Il Vesuvio brucia, il Vesuvio fuma. È il letimotiv di quest’estate e degli ultimi mesi. Ma non è il vulcano campano che si risveglia. Oggi, alle pendici di questo cono nero pur sempre minaccioso per tutti i comuni vesuviani, c’è qualcosa di altrettanto distruttivo e nocivo. Sono le numerose discariche di rifiuti tossici e rifiuti speciali pericolosi disseminate lungo il perimetro del Parco Nazionale del Vesuvio, tra pinete, strade caseggiati, vigne, campagne. Il peggio è che sopra questo potenziale distruttivo, seppellito nel sottosuolo, continuano a perpetrarsi roghi ed incendi di materiali, come se i luoghi non fossero già infernali e non provocassero di per sé abbastanza morte. Il luogo, visto dall’alto o da fuori, sembrerebbe un locus amoenus. Macchia mediterranea, pini marittimi e lontano il mare azzurro del golfo che digrada verso la costa e la penisola sorrentina. Eppure avvicinandosi alla terra e scavando dentro quelle profondità s’annida un male orribile, seppellito nei decenni vicino case, fattorie, campi coltivati.
La storia inizia oltre trent’anni fa quando diverse cave per estrarre materiali edili presenti nella zona furono utilizzate come discariche per rifiuti speciali con camion provenienti da tutta Italia che scaricavano a tutte le ore del giorno e della notte. Tecnicamente queste zone sono fuori dal perimetro della Terra dei Fuochi. Forse per questi gli attivisti e gli abitanti della zona l’hanno ribattezzata la « Terra dei Fuochi Vesuviana ».
Un luogo in cui nei decenni è stato compiuto uno dei più gravi reati ambientali della storia d’Italia. Nel corso degli anni ’80, camion pieni di rifiuti tossici si sono inerpicati lungo le pendici del vulcano, costeggiando vigneti e campagne, per scaricare i loro veleni. Alcuni rimorchi di automezzi sono stati addirittura interrati insieme al proprio contenuto nocivo come se interrarli a 4 o 5 metri nel sottosuolo servisse a cancellarne per sempre le tracce tossiche. All’epoca ci furono presìdi, resistenze da parte della popolazione ma poi le proteste scemarono.
Troppo deboli se equiparate alle robuste e ramificate connivenze che esistevano, e esistono tutt’oggi, tra amministrazioni locali e camorra. Con i rifiuti tossici – qui sotto al Vesuvio ma anche in tutta l’estensione della Terra dei Fuochi – sappiamo che la camorra ci ha costruito un impero. Del resto non è un caso che proprio in queste settimane sia avvenuto l’arresto dell’avvocato Cipriano Chianese di Parete – inventore delle ecomafie per conto dei clan Casalesi – dopo la sentenza di condanna a venti anni di reclusione per disastro ambientale e traffico illecito di rifiuti con l’aggravante mafiosa. La terra vesuviana è intrisa di veleni e fino ad oggi sono stati solo gli abitanti della zona a pagarne le conseguenze. Anche con la vita. E malgrado le prese di posizioni di facciata, lo Stato e le amministrazioni qui hanno voltato gli occhi dall’altra parte come se la sorte dei cittadini delle zone non fosse affar loro.
Il 26 Luglio scorso i carabinieri del NOE di Napoli hanno sequestrato l’intera area di Cava Fiengo, che s’estende per circa 15 ettari. Il paradosso è che qui siamo in pieno Parco Nazionale del Vesuvio
Dicevamo della Terra dei Fuochi Vesuviana, inizialmente poco conosciuta ed ora balzata sulle cronache dopo il sequestro di alcune cave nell’ercolanese. Come denunciato già dagli anni ’80 da parte della Rete dei Comuni Vesuviani, si è registrata qui un’impennata di tumori dovuta alle discariche abusive di amianto, a seguito della dismissione dei tanti capannoni industriali del litorale e contenuto nelle lastre di eternit, responsabile di patologie pleuriche e di altri rifiuti speciali pericolosi. Ercolano, Terzigno, Boscoreale. I veleni seppelliti per decenni nel Parco nazionale del Vesuvio hanno negli anni raggiunto anche le falde acquifere contaminando l’acqua e condannando praticamente a morte migliaia di persone. Un massacro che sembra invisibile perché non avviene da un giorno all’altro ma si prolunga nei decenni con patologie tumorali diversificate.
