«Così salviamo le aree interne del Paese, vero motore dello sviluppo»

Fabrizio Barca spiega perché non serve fuggire per crescere. «Il futuro non è solo delle grandi città. Le aree interne rappresentano un’opportunità». Un’Italia dove le differenze scompaiono. «Palermo e Torino sono città difficilmente paragonabili, ma le Madonìe e la Val Maira hanno problemi simili»

C’è un’Italia dove la distinzione tra Nord e Sud non esiste. Un Paese lontano dai grandi centri urbani, unito da opportunità e criticità. Sono le “aree interne”, zone interessate da un enorme potenziale di sviluppo e innovazione. Da tre anni il governo ha deciso di puntare su queste realtà. È un investimento che interessa 65 aree-progetto in tutta la Penisola. Un quinto del nostro territorio, abitato da quasi due milioni di persone. Tra i protagonisti dell’iniziativa c’è Fabrizio Barca, economista, statistico, già ministro della Coesione territoriale durante il governo Monti e dirigente generale al ministero dell’Economia delle finanze.

Il futuro è delle grandi città?
Anche, ma non solo. Qualcuno pensa che per i prossimi venti anni il motore dell’innovazione e della creatività saranno le mega cities. Non è così. Non abbiamo elementi empirici né teorici per affermarlo. Semmai da sempre è vero che oltre certe dimensioni le grandi città incontrano limiti allo sviluppo. Senza considerare alcune tendenze in atto legate alla globalizzazione – dai fenomeni migratori ai cambiamenti climatici – che nelle metropoli finiscono per accentuare questi elementi di rischio. Intanto, grazie alla straordinaria novità della rete, i benefici dell’agglomerazione, storicamente propri delle mega cities, ora sono tipici anche di aree rarefatte e rurali.

Questo accade anche in Italia?
In Italia abbiamo un territorio particolarmente diversificato. Nel giro di poca distanza si trovano climi e altitudini molto diversi. È una straordinaria differenziazione particolarmente appetibile per l’uomo moderno. L’opposto degli Stati Uniti d’America: una terra di grandi, bellissime, distese tutte uguali. Oggi c’è una forte domanda di territorio diversificato. Turisti, coppie di creativi, sessantenni che si sono stufati delle città cercano la diversità.

Definiamo questi territori in base alla distanza necessaria per raggiungere i servizi essenziali. Prendendo in considerazione una distanza di oltre 40 minuti, parliamo di aree che interessano circa il 30 per cento del territorio nazionale. Dove vivono oltre 4 milioni di italiani

Una risorsa, quindi?
Purtroppo queste terre non le stiamo curando con le giuste politiche economiche. Se sono zone soggette a un calo demografico è perché non ci stiamo interessando, ad esempio, all’aspetto scolastico e della salute. Ci occupiamo di queste realtà solo per assisterle. I finanziamenti servono unicamente per garantire la sopravvivenza di un ospedale o una scuola…. E invece bisogna cambiare approccio. Dobbiamo riscrivere il sistema pensando alle logiche di questi territori. Le faccio un esempio: il sistema delle emergenze sanitarie. Quanto tempo trascorre, dopo aver chiamato l’emergenza, perché arrivi un’ambulanza? In una grande città passano intorno ai dieci minuti. Il valore considerato accettabile è 16 minuti. In questi territori si arriva a 35 minuti, a volte fino a sessanta. Ecco allora la diversità di intervento: nelle aree interne l’ambulanza deve essere medicalizzata. Se chiudo un ospedale inefficiente devo dislocare dei mezzi nei posti giusti. Bisogna prevedere la presenza di medici, magari anche di un eliporto. Non si spende di più, ma si spende meglio.

Ma qual è l’Italia delle aree interne?
Un’Italia dove la distinzione tra Nord e Sud evapora. Palermo e Torino sono città difficilmente paragonabili, ma le Madonìe e la Val Maira hanno problemi molto simili. In entrambe queste realtà l’agricoltura ha un ruolo importante, non mancano le produzioni interessanti. Tutti e due i territori hanno lo stesso tema dell’accesso dei giovani alla terra. Spinti dalla crisi i ragazzi hanno studiato agraria, hanno capito che potevano tornare a produrre, ma faticano a trovare terreni disponibili.

Quanto sono diffuse queste realtà?
Definiamo questi territori in base alla distanza necessaria per raggiungere i servizi essenziali. Prendendo in considerazione una distanza di oltre 40 minuti, parliamo di aree che interessano circa il 30 per cento del territorio nazionale. Dove vivono oltre 4 milioni di italiani.

Siamo una equipe di circa trenta persone presso la Presidenza del Consiglio. Tra noi, scherzando, lo chiamiamo il team dell’autobus. Si è formato girando l’Italia. Siamo andati 3 o 4 volte in ogni area interessata dal progetto, insieme abbiamo percorso oltre 40mila chilometri

Quale strategia è stata approntata per valorizzare le aree interne?
Anzitutto serve una forte presenza del centro. In questo progetto sono coinvolti molti ministeri: Istruzione, Università e Ricerca, Salute, Economia… Da subito, poi, abbiamo deciso di non adottare la stessa strategia ovunque. Per il momento sono interessati solo un numero limitato di territori. Insieme alle Regioni sono state scelte 65 aree progetto, che interessano 1,9 milioni di persone e coprono un quinto del territorio nazionale. Si parte dalla capacità di questi comuni di allearsi tra di loro. Gli chiediamo di esprimere una visione. Devono sapere come vogliono giocare le loro carte e pensare come vogliono vivere nei prossimi 15 anni. Agricoltura, turismo, cultura? Loro scelgono una strategia, noi e le Regioni l’approviamo.

Quanto viene finanziato?
In media ogni gruppo è formato da circa 15 comuni e ha una popolazione di almeno 30mila persone. E riceve fino a 3,8 milioni di euro per lo sviluppo dei servizi di cittadinanza. La Regione ci mette altri 12-14 milioni. Per ora il governo ha investito complessivamente 190 milioni di euro. E altri 500 milioni arrivano dalle Regioni. Stiamo parlando di una massa finanziaria significativa.

Chi ci lavora?
Siamo una equipe di circa trenta persone presso la Presidenza del Consiglio. La coordinatrice del progetto è Sabrina Lucatelli. Ci sono una dozzina di funzionari e dirigenti dei vari ministeri. E una decina di giovani progettisti, esperti di sviluppo locale reclutati da Invitalia. Tra noi, scherzando, lo chiamiamo il team dell’autobus. Si è formato girando l’Italia. Siamo andati 3 o 4 volte in ogni area interessata dal progetto, insieme abbiamo percorso oltre 40mila chilometri. Fino a un mese fa io ero il rappresentante del ministero dell’Economia. Adesso ho un contratto pro bono, significa che offro il mio contributo gratuitamente.

E i risultati ci sono? Il progetto funziona?
Noi siamo convinti di sì. In tre anni di lavoro abbiamo capito di essere sulla strada giusta. Ma la prova sarà nei risultati. È una delle caratteristiche di questo progetto: nel presentare una strategia ogni “alleanza” di comuni deve fornire 3-4 risultati misurabili. Si punta sulla scuola? Bisogna dimostrare una riduzione del tasso di abbandono scolastico… In questo modo tra pochi anni si vedrà se l’operazione è stata utile o meno.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter