«Marchionne ormai vive a Detroit, non sa più nemmeno dov’è l’Italia». È la sera di martedì 16 maggio. Su La7 Crozza porta in scena l’ultima copertina della stagione e attacca Marchionne. «Se fosse qui, quante gliene direi…», aggiunge, prima che le risate posticce da comedy americana anni Ottanta rianimino al pubblico e ricordino anche ai più distratti che è quello, sì sì, è proprio quello il momento di ridere. «Se fosse qui… quante gliene direi», continua il comico genovese, mangiandosi didascalicamente le mani.
Poi, dalla regia, la voce fuori campo interrompe Crozza.
«Mauri…»
«Un attimo Andre, aspetta…»
«Mauri…»
«Che c’è Andrea? Non lo vedi che sto finendo il monologo? Dicevo… Se fosse qui…»
«Mauri…»
«Ohhh, cosa c’è? Dimmi. Cosa c’è?»
«È qui. Marchionne. E qui».
Ora alle risate finte della regia sembra che si aggiungano quelle del pubblico in sala che risponde agli ordini del capo claque. Ma basta guardare la faccia di Crozza e quella di Marchionne. Basta guardarli e concentrarsi su quelle risate finte per vedere, al posto dello studio di Dimartedì, il teatrino di un giullare al cospetto dei suoi padroni. Quella di Crozza non è satira. Non lo è più, perlomeno, è diventato il Bagaglino, solo un po’ più raffinato.
«Quando si arriva a ironizzare sulla parlata dialettale o sull’aspetto fisico non è satira. Una satira che colpisce questi aspetti, come faceva Il Cavaliere Mascarato di Striscia alliscia il potere», ha detto a febbraio a TvTalk il comico Giorgio Montanini, uno che era stato testato da Ballarò per prendere il posto di Crozza, ma che per gli standard del supinaggio nostrano televisivo non è stato considerato “accettabile”.
La satira non va a prendersi gli applausi di quelli che percula. Perché la satira non scherza, è un’arma. E oltraggia, supercazzola, irride. Non si prende, come Crozza, gli applausi del Re di turno, non resta sul palco ad inchinarsi al potere. E Crozza non l’ha capito, che non è ammiccando e allisciando il potere che si fa quello che un ventennio fa sapeva fare, e alla grande, con la banda dei Broncovitz.
A quei tempi Crozza non stava sul palco da solo. Insieme a Marcello Cesena, Ugo Dighero, Mauro Pirovano e Carla Signoris faceva le sue sortite in capolavori di trasmissioni come Avanzi, Tunnel e Hollywood Party. Erano gli anni Novanta e il baricentro di quegli spettacoli era il migliore di tutti: Corrado Guzzanti.
È proprio lui che ora, a qualche anno dalle sue ultime apparizioni, a poche ore dall’arrivederci di Crozza, ha iniziato il lancio della sua nuova trasmissione, che sarà in onda con Dov’è Mario? su Sky a partire dal 25 maggio per quattro puntate e che, a differenza di quanto fa Crozza ogni martedì su La7, sembra avere le carte in regole — come il marchio Guzzanti di solito garantisce — di far ridere noi, non i pasciuti potentini di turno.
L’ingresso nell’arena di Guzzanti è stato mitico. Prima un trailer con annunci di telegiornale che annunciavano la morte di Mario Bambea “intellettuale di sinistra snob e innamorato di sé, che in seguito a un incidente d’auto si “sdoppia” e diventa – anche – Bizio, un comico trash” motore dello show. Poi un editoriale. Sì, un editoriale. Proprio su Reppublica, in prima, in taglio basso, e finisce così: «Qui c’è qualcuno che le avvisaglie le aveva segnalate da un pezzo e marchiate di rosso. Le maestrine dalla penna vermiglia che però erano anche le staffette per la Resistenza. Le stesse che in Cecoslovacchia eressero un muro di panni, che in Belgio incrociarono le ginocchia contro l’ecoperpetrismo. Anche se forse era il rosso di Bayder. Il rosso che sbiadisce quando tira aria di guerra. Il postribolo dei molti. La vitrea ganassa che si fa fagotto. La supercazzola d’un editoriale».
Quella di Guzzanti, almeno in apparenza, è un’entrata in grande stile, una dichiarazione di guerra, un proiettile d’argento diretto ai nostri cervelli borghesi. Certo, è una supercazzola prematurata come se fosse antani con la tanapia tapioca e con lo scappellamento a destra, ma promette un doppio taglio. Se a livello testuale sembra un nonsense, a livello metatestuale è un a stoccata.
Perché Guzzanti non è andato a prendersi gli applausi inchinandosi davanti al Re, gli ha inchiodato una pergamena ben in vista sulla porta, che la leggano tutti e ma che ne ridano i lettori, avrebbe sussurrato tra sé se quella fosse stata la la porta della chiesa del castello di Wittenberg. Il colpo è in canna. Corradone, ti prego, non deluderci.