Il 26 Luglio scorso i carabinieri del NOE di Napoli, eseguendo il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip Nunzio Fragliasso su richiesta della Procura della Repubblica di Napoli, hanno sequestrato l’intera area di Cava Fiengo, che s’estende per circa 15 ettari. Il paradosso è che qui siamo in pieno Parco Nazionale del Vesuvio non in zona industriale. I reati ascritti sono quelli di realizzazione di discarica abusiva e inquinamento ambientale. Le indagini sono partite grazie ad un collaboratore di giustizia.
Dopo un’accurata campagna di scavi qui sono stati trovati circa 400.000 metri cubi di rifiuti speciali, fusti da 200 litri deteriorati, fusti contenenti olio lubrificante, carcasse di autovetture e autocarri, imballaggi in plastica e metalli. Le analisi chimiche effettuate in situ hanno evidenziato il superamento, oltre ogni milite ragionevole, della soglia di contaminazione previste per i siti ad uso verde pubblico ed in generale per qualunque altro sito di stoccaggio. Sballati i parametri di berilio, cromo, cromo esavalente, rame, piombo, zinco e idrocarburi pesanti. La cava è stata sequestrata dal magistrato anche per impedire la perpetrazione di ulteriori reati visto che all’interno della cava i roghi continuavano come denunciato da diverse associazioni cittadine.Salute Ambiente Vesuvio è proprio una di quelle associazioni che si propone di monitorare e denunciare la grave situazione ambientale e sanitaria che caratterizza la zona vesuviana, con riferimento all’allarmante diffusione di malattie tumorali. «In una zona già ampiamente contaminata da discariche abusive – racconta a Linkiesta Marianna Ciano, portavoce dell’associazione Salute Ambiente Vesuvio – continuano i roghi. Continuano a raccontarci la frottola dell’autocombustione. Noi non crediamo che si tratti di autocombustione ma di roghi dolosi. Visto ciò che sta venendo fuori da queste cave qualcuno, appiccando i roghi, vuole evitare che si continui a scavare. L’ultima volta che siamo andati a fare un sopralluogo con don Marco Ricci (sacerdote che fa parte dell’associazione ndr) siamo stati seguiti da un ragazzino con uno scooter. Quando ce ne siamo accorti, lui è scappato via. Evidentemente è stato mandato da qualcuno per controllare quello che stavamo facendo. Chi? Ricordo che la zona è sottoposta a sequestro. Poi vorrei aggiungere un’altra cosa. Il Comune di Ercolano ha creato appositamente una Commissione Speciale per i Rifiuti per risolvere il problema. Ma fino ad ora di concreto non hanno fatto nulla. Ci chiedono sempre di collaborare ma noi come cittadini siamo stanchi. Il cittadino denuncia cio’ che non va ma è il politico dovrebbe prendere provvedimenti seri e questo non avviene. Sono cinquant’anni che si sa che qui ci sono rifiuti interrati, la gente continua a morire e nessuno fa niente. Questo non è più accettabile».
Studiando un campione di 324 residenti di San Vito, una frazione di Ercolano, è emerso che in un territorio abitato da circa 6000 persone ci sono 203 persone malate
Le affermazioni dell’associazione sono fortificate anche da dati e studi, come quello coadiuvato dal dottor Gerardo Ciannella, direttore dell’Unità di Medicina Preventiva dell’ospedale Monaldi di Napoli e docente di Tisiologia e Medicina del Lavoro. Da diversi anni il medico è impegnato con l’associazione Salute Ambiente Vesuvio nello studio dell’incidenza di patologie polmonari, leucemie ed altri tumori nella popolazione che vive in contrada San Vito, nella parte alta di Ercolano. Secondo un rapporto stilato dallo stesso medico, studiando un campione di 324 residenti di San Vito, una frazione di Ercolano, è emerso che in un territorio abitato da circa 6000 persone ci sono 203 persone malate (130 uomini e 73 donne). Le patologie sono leucemie, neoplasie respiratorie, neoplasie digestive, neoplasie urinarie, neoplasie celebrali, neoplasie mammarie.
«Ho lavorato tantissimo su questo tema – racconta a Linkiesta il medico Gerardo Ciannella – e ho riferito in pubblico. I dati fatti sul territorio, lavorando su un campionario-inchiesta distribuito alle famiglie ed elaborando in seguito statisticamente i dati, dimostrano che c’è un rapporto diretto tra leucemie, il mesioteloma pleurico, e presenza di rifiuti tossici nella zona. Il mio lavoro purtroppo non ha avuto seguito. Tra l’altro mi è costato risorse, tempo, sacrifici, tutto fatto gratuitamente. Posso dirle con franchezza che esiste un’evidenza scientifica nei dati ed io volevo pure che me li contestassero scientificamente. Ma non sono stati contestati scientificamente. Dunque per me restano validi ed io sono pronto a difenderli e a ripresentarli qualora venissi chiamato in causa».
