Quanti sono 5.080 bambini? Forse abbastanza per indignarsi, oppure per accorgersi che il problema delle violenze sui minori ci riguarda più di quanto pensiamo.
Il nuovo rapporto di Terres de Hommes, onlus che si occupa di mnori, fa riflettere: nel 2015, in Italia, sono state 5.080 le vittime di abusi, in aumento rispetto ai 4.946 registrati cinque anni fa. Tra queste, 770 hanno subito violenze sessuali. Il dato più inquietante riguarda poi le vittime di pedopornogirafia, aumentate del 537% rispetto a cinque anni fa.
Come si spiega un incremento del genere?
Intanto bisogna distinguere tra chi si riprende volontariamente in atteggiamenti spinti e chi, invece, viene costretto a farlo. In entrambi i casi, prima o poi, il ricatto arriva.
Il primo canale su cui possono diffondersi immagini pedopornografiche è il web, quello dei normali siti porno accessibili a chiunque. «Per fortuna – spiega Ernesto Caffo, presidente della storica onlus Telefono Azzurro – molti di questi siti hanno potenziato la lotta alla pedopornografia e riescono ad eliminare il materiale che riguarda i minori». Un simile controllo non è possibile, invece, nel deep web, quella parte di internet nascosta, molto difficilmente rintracciabile, utilizzata anche per i traffici di droga e armi da un Paese all’altro. È qui che chi sfrutta e ricatta si ritrova, crea comunità, condivide video e esperienze, come spiega Caffo: «Spesso un criminale trova giustificazione al proprio comportamento stando tra chi è come lui, si sente invincibile, parte di un gruppo».
Non bisogna pensare che queste persone siano corpi estranei alla società, vecchi malati che passano le giornate in casa adescando bambini online. Il dramma è che, invece, queste persone sono quasi sempre perfettamente integrate, hanno una famiglia normale e una relazione stabile. Un lato nascosto, naturalmente, c’è: «Hanno un forte disturbo di personalità, quasi sempre non hanno raggiunto una felice maturità sessuale e dunque si rifanno sui più deboli», spiega Caffo.
Si entra in contatto con un ragazzino, spesso non un estraneo, lo si convince ad inviare materiale sessuale e, a quel punto, lo si mette online. Non solo: «In certi casi la violenza diventa ancor più diretta: si ottiene un video e si costringe il minore a prostituirsi per evitare che quel filmato circoli in rete», dice Caffo.
In famiglia e a scuola parliamo molto poco di sessualità coi ragazzi e lasciamo che la maggior parte dei massaggi arrivi dao bombardamento commerciale che riguarda il corpo
Non si può non fare i conti, poi, con l’enorme facilità di accesso alla rete. Oltre ai siti web, infatti, gran parte della pedopornografia viaggia su app di messaggistica istantanea e su chat: «I ragazzi utilizzano moltissimo sistemi come Snapchat e Periscope – spiega Caffo – anche scambiandosi immagini spinte tra di loro. A quel punto i criminali intercettano foto e filmati, ne vengono in possesso e minacciano di diffonderli».
Se però i minori si scambiano foto spinte, allora un problema culturale c’è. Da una parte abbiamo la lotta ai criminali, portata avanti dalle forze dell’ordine, dall’altro i ragazzi devono essere aiutati a prendere coscienza del proprio corpo e della drammatica vulnerabilità di ciò che si scambiano online. «C’è una drammatica assenza di educazione alla propria sessualità: i ragazzi erotizzano all’estremo il corpo, sembrano non dare importanza al nudo», commenta Caffo.
I ragazzi sono le vittime di tutto ciò, ma possono avere un ruolo attivo per prevenire le mosse dei criminali. «In famiglia e a scuola parliamo molto poco di sessualità coi ragazzi, lasciamo che la maggior parte dei messaggi gli arrivi dal bombardamento commerciale che riguarda il corpo», spiega Caffo.
Se responsabilizzare i ragazzi è fondamentale, bisogna poi essere efficaci anche nell’agire contro i criminali sul piano investigativo. E qui c’è qualche (altro) problema.
Da qualche anno infatti la lotta alla pedopornografia è gestita dal Centro Nazionale per il Contrasto alla Pedopornografia sulla rete, sezione della Polizia di Stato. Come conferma Caffo, il centro lavora bene, ma da solo non può stare al passo delle tecnologie criminali. Il deep web, per dirne una, agisce su scala internazionale rimbalzando i messaggi da un server ad un altro e non si può pensare di contrastare il fenomeno della pedopornografia senza un coordinamento con gli altri Paesi. Su quest’aspetto bisogna migliorare e permettere un pieno flusso di informazioni e dati.
Non è tutto: «in Italia le leggi per punire i colpevoli ci sono – spiega Caffo – ma sono datate, non sono basate sulle attuali tecnologie e bisogna continuamente affidarsi a nuove interpretazioni».
Il rapporto di Terres de Hommes ci dice che non possiamo sentirci al sicuro. I nostri giovani rischiano di mettersi in pericolo con crescente facilità e c’è pieno di gente con le peggiori intenzioni pronta a approfittarsene. Bisogna accorgersene presto tutti: basta un attimo perché sia troppo tardi.