La scommessa del referendum di ottobre, i rischi delle elezioni amministrative, l’incognita dei sondaggi che per la prima volta iniziano a preoccupare. Davanti al presidente del Consiglio Matteo Renzi si aprono mesi difficili. A due anni dall’ingresso a Palazzo Chigi, il premier si trova ad affrontare la fase più complicata. Un percorso a ostacoli che si concluderà in autunno, con il voto popolare sulla riforma costituzionale. Una sfida senza appello che deciderà il destino dell’esecutivo, su cui Renzi si gioca tutto. «Se perdo – ha spiegato più volte – vado a casa».
Sullo sfondo, una sensazione poco rassicurante. L’impressione che il vento sia cambiato. Non ci sono solo le inchieste della magistratura che hanno lambito il governo e spinto alle dimissioni il ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi. Mentre i sondaggisti fotografano l’avanzata dei Cinque Stelle – con tutte le incognite legate alla scomparsa di Gianroberto Casaleggio – le cronache politiche tornano a occuparsi dello scontro con la minoranza democrat. Un braccio di ferro che il premier sembrava aver archiviato. Persino, da qualche tempo, si fanno insistenti le indiscrezioni su nuove rivalità all’interno del gruppo dei fedelissimi.
Prendere le distanze dall’esito delle amministrative è impossibile. Anche se il premier assicura che non ci saranno ripercussioni sull’esecutivo, è evidente che il voto avrà un chiaro significato politico. E rischia di avere conseguenze imprevedibili
Se già domenica il referendum sulle trivelle potrebbe creare le prime preoccupazioni al governo – Renzi si è schierato per l’astensione – la prima votazione che rischia di mettere in allarme Palazzo Chigi è prevista ai primi di giugno. Le amministrative. Prendere le distanze dall’esito delle elezioni è impossibile. Anche se il premier assicura che non ci saranno ripercussioni sull’esecutivo, è evidente che il voto avrà un chiaro significato politico. Perché è vero, alle urne gli elettori sceglieranno i sindaci delle proprie città. Ma l’importanza di alcuni capoluoghi al voto non può derubricare il risultato a un semplice evento locale. E così Renzi rischia a Milano, dove pure la vittoria di Giuseppe Sala sembrava certa. Traballa a Napoli, dove la sua candidata si trova davanti a un’impresa quasi impossibile. Soprattutto, può perdere la faccia a Roma e Torino, dove gli aspiranti sindaci del Partito democratico dovranno vedersela con due agguerrite esponenti grilline (in particolare Virginia Raggi nella Capitale, favorita dai sondaggi).
Gli strascichi di una eventuale sconfitta alle amministrative potrebbero aprire scenari imprevedibili. Anche all’interno del Partito democratico. E avrebbero inevitabili ripercussioni sul referendum di ottobre, quando gli italiani si esprimeranno sulla riforma costituzionale appena approvata dal Parlamento. È la grande scommessa di Renzi. Non a caso il presidente del Consiglio ha già legato il suo destino all’esito del voto. Onore al merito. Nella storia politica italiana trovare un leader disposto a un passo indietro in caso di sconfitta resta una rarità. Eppure i rischi della consultazione popolare sono evidenti. Soprattutto perché si tratta di un referendum senza quorum. Vincerà chi sarà più capace di mobilitare il proprio elettorato. Teoricamente potrebbe prevalere anche una minoranza. Ed è evidente che le opposizioni proveranno a unire l’elettorato anti-renziano nell’obiettivo di dare la spallata finale al governo.
I sondaggi fotografano una situazione inedita: la distanza tra il Pd e cinque Stelle è sempre più ridotta. E la minoranza Pd adesso rialza la testa
È ancora presto per anticipare le sorti della sfida, ma i sondaggi destano già qualche preoccupazione. L’inchiesta di Potenza che ha portato alle dimissioni il ministro Guidi avrà le prime conseguenze parlamentari la prossima settimana, quando il Senato discuterà una mozione di sfiducia. Ma quali sono le reazioni dell’opinione pubblica? Un recente sondaggio pubblicato da Repubblica ha confermato una situazione inedita: la distanza tra il Partito democratico e i Cinque stelle è sempre più ridotta. I grillini ormai insidiano il partito del premier. Una situazione che potrebbe trasformarsi in beffa: in un simile scenario, il ballottaggio previsto dall’Italicum rischia di premiare i pentastellati (e ancora non si conosce l’identità e il peso del candidato di un eventuale fronte unico di centrodestra). Con buona pace della riforma elettorale fortemente voluta da Matteo Renzi.
Intanto proprio la legge elettorale torna al centro dello scontro tra Renzi e la minoranza Pd. All’indomani dell’approvazione della riforma costituzionale, i rappresentanti della minoranza dem hanno ufficialmente chiesto di rimettere mano all’Italicum. Apportando alcune modifiche, in particolare al dispositivo dei capolista bloccati. Il premier ieri ha chiarito che non ci saranno ritocchi. È l’ultimo capitolo di un lungo braccio di ferro. Uno scontro interno al partito che ora rischia di tornare ad esplodere. Ne è un esempio l’attacco rivolto a Renzi dall’ex sfidante delle primarie Gianni Cuperlo, che nel corso di una recente direzione Pd lo ha accusato di non avere «la statura di un leader, anche se a volte coltivi l’arroganza dei capi». Senza dimenticare la presa di posizione di Massimo D’Alema, tra i principali avversari del premier, che pochi giorni fa ha ammesso le sue perplessità sul candidato sindaco dem a Roma, il renziano Roberto Giachetti.
Se lo scontro con la minoranza è questione antica, le divisioni all’interno della ristretta cerchia dei collaboratori del premier sono una novità. E raccontano bene il difficile clima della fase in corso. All’interno del giglio magico sembrano sbocciare correnti e rivalità. I retroscena dei quotidiani politici si arricchiscono di indiscrezioni sull’ascesa dei nuovi leader renziani. A partire dalle presunte contrapposizioni tra la ministra Maria Elena Boschi e il sottosegretario Luca Lotti, braccio destro del premier. Malignità, forse. Oppure l’ennesimo ostacolo nella difficile corsa appena iniziata.