Viva la FifaStadio della Roma, se salta i cocci sono di Unicredit

La banca è creditrice per centinaia di milioni della società immobiliare Parsitalia della famiglia Parnasi. Un piccolo impero sommerso dai debiti e per cui lo stadio rappresenta l’ultima chance di rilancio

La sorte del principale avversario del nuovo stadio della Roma, l’assessore all’Urbanistica del Comune di Roma, Paolo Berdini, è appesa a un filo. Ha rimesso il mandato nelle mani della sindaca Raggi, che per il momento le ha respinte. Una cosa è certa: a guardare la questione con il fiato sospeso non saranno solo i tifosi della Roma, ma anche il mondo bancario romano. «Non saranno le sfumature tecniche a decidere i destini di un’operazione dove conta forse più l’interesse delle banche creditrici che quello sportivo», ha scritto sul Corriere della Sera Sergio Rizzo il 7 febbraio. E se si egue quella pista si arriva dritti a un indirizzo: quello di Unicredit.

La banca, in questi giorni alle prese con un aumento di capitale da 13 miliardi di euro, è legata a doppio filo alla vicenda. È socia di minoranza nella As Roma e soprattutto ha in pancia un incaglio di centinaia di milioni rappresentato dal gruppo immobiliare Parsitalia, proprietario dell’area su cui dovrebbe sorgere lo stadio. La holding è guidata da Luca Parnasi, erede di una dinastia di costruttori (il padre Sandro è scomparso lo scorso anno) che ha lasciato il segno nella capitale: per esempio con il grande centro commerciale Euroma 2, con il grattacielo Bnl, il quartiere Eurotower, la nuova sede dell’Atac. Il gruppo versa però da anni in una gravissima situazione finanziaria. La perdita della capogruppo nel 2015 è stata di 51 milioni (a fronte di ricavi per 13), nel 2014 era stata di 127 milioni, principalmente a causa delle svalutazioni del valore degli immobili. Il capitale investito netto coperto dal capitale proprio, per effetto di queste perdite, è sceso in un solo anno dal 47 al 31 per cento. In breve, la sua continuità aziendale, si legge nel bilancio 2015, si deve a una moratoria che ha concesso proprio Unicredit. La banca è il principale creditore di Parsitalia che, nel 2013, aveva debiti per 886 milioni di euro di cui poco meno di 450 milioni con il settore bancario. Nel bilancio 2015 della holding, i debiti sono pari a 283 milioni, di cui 110 verso le banche. In mezzo però c’è stato il trasferimento di molti dei debiti in una newco.

Per recuperare parte dei debiti Unicredit ha acquisito il 100% della nuova società Capital Dev, a cui le società della galassia Parsitalia hanno hanno conferito quasi tutte le attività. Lo scorso 9 dicembre la Repubblica ha descritto in dettaglio le società trasferite: la Parsec, proprietaria dei 15mila metri quadrati dove dovrebbe sorgere il centro commerciale Laurentino; la Samar, proprietaria di terreni al Fleming; il Parco delle Acacie, altri 15mila metri quadrati di terreno a Pietralata; la Cave Nuove, titolare di un progetto di sviluppo del Pescaccio che può raggiungere i 245mila metri quadrati. Infine c’è la società Istica, con interessi in Sicilia. Questo salvataggio da parte delle banche ha ricordato quello che a suo tempo fu operato sulla Risanamento di Zunino (esposta soprattutto con Intesa).

Unicredit ha crediti per centinaia di milioni verso il gruppo immobiliare Parsitalia, proprietario dell’area su cui dovrebbe sorgere lo stadio. Per recuperare parte dei debiti la banca ha acquisito il 100% della nuova società Capital Dev, a cui le società della galassia Parsitalia hanno hanno conferito quasi tutte le attività

Dalla Capital Dev è però rimasta fuori la società del gruppo Parnasi – Eurnova – che è proprietaria dei terreni di Tor di Valle su cui dovrebbe sorgere lo stadio. La realizzazione dell’area non è quindi considerata cruciale solo dall’ad della Roma, James Pallotta, ma anche da Parnasi e da Unicredit. Per Parnasi è l’ultima chance di rilancio delle attività dell’impresa di famiglia. Per Unicredit l’unica via per recuperare qualcosa di più dalla galassia Parsitalia rispetto alla vendita in saldo delle attività confluite in Capital Dev. Quanto il progetto starà in piedi lo diranno i prossimi incontri – a partire da quello di giovedì 9 febbraio – tra Comune e As Roma. I punti di partenza sono distanti, non solo per le cubature, che sono circa tre volte tanto quelle previste dal piano regolatore per l’area di Tor di Valle, e che solo per il 12% riguardano lo stadio (il progetto prevede circa 15 edifici tra alberghi, negozi, ristoranti e i tre grattacieli firmati da Daniel Libeskind, ma anche ampi spazi per infrastrutture e verde, si veda il grafico). Ma anche per i rilievi fatti dal Comune il primo febbraio sulla viabilità di accesso e sulla necessità di ridefinire il «perimetro delle zone già soggette al rischio di eventi idraulici».

Di certo il rapporto tra Unicredit e la As Roma non nasce oggi. Il filo rosso (o giallorosso) che lega la Roma all’istituto di credito si dipana indietro nel tempo fino al luglio del 2010, quando dopo tre anni di trattative il presidente del club Rosella Sensi e Unicredit firmano l’accordo che prevede l’azzeramento del debito da 325 milioni di euro di Compagnia Italpetroli, la società di Franco Sensi controllante della As Roma. A tanto ammontava l’esposizione debitoria del gruppo della famiglia Sensi nei confronti di Unicredit, subentrata a Capitalia come principale interlocutore nel ripianamento dei debiti. Nel 2004, il gruppo guidato da Cesare Geronzi per rientrare dai debiti decide per la conversione di parte di essi in azioni, diventando azionista al 49% di Italpetroli. Nel 2007 Capitalia viene assorbito dal nascente Unicredit Group, ma il piano di rientro firmato tra i Sensi e piazza Cordusio incontra mille difficoltà, con proroghe concesse dall’allora ad del gruppo bancario Alessandro Profumo sulle rate da saldare da parte dei Sensi e voci di vendita del club che restano tali (Nafta Mosca, Fioranelli e la cordata svizzera, George Soros), senza mai arrivare a nulla di concreto.

Per Parnasi è lo stadio è l’ultima chance di rilancio delle attività dell’impresa di famiglia. Per Unicredit l’unica via per non declassare i crediti a livello di sofferenza

Il contenzioso si chiude dunque nell’estate del 2010, con Unicredit e Roma che diventano azionisti – rispettivamente al 49% e al 51% – di un nuovo veicolo chiamato Newco Roma, nel quale confluisce il 67% della Roma in mano ai Sensi e di cui Rotschild si occupa della ricerca di un compratore. La trattativa più importante prende corpo nel 2011 con la cordata statunitense costituita da James Pallotta, Thomas Di Benedetto (il capo cordata), Michael Ruane e Richard D’Amore, che riuniti nella newco Neep – costituita al 40% da Unicredit e al 60% dalla DiBenedetto Llc As Roma – acquisiscono il 67% delle azioni della As Roma. Unicredit comincerà gradualmente a defilarsi dal pacchetto giallorosso, ultimando l’abbandono (temporaneo, come poi vedremo) del campo di calcio nel 2014, quando James Pallotta, passato a presidente del club nel 2012, acquista il 31% delle quote rimaste in mano al gruppo bancario, per un importo di 33,5 milioni di euro.

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