In inglese quando una persona ha a che fare con un computer in maniera rozza, ignorante, fastidiosa da quanto è pirla, lo si chiama Luser, pronunciato come si scrive, risultato della crasi da User, utente, e Loser, perdente. Ma anche prima del fortunato Webete, termine anni Novanta rispolverato da Mentana per apostrofare un utente che diceva cazzate, ci eravamo già muniti di parole per apostrofare in maniera esatta e precisa i pirla all’epoca del web. Termini come Utonto, che di Luser è la traduzione ufficiale in italiano, o un simpaticisimmo Gonzonauta vanno più o meno nella stessa direzione.
Ma se gli wembecilli sull’internet ci sono sempre stati, come dimostra il fiorire di neologismi, perché allora il Webete di Mentana sta avendo così successo? E perché è stato accolto da liberatore, da terminator del troll, da vendicatore dell’Internet? La risposta può anche non piacerci, ma è una e una sola: siamo tutti wembecilli.
Ma un attimo, facciamo un passo indietro. Qualche tempo fa, in un numero pre estivo della Lettura del Corriere della Sera, Davide Ferrario scriveva un articolo intitolato Nuovi Franti d’Italia. La tesi era molto semplice: «Da ormai trent’anni», scrive Ferrario, «viviamo una dimensione morale, culturale, politica in cui l’irrisione è il principale strumento di confronto, a scapito della dialettica. A livello di massa, internet ha offerto la dimensione perfetta alla pratica frantiana di tirare il sasso e nascondere la mano, come si rileva da ogni chat». E conclude: «Franti, oggi, siamo noi — come lui incazzati per un torto subito di cui non ci diamo ragione, e incapaci di raddrizzarlo con le nostre azioni».
Il discorso di Ferrario sembra proprio la teorizzazione di quello che sta dietro al gesto di Mentana e al Webete, già divenuto proverbiale. Il sunto è: Internet ha dato la possibilità alla gente di liberare la propria cattiveria e così siamo tutti diventati Franti, ovvero degli stronzi maleducati che odiano tutto e tutti e che non perdono occasione per provocare il dolore altrui e riderne. Franti, se non lo conoscete, è un personaggio del libro Cuore di De Amicis ritornato agli onori della critica grazie a un saggio a lui dedicato da Umberto Eco, che nel suo Diario Minimo del 1963 gli dedica un bellissimo Elogio di Franti.
Davide Ferrario ha ragione, ma solo in parte e la storia di Mentana e del suo webete lo dimostra. Ha ragione quando dice che abbiamo ereditato i caratteri del Franti, l’umorismo cinico e nero, la cattiveria. Ma c’è un dettaglio che manca nell’analisi di Ferrario ed è quello che gli fa sbagliare l’ultima frase, quel “Franti, oggi, siamo noi”.
Perché è sbagliata? Perché di Franti abbiamo preso tutto tranne l’unica cosa che faceva di Franti un Franti, ovvero un vero escluso. Franti è un emarginato che, anche nel racconto parziale e ingenuo di Enrico, narratore del libro Cuore che ora definiremmo come un gran sfigato, riesce ad emergere come l’unico ad avere la caratteristica vera dei perdenti: Franti non ha niente da perdere. A Franti non gliene frega un cazzo. Di niente. Non ha sovrastrutture, non ha morale, non ha sensi di colpa.
Per questo non siamo Franti. Non ne siamo all’altezza. Charlie era Franti, noi siamo dei Garroni sfigati. Del Garrone abbiamo il “guarda mamma, senza mani”, ma soprattutto di Garrone abbiamo l’ego smisurato, l’ego come punto di partenza e punto finale di ogni nostra azione. È in questo che ci siamo imbarbariti. È per questo che ci ritroviamo — io, tu, voi, loro, Mentana — a fare i Garrone con altri Garroni. A fare i maestrini con altri maestrini. Siamo finiti in un turbine dove non conta più chi ha ragione o chi ha torto, ma dove conta soltanto il tenore della risposta e il numero di like che riesce ad accumulare.
E in questo che Mentana e il suo troll sono la stessa cosa. Il motore immobile delle loro azioni è l’ego, non altro. E noi non siamo meglio. Siamo uguali anche noi. Piccoli Garroni che non vorrebbero essere i primi della classe in un mondo in cui la classe ormai è esplosa. Se fossimo realmente Franti saremmo cattivi, ma cattivi sul serio, e in qualche modo almeno saremmo ancora un po’ umani.
No, aveva ragione Umberto Eco anche quando, 50 anni dopo l’Elogio di Franti, scriveva che i social network sono popolati da imbecilli. E sapete perché aveva ragione? Sapete perché poteva dirlo? Perché lui sui social network non c’era. Forse l’aveva capito che dare del coglione a qualcuno da una cattedra ben piantata in uno zoo per gli eghi della gente come è Facebook sarebbe stato un parlarsi allo specchio. Perché, fintanto che stiamo lì dentro a insultarci e a prenderci passivagressivamente per il culo, be’, siamo tutti Wembecilli.