colleghi e operai a imitarla, la situazione è così rientrata e si sono scongiurate derive violente.
È stupefacente che questa vicenda sia diventata una notizia. Non siamo più abituati a gesti simili, a gesti distensivi, di avvicinamento, di riconoscimento dell’altro. Questo dovrebbe farci riflettere.
L’osservazione delle dinamiche relazionali oggi porta in evidenza una generale aggressività, che tocca ogni contesto. L’aggressività non è più forma, diventa essa stessa spettacolo e oggetto dell’esibizione. Il pensiero va alle quotidiane arene televisive, dove proprio l’aggressività scippa ai contenuti il ruolo di protagonista di una commedia da teatrino di quart’ordine, i cui attori paiono dimentichi della responsabilità di cui sono investiti per effetto di quel processo di identificazione secondo il quale la presenza davanti a una telecamera è emblema di autorevolezza. Uno stordimento mediatico che però purtroppo fa scuola. Per non parlare di quei ragazzotti in calzoncini corti che inseguono una palla e che al primo richiamo macinano ingiurie e proteste. Il cerchio si chiude con i nostri politici, che fanno inorridire con la loro aggressività maldestra e priva di freni inibitori esibita nelle aule parlamentari, idealmente sede del loro ufficio.
Probabilmente in un momento di particolare nervosismo, la signora Maria Teresa ha fatto una cosa di buon senso: tolto il casco, lasciato cadere sulla divisa d’ordinanza la sua coda di cavallo stropicciata dall’elmo protettivo, ha mostrato il suo volto e teso la mano
Non è che l’uomo comune sia meglio, solo che i comportamenti di coloro che dovrebbero essere dei modelli sdoganano ulteriormente attitudini già diffuse, rendendole legittime. L’aggressività che ha nel disconoscimento dell’altro la sua essenza è la quotidianità, e spesso le dinamiche negoziali ne sono prepotentemente attraversate. Posto che c’è da chiedersi quale processo mentale compia chi disconosce il proprio interlocutore e che cosa lo gratifichi, la minaccia e la ritorsione sono due tipiche espressioni di aggressività che caratterizzano di frequente il dialogo negoziale, con l’effetto di snaturarlo e inquinarlo.
Non ci sono tecniche per reagire all’aggressività e alla minaccia. A parte il pensare che chi aggredisce è sicuramente in una posizione di debolezza, perché diversamente non vi ricorrerebbe, la migliore arma è e resta il buon senso, il cui uso pare obsoleto.
Ce ne ha dato dimostrazione la signora Maria Teresa: ti mostro il mio volto, il mio volto di essere umano che come te, e quanto te, vuole combinare qualcosa su questa Terra. Il mio volto di essere umano che come te e quanto te è vulnerabile. Ti riconosco e mi riconosci. Ma quel gesto apparentemente banale, e che sarebbe più corretto definire semplice, ha dentro di sé una potenza enorme e deflagrante: nel riconoscerti ti voglio conoscere.
Non ci sono tecniche per reagire all’aggressività e alla minaccia. A parte il pensare che chi aggredisce è sicuramente in una posizione di debolezza, perché diversamente non vi ricorrerebbe, la migliore arma è e resta il buon senso, il cui uso pare obsoleto
Oggi è questo quello che manca. Al di là della contaminazione mediatica e informatica, noi siamo messi nella condizione di sapere, ma non di conoscere. Il sapere sta al sentire come il conoscere all’ascolto. E’ frutto di una scelta responsabile e chiede costanza. Oggi non abbiamo più voglia di conoscere. Tutto è dato per scontato. Tutti diventiamo esperti di tutto in un attimo e l’altro con la sua umanità, che potrebbe essere per noi fonte di conoscenza, è annientato dalla nostra presunzione che fa anteporre l’ ”io” al “noi”. Nelle dinamiche negoziali questo fattore raggiunge il suo apice nel totale disinteresse per i bisogni altrui, negati, disconosciuti e mai veramente indagati. Se va bene ci si ferma al che cosa mi chiedi, ma non al perché me lo chiedi. Che bisogni hai, che interessi ti muovono, quali sono le tue priorità realmente irrinunciabili?
Pensiamoci: qual è l’ultima volta che qualcuno di noi ha posto o si è sentito porre questa domanda L’aggressività è una manifestazione di resa e di rifiuto dell’altro che affonda, drammaticamente, le sue radici nel rifiuto della condizione umana. Ecco perché quel gesto ci ha dato un senso di sollievo: perché è facile, è istintivo, quasi fanciullesco, finanche primordiale. Però ci stordisce, perché ci ridicolizza quasi: sembra dirci “Ehi sciocchi, guardate quanto tempo e energie sprecate”.
Grazie Maria Teresa della lezione.