Il Parlamento si è dimenticato la riforma della cittadinanza. Ottocentomila bambini aspettano di diventare italiani

La norma attribuisce la cittadinanza ai bambini nati nel nostro Paese da genitori stranieri (purché in possesso si permesso di soggiorno). Approvata un anno e mezzo fa alla Camera, si è bloccata al Senato. Sommersa da 8mila emendamenti

Andreas Rentz/Getty Images

Sono nati in Italia, hanno studiato nelle nostre scuole, ma non sono italiani. Almeno 800mila ragazzi cresciuti nel nostro Paese aspettano ancora la cittadinanza. Un anno e mezzo fa la Camera dei deputati ha approvato a larga maggioranza una riforma a suo modo rivoluzionaria. Una legge che rende italiani i bambini nati nelle nostre città, figli di genitori stranieri. Eppure una volta trasmessa al Senato, la norma si è arenata in commissione Affari costituzionali. La delicata fase politica ha finito per accantonare la riforma, un rinvio dopo l’altro. Ci sono altre priorità, si giustifica qualcuno in Parlamento. Intanto il testo è stato letteralmente sommerso da circa 8mila emendamenti, presentati quasi tutti dalla Lega Nord.

E il tempo passa. La legge è arrivata a Palazzo Madama il 13 ottobre 2015. Per sbloccare l’iter e accelerare la calendarizzazione della riforma, adesso si muove un gruppo di parlamentari e associazioni. In questi giorni è partita una campagna di sensibilizzazione per riportare il tema della cittadinanza al centro del dibattito. A guidare l’iniziativa sono i deputati del Pd Khalid Chaouki e la collega di Democrazia Solidale Milena Santerini. E con loro una quarantina di eletti che hanno già aderito all’appello. Un paio di giorni fa una delegazione è stata ricevuta dal presidente del Senato Pietro Grasso, che si è schierato convinto a favore della riforma. «Se dipendesse da me – ha spiegato la seconda carica dello Stato – la legge sarebbe già stata approvata».

«Non siamo immigrati, non abbiamo attraversato alcuna frontiera. Siamo nati qui». Racconta Maruan. Non manca una provocazione. «Siamo più italiani noi o quei partiti che inneggiano alla secessione del Paese?»

In attesa di conoscere il destino della legislatura, c’è chi teme di non riuscire a raggiungere l’obiettivo. Nessuna forzatura, assicurano i parlamentari a favore della riforma. La norma approvata a Montecitorio è già il frutto di un accordo politico. «Alla Camera – spiega Chaouki durante un incontro con la stampa – abbiamo approvato un testo equilibrato, con l’obiettivo di assicurare in tempi rapidi un diritto sacrosanto per oltre 800mila ragazzi». I cardini della legge sono due. Attraverso una forma di “ius soli” temperato, si attribuisce la cittadinanza italiana ai bambini nati nel nostro Paese da genitori stranieri, purché in possesso di un permesso di soggiorno di lungo periodo. Ma la norma riconosce la cittadinanza anche ai minori arrivati in Italia entro i 12 anni di età, dopo aver concluso un ciclo di studi. Nessun riferimento agli adulti. «Proprio per facilitare un’intesa tra i partiti abbiamo stralciato tutti i temi più divisivi» racconta uno dei parlamentari che hanno seguito l’iter a Montecitorio.

«È una riforma di buonsenso» racconta Chaouki. «Riconosce la cittadinanza a chi è già parte della nostra società». Il tema divide il Parlamento. Tra i partiti non c’è un accordo trasversale. Qualcuno teme che la norma possa aprire le frontiere a un’immigrazione senza controllo. Nel Paese i dubbi sarebbero molto meno diffusi, spiegano i proponenti. Stando ad alcuni recenti sondaggi, almeno il 70 per cento degli italiani si considera a favore del riconoscimento della cittadinanza per i figli di stranieri nati in Italia. «La legge non svilisce la cittadinanza, ma la valorizza» racconta il viceministro dell’Agricoltura Andrea Olivero, presente anche lui all’incontro. «È una legge giusta e ragionevole. Sfida tutti i parlamentari a schierarsi: un testo non ideologico né buonista. Chi si oppone non vuole l’integrazione».

Sono nati in Italia, hanno studiato nelle nostre scuole, ma non sono italiani. Almeno 800mila ragazzi cresciuti nel nostro Paese aspettano ancora la cittadinanza

In attesa della calendarizzazione, centinaia di migliaia di ragazzi seguono con particolare interesse il dibattito parlamentare. È il caso di Fatima Edith Maiga, originaria della Costa d’Avorio, rappresentante del movimento “Italiani senza cittadinanza”. «Abbiamo aspettato per troppi anni – racconta – non vogliamo continuare ad essere fantasmi». Storie diverse, un unico filo conduttore. Maruan Oussaifi è nato a Frosinone da padre tunisino. In Parlamento rappresenta l’Anolf, l’Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere. «Non siamo immigrati, non abbiamo attraversato alcuna frontiera. Siamo nati qui». Non manca una provocazione. «Siamo più italiani noi o partiti come la Lega che inneggia alla secessione del Paese?». Qualcuno prova a spiegare il proprio senso di appartenenza. Come Dawood Yousefi, del movimento Gente di pace. Nato in Afghanistan, è fuggito nel nostro Paese che era ancora minorenne. Oggi vive a Roma. «L’Italia per tutti noi è diventata una madre adottiva – spiega – Ecco perché mi sento italiano». Qualcuno di loro ce l’ha fatta. Marco Wong è il presidente di Associna, lui la cittadinanza l’ha già ottenuta. «Questa riforma va soprattutto nell’interesse dell’Italia -racconta – I nuovi italiani possono diventare dei ponti verso altri paesi. E i ponti distruggono quei muri che ultimamente vanno tanto di moda».

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