Uno degli strumenti che da sempre gli Stati, specie quelli molto indebitati come il nostro, hanno avuto di dimostrare la volontà di riacquistare fiducia da parte del resto del mondo, investitori, mercati, politici, ecc, è quello di dichiarare l’intenzione di ridurre la differenza tra le entrate e le uscite e poi di mantenere quanto promesso. Questo oltre a fare le famose riforme per migliorare la produttività del sistema. Detto in termini tecnici si tratta di diminuire il disavanzo primario, ovvero la differenza tra spesa pubblica ed entrate una volta esclusa la spesa per interessi. Nel caso dell’Italia, tra i pochi Paese ad avere avuto dal 1991 in realtà un avanzo primario, si è sempre trattato di aumentare questo, così da avvicinarlo sempre più alla spesa per interessi, classicamente da noi più alta che altrove, e quindi ridurre il famoso rapporto deficit/PIL, quello che per Bruxelles deve rimanere sotto il 3%, e, anzi, diminuire gradatamente fino a zero. Una delle critiche fatte ai governi italiani in passato è stato quello di essersi “mangiato” questo avanzo, di avere usato la minore spesa per interessi non per diminuire il deficit totale o per tagliare le imposte, ma per aumentare la spesa, generando anzi una diminuzione di questo avanzo primario.
E’ quanto avvenuto nel 2000-2005 sotto i governi Amato e Berlusconi, per esempio. Erano anni precedenti alla grande crisi. Quella crisi che pochi in fondo prevedevano. Sono passati diversi anni, una devastante crisi che l’Italia ha sofferto più di tutti e ha fatto capire l’importanza dell’essere formica e non cicala, eppure a quanto pare ci risiamo. Il giochetto appare lo stesso: grazie a Draghi e al QE (Quantitative Easing) i tassi sono crollati, così la spesa per interessi, e lo Stato ne approfitta per non tagliare le spese, per non aumentare quell’avanzo primario che anzi si è ridotto rispetto ai tempi dell’emergenza, ai mesi di Monti. Qui l’andamento dell’avanzo primario nei diversi trimestri degli ultimi anni. I valori fluttuano perchè nei vari trimestri ci sono poste di entrate o uscite ed elementi stagionali che non si ripetono in quelli successivi, ma facendo un confronto con gli stessi periodi degli anni precedenti vediamo che non vi è un aumento omogeneo dei saldi primari, che anzi appaiono in gran parte inferiori a quelli del 2011-2013.
Al contrario rispetto agli stessi anni la spesa per interessi è calata in modo più deciso.
Di fatto è grazie a questa che il deficit è rimasto sotto al 3%, grazie alla BCE e a Draghi, esattamente come gli anni successivi all’introduzione dell’euro, quando era solo il calo, allora ben più imponente, dei tassi a tenere i conti a galla e a supplire alla mancanza di disciplina di bilancio.
La storia si ripete. Se i dati precedenti sono viziati da stagionalità e possono apparire poco chiari, questi sono ben più comprensibili:
Se abbiamo Deficit/PIL= Saldo primario – spesa per interessi (anche questi in relazione al PIL, si intende), quando la spesa per interessi cala, un governo può decidere di migliorare il saldo primario così da spingere il deficit/PIL più vicino allo zero, o al contrario di usare tutto o una parte dell’effetto del calo dei tassi per fare più spesa o non tagliarne. E’ quello che come si vede è avvenuto nei primi anni 2000. E poi di nuovo, seppur in forma minore, dopo il 2012.
Allora, pur nel pieno della recessione, e con i tassi in aumento, avevamo raggiunto il 2,3% di avanzo primario. E poi invece di mantenerlo o meglio aumentarlo approfittando del calare dei venti di tempesta finanziaria i governi Letta e Renzi lo hanno diminuito fino al 1,6% di fine 2015.
Tra i principali Paesi dell’area euro siamo quelli che hanno migliorato meno degli altri questo saldo primario rispetto all’anno nero 2009, quanto per la prima volta da 18 anni andò in negativo in Italia
E rispetto al 2012 siamo stati gli unici a peggiorarlo
E questo nonostante siamo coloro che più hanno beneficiato del calo della spesa per interessi
Si dirà, è quello che ha fatto notare sul Corriere Fubini poco tempo fa, l’Italia è il Paese che anno dopo anno ha accumulato più avanzo di bilancio di tutti, anche più della Germania, in fondo, è il pensiero di molti, siamo stati i più “virtuosi”.
In realtà anche quel primato ci sta sfuggendo, la Germania ci ha ormai superato, e Francia e Spagna sono migliorati più di noi, e sono lontani gli anni ‘90 quando potevamo dirci i “campioni” del risanamento.
E soprattutto è poco consolatorio e onorevole far notare che chi ha un debito enorme risparmi un pizzico di più di chi ne ha uno grosso la metà. Troppo spesso viene dimenticato in patria (ma non all’estero) che abbiamo un debito del 135% del PIL contro il 68% circa della Germania e un livello intorno al 100% di Francia e Spagna.
Ancora c’è incertezza sui valori del 2016, il deficit/PIL sarà intorno al 2,3-2,4% nelle intenzioni del governo, il saldo primario dovrebbe migliorare di un misero 0,1%, andando al 1,7%, ma ovviamente è tutto da vedere, dopo la doccia fredda della crescita zero nel terzo trimestre.
Non può sfuggire un confronto con le intenzioni del 2014 e la realtà attuale.
Allora il governo aveva pubblicato nella nota di aggiornamento al DEF le seguenti previsioni:
Queste le cifre invece del DEF di quest’anno
Secondo le previsioni del 2014 nel 2016 il deficit/PIL doveva essere del 1,8%, uno 0,5-0,6% meno di quello previsto ora, e il saldo primario doveva raggiungere il 2,7%, 1 punto più di oggi. Nonostante, appunto, la spesa per interessi inferiore.
Cosa è successo? In passato, classicamente, le stime erano state riviste a causa del peggioramento rispetto alle previsioni della crescita del PIL.
Eppure nel 2014 le previsioni sul 2014-2015-2016 erano state azzeccate. La crescita effettiva era stata solo di un 0,1% peggiore nel 2014 e addirittura migliore nel 2015. Così nel 2016 dovrebbe essere intorno allo 0,8%
E allora cosa è successo? Perchè il governo Renzi, come a suo tempo altri governi, non ha mantenuto le promesse di aumento dell’avanzo primario e riduzione del deficit, nonostante altri Paesi neanche tanto virtuosi come Spagna e Francia abbiano potuto mettere a segno miglioramenti maggiori, e nonostante le previsioni sulla crescita si sono dimostrate azzeccate?
Parafrsando Clinton, “it’s the politics, stupid”, nel tempo del ritorno dell’importanza della politica sull’economia, sui “professoroni” e i “burocrati di Bruxelles” contano altre cose. Conta il consenso. Il 2014 il governo veniva dal trionfo delle europee, tempi lontani, oggi c’è un referendum da vincere, una impopolarità da combattere. I freddi numeri possono aspettare.
Benvenuti di nuovo nell’era della cicala, fino alla fine della pioggia di euro di Draghi, fino alla prossima crisi.