SportSport, zero donne tra i dirigenti, si comincia a cambiare a partire dalla boxe

Maria Moroni, prima pugile italiana tesserata alla Fpi, corre da sola come consigliere in quota societaria alle prossime elezioni federali. E dice: “Coni e federazioni devono adeguarsi alla legge sulle quote di genere”

Se la politica italiana non è messa bene in merito alla presenza di donne nei posti che contano, la politica sportiva sembra appartenere a un’era geologica ancora precedente. Quella del livello zero delle pari opportunità. Nessuna delle 40 federazioni sportive nazionali è guidata da una donna, tantomeno gli enti di promozione sportiva. E le consigliere, comprese quelle del Coni, si contano sulla punta delle dita. Ora, sul finire della stagione delle elezioni per il rinnovo dei vertici federali, c’è chi sta provando a smuovere le acque stagnanti dello strapotere dei soliti nomi maschili. E lo fa partendo dalla federazione maschile per eccellenza, quella della pugilistica, dove l’agonismo femminile è stato riconosciuto ufficialmente solo nel 2001 con un decreto dell’allora ministro della Salute Umberto Veronesi.

Maria Moroni, prima pugile donna tesserata nella Federazione pugilistica italiana, ha deciso di candidarsi come consigliera in quota dirigenti societari (i consigli sono composti da rappresentanti dirigenti, atleti e tecnici) e di correre da sola nelle elezioni della Fpi del prossimo 25 febbraio. «Il pugilato femminile italiano è in ascesa, ma solo sul ring», dice. «Nella boxe, come negli altri sport, i posti che contano sono occupati solo da uomini. Basti pensare che negli schieramenti presentati dai candidati presidente per le prossime elezioni, non c’è nessuna donna nei ruoli dirigenziali».

I candidati alla carica di presidente della Fpi sono tre uomini: Alberto Brasca, presidente uscente; Vittorio Lai, attuale vicepresidente; e Andrea Locatelli, vicepresidente di Infront Italia. Brasca non ha presentato una lista. Lai lo ha fatto, inserendo una sola donna in quota atleti. Mentre Locatelli ha presentato una squadra di soli quattro uomini.

Maria Moroni, tre volte campionessa europea dei pesi piuma, tra un allenamento e l’altro si è anche laureata in giurisprudenza e oggi scrive di sport per diversi giornali. Nel 2009 è stata la prima consigliera donna della Fpi, in quota atleti. Ma nella logica della politica sportiva, essere in quota societaria ha un peso maggiore dell’essere in quota atleti, nonostante tutti i consiglieri abbiano lo stesso diritto di voto. Anche perché gli atleti di solito appartengono ai gruppi sportivi delle Forze armate o dei corpi di polizia. E finora non si sono distinti per i voti dissidenti. Le carte, insomma, le smuovono soprattutto gli altri.

Nella logica della politica sportiva, essere in quota societaria ha un peso maggiore dell’essere in quota atleti, nonostante tutti i consiglieri abbiano lo stesso diritto di voto

Non a caso, a guardar bene, i pochi nomi femminili presenti nei piani alti dello sport italiano si trovano quasi tutti in quota atleti. Nella giunta nazionale del Coni, su 19 membri le donne sono solo tre. Di cui due in quota atleti, Alessandra Sensini e Fiona May. Nel consiglio nazionale, su 78 membri le donne sono quattro, tre in quota atleti. Lo stesso schema si ripete nelle federazioni. Prendiamo quella del nuoto, la Fin, presieduta da 16 anni dal neorieletto Paolo Barelli. Nonostante il volto del nuoto italiano in casa e fuori casa sia da anni quello di Federica Pellegrini, nelle stanze del potere la presenza femminile si sgonfia. Nel consiglio della Fin c’è una sola donna in quota atleti, ma solo perché lo prevede lo statuto. Una sola consigliera donna si trova anche nella Federazione italiana pallavolo e in quella della scherma (Valentina Vezzali). Nella Federazione italiana tennis la quota di donne è pari a zero.

Alla fine del ciclo olimpico, ogni quattro anni le federazioni rinnovano presidenti e consigli. Ma il più delle volte si tratta di plebisciti che confermano poltrone già occupate da anni. Nella tornata di elezioni che si concluderà a marzo, la maggior parte dei presidenti è già stata riconfermata. Al massimo c’è stato un avvicendamento con il vicepresidente.

Un mondo di poteri consolidati difficili da scalfire. Ogni tanto c’è un tenativo di rivolta dal basso, ma senza risultati. Jury Chechi, ad esempio, ha provato a scalare il mondo della ginnastica, candidandosi alla presidenza della federazione. La stessa cosa ha tentato di fare Antonio Rossi per la canoa. Alle elezioni della Fin di settembre ci aveva provato pure Novella Calligaris, prima fra gli atleti italiani a vincere una medaglia olimpica nel nuoto nel 1972, candidandosi come consigliera indipendente in quota dirigenti. Risultato: è stata la seconda dei non eletti.

Alle elezioni della Fin di settembre ci aveva provato pure Novella Calligaris, candidandosi come consigliera indipendente in quota dirigenti, risultando però la seconda dei non eletti

Ora dal pugilato parte invece la rivolta di genere. «Davanti alla scelta di non inserire nessuna donna in quota societaria, ho deciso di correre da sola nella federazione più maschile che c’è», dice Maria Moroni. La probabilità che venga eletta è bassa, visto che su 19 candidati 17 sono uomini. Ma la sua candidatura mira anche ad aprire «un dibattito sulla rappresentanza delle donne nei ruoli dirigenziali delle politica sportiva», dice. «Considerando che il Coni e le federazioni sportive gestiscono soldi pubblici, si dovrebbero adeguare al rispetto delle quote di genere previste nelle leggi statali e nella Costituzione».

Il presidente del Coni Giovanni Malagò ha dichiarato che se non ci sono donne nei consigli federali è perché non si candidano. Ma Maria Moroni propone di inserire la cosiddetta rappresentanza di genere obbligatoria nelle leggi elettorali di Coni e federazioni, come succede per le elezioni politiche e le composizioni dei consigli di amministrazione delle società. «Mettiamo le donne nelle condizioni di candidarsi, poi vediamo cosa accade».

Ma nei piani alti dello sport italiano sembrano tutt’altro che intenzionati a fare spazio alle quote rosa. Nel 2014 il Coni si è pure dotato di un Comitato pari opportunità. I cui frutti, al momento, risultano sconosciuti. E lo scorso 7 febbraio, alla presenza dell’ex ministra Maria Elena Boschi, nel salone d’onore del Coni si è tenuta la Giornata di sensibilizzazione per le pari opportunità. Durata: un’ora e un quarto d’orologio, incluso il coffee break. Un tempo da record.

Il 7 febbraio, alla presenza dell’ex ministra Maria Elena Boschi, nel salone d’onore del Coni si è tenuta pure la Giornata di sensibilizzazione per le pari opportunità. Durata: un’ora e un quarto d’orologio, incluso il coffee break

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