Ma i rifiuti tossici qui non sono l’unico pericolo. Nel corso delle sue ricerche il medico ha anche scoperto che in quella zona diversi bambini si sono ammalati di rare neoplasie cerebrali ed è riuscito a stabile un collegamento tra le insorgenze di queste patologie e la presenza dell’elettrodotto che attraversa quell’area con cavi e tralicci a pochi metri dalle abitazioni. «A San Vito – spiega Gerardo Ciannella – c’è anche il problema dell’elettrosmog e delle due scuole, la Ungaretti e la De Curtis. In maniera criminale qualcuno ha deciso di costruire sotto le scuole gli elettrodotti. Qui abbiamo riscontrato in effetti un’incidenza di leucemie nei ragazzi, tra cui casi di neuroglioblastoma, un tumore rarissimo tra i ragazzi minori di 14 anni che può essere correlata alle radiazioni elettromagnetiche dei cavi dell’alta tensione, ma anche leucemie dell’apparato respiratorio nell’abitato della zona. Insomma tra rifiuti tossici e elettrosmog abbiamo raccolto dati sconvolgenti, soprattutto se equiparati a livello nazionale. Abbiamo fatto un lavoro capillare sul territorio ed abbiamo esortato l’amministrazione locale ad intervenire immediatamente ma non si è mosso nulla. C’è stata omissione, inerzia, indifferenza».
Se questi dati sconvolgenti sono emersi alla luce del giorno lo si è dovuto anche grazie alla denuncia di due sacerdoti. Don Marco Ricci, sacerdote della chiesa di Santa Maria della Consolazione a Ercolano e padre Giorgio Pisano. Don Marco Ricci e padre Giorgio Pisano attestarono un fenomeno macabro. Un numero elevatissimo di funerali di bambini nelle loro diocesi. Allora capirono che c’era qualcosa che non andava e si rivolsero al Monaldi per far luce sulla faccenda e porvi rimedio. Grazie ai dati emersi in seguito alle segnalazioni dei due parroci si è scoperto che nelle zone della chiesa parrocchiale del Sacro Cuore, Croce dei Monti, Parco delle Mimose e San Vito c’è un’incidenza di tumori spaventosamente alta. Oltre ai casi accertati, ciò che maggiormente preoccupa è l’incidenza sul territorio. Ovvero più gli anni passano più le malattie aumentano. Tra il 2000/2009 risulta essersi ammalato il 6,65% della popolazione. Nel 2010/2013 l’11% . Un altro esempio: in tutta Italia, nel 2005, si sono stati registrati 450 casi complessivi di leucemia su 60 milioni di abitanti. Di questi 450 ce n’erano ben 8 nella sola piccola frazione di San Vito. Insomma dati drammatici che pero’ non hanno spinto le autorità a prendere provvedimenti drastici.
Conoscendo da dove provengono i materiali che compongono i roghi basterebbe attivare la guardia di finanza affinché si avviino operazioni di controllo sul territorio. Ma la finanza non lo fa
I dati raccolti dal medico Ciannella fanno poi il paio anche con quanto stabilito dallo studio Sentieri (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento). Avviato nel 2007 nell’ambito del Programma strategico nazionale “Ambiente e salute”, coordinato dall’Istituto superiore di sanità e finanziato dal Ministero della salute, lo studio è stato concepito allo scopo di studiare la mortalità delle popolazioni residenti nei SIN (Siti di interesse nazionale per le bonifiche) e contribuire a individuare le priorità negli interventi di risanamento ambientale. Lo studio sulla “Terra dei Fuochi” (individuata in 55 comuni nelle province di Napoli e Caserta) è stato realizzato proprio con lo scopo di rilevare eventuali eccessi di mortalità, incidenza oncologica attraverso i dati di ospedalizzazione. Per la mortalità e l’ospedalizzazione lo studio ha analizzato le basi di dati elaborate dall’Ufficio di Statistica dell’ISS – a partire dai dati ufficiali ISTAT e dalle Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO) rilasciate dal Ministero della Salute. Per l’incidenza oncologica, ci si è avvalsi invece della collaborazione di Registri Tumori (RT) locali e dell’Associazione Italiana dei Registri Tumore (AIRTUM). Per la Terra dei Fuochi i dati sono relativi ai 17 comuni della provincia di Napoli, serviti dal RT dell’ASL Na3 Sud.
E quali sono i risultati? Secondo il rapporto, il quadro epidemiologico della popolazione residente nei 55 comuni della “Terra dei Fuochi” è caratterizzato da una serie di eccessi della mortalità e dell’ospedalizzazione per diverse patologie a eziologia multifattoriale. «Nell’insieme dei comuni della Terra dei Fuochi della provincia di Napoli (32 comuni) e della provincia di Caserta (23 comuni) – si legge nel rapporto – la mortalità generale è in eccesso in entrambi i generi. In particolare è stato individuato il gruppo di patologie per le quali sussiste un eccesso di rischio in entrambi i generi: tumori maligni dello stomaco, del fegato, del polmone, della vescica, del pancreas, della laringe, del rene, linfoma di Hodgkin. Anche il tumore della mammella, secondo il rapporto, è in eccesso».
Parallelamente al problema dei rfiuti tossicci seppelliti nelle zone, c’è anche il problema dei roghi che non accennano a spegnersi anzi s’intensificano, soprattutto in periodo estivo e in zone come “il triangolo dei fuochi” (Acerra-Afragola-Casalnuovo) dove vivono quasi duecentomila abitanti. Duecentomila persone la cui vita è a rischio per le condizioni in cui versano aria, acqua e terra, altamente contaminati. Il fumo sprigionato dai continui roghi tossici invade come una coltre nera città e campagne. Delinquenti locali senza scrupoli offrono manciate di spiccioli ad immigrati per disfarsi dei rifiuti facendoli incendiare nei terreni. «In questi anni non è cambiato niente ed il problema dei roghi continua a sussistere – dice a Linkiesta Vincenzo Tosti del Coordinamento Comitati Fuochi – soprattutto non s’intravede la volontà di risolvere il problema. Per evitare i roghi devi eliminare tutto cio’ che alimenta il rogo, ovvero tutto l’indotto al nero che lavora qui in queste zone.
Calzaturiero, tessile, inerti. Invece di lavorare sull’emergenza, ovvero a danno effettuato, bisogna ripristinare l’ordinario. Conoscendo da dove provengono i materiali che compongono i roghi basterebbe attivare la guardia di finanza affinché si avviino operazioni di controllo sul territorio. Ma la finanza non lo fa. Questo avrebbe tra l’altro un costo zero sulla comunità. Anche i comuni dovrebbero far girare vigili urbani per controllare quali siano i cantieri aperti e chi sta ristrutturando. Ci sono le autorizzazioni ? Quali sono le società che vi lavorano e che fine fanno i rifiuti ? Insomma bastano piccole azioni del genere, a costo zero, per togliere la linfa a questa piaga della nostra terra. Ma evidentemente cio’ non conviene, bisogna fare il percorso emergenziale perché in tal modo qualcuno ci lucra, c’è la ditta alla quale viene conferito l’incarico che poi ci guadagna a discapito della comunità ».
I roghi non preoccupano solo i cittadini che vivono in queste zone e che sono obbligate a respirare fumi tossici ma anche i sindacati dei vigili del fuoco operanti nella zona, che da alcuni mesi lanciano un grido preoccupato per quanto riguarda le condizioni igienico-sanitarie dei vigili del fuoco attivi nello spegnimento dei roghi. Nel corso di incendi di materiali tossici i vigili del fuoco sono infatti esposti ai fumi liberati dalla combustione dei materiali, fumi composti da particelle solide, gas e altri composti chimici.
Le particelle più piccole sprigionate da queste combustioni, nanoparticelle dell’ordine di un miliardesimo di metro, entrano in profondità nell’organismo e fanno danni oltre al fatto che possono essere trasportare sui veicoli e nelle abitazioni e nelle case. I sindacati CGIL, CISL e Uil dei Vigili del Fuoco di Napoli sono preoccupati perché le sedi di servizio non sarebbero adeguatamente attrezzate per decontaminare gli automezzi e gli operatori dopo gli interventi di spegnimento, perché non ci sono regole chiare e sicure sulla procedura di pulizia dei guanti, degli stivali e non esistono misure che scongiurino la diffusione di malattie infettive e parassitarie. Paure legittime per coloro che, come i vigili del fuoco, sono in trincea tutto i giorni su un fronte che purtroppo non si spegne mai.Insomma dopo decenni di interramenti scientifici con coperture politiche ad alto livello, malversazioni, scandali a ripetizione ed abili insabbiature politiche, all’ombra del Vesuvio per i rifiuti ed i roghi tossici si continua e purtroppo si continuerà a morire.