Parla Foodora: “I nostri contratti sono regolari. La rabbia? Colpa della crisi”

Contratti regolari, assicurazioni e sguardo al futuro: gli amministratori di Foodora si difendono dalle accuse, dopo che nei mesi scorsi le proteste dei fattorini in rosa avevano conquistato le pagine dei giornali

Lo scorso autunno le proteste dei fattorini vestiti di rosa erano arrivate su tutti i giornali: “Ci pagano 2,70€ a consegna”, gridavano. Le loro biciclette, che da poco più di un anno consegnano cibo a Milano, Torino, Roma e Firenze, erano diventate il simbolo di una battaglia contro la cosiddetta “gig-economy”, l’economia del lavoretto, perché spesso quel lavoretto è l’unico sostentamento. Matteo Lentini e Gianluca Cocco, Co-Managing Director di Foodora Italia, ci tengono a far chiarezza: “I nostri rider adesso vengono pagati 3,6€ netti a consegna. Neanche a noi piace parlare di gig-economy, i ciclisti di Foodora sono veri lavoratori”. Al di là del lessico, comunque, le controversie legate a Foodora sono parecchie, ma i manager restano convinti che quello sia un modello praticabile e perfettamente in grado di integrarsi nella nostra società.

Gianluca Cocco e Matteo Lentini, come vedete il futuro di Foodora in Italia da qui a due anni? Vi vedremo anche in città medio-piccole?
Dopo Milano, Torino, Roma e Firenze, contiamo di aprire in altre città già nel corso del 2017 e proprio con questo obiettivo stiamo già conducendo dei test. Sicuramente in una città di medie dimensioni il ‘delivery’, che sia a casa o in ufficio può avere un impatto ancora più positivo grazie a un traffico cittadino ridotto, distanze ravvicinate e differenti abitudini di vita che rendono il nostro servizio ottimale.

Si riesce a identificare il “fattorino medio” di Foodora? Lavora con Foodora per arrotondare un altro stipendio o piuttosto è un giovane che non ha altri impieghi?
I 900 rider che collaborano attualmente con foodora hanno un’età media di 24/25 anni e in parte largamente maggioritaria sono studenti che cercano un’entrata integrativa durante gli studi.

Si fa un po‘ di fatica ad inquadrare Foodora da un punto di vista legislativo. Come vi definite?
E’ molto semplice: siamo una Srl italiana, parte di un gruppo internazionale. La nostra sede legale e fiscale è quindi in Italia.

Le proteste dello scorso autunno vi hanno causato un forte danno di immagine, basti pensare che altre catene di delivery, non molto diverse da voi, non godono della vostra stessa cattiva fama. Non credete che fosse più conveniente rimediare al danno di immagine, anche modificando alcune vostre politiche contrattuali?
La forte visibilità mediatica a cui siamo stati sottoposti ha sorpreso noi per primi. Siamo un’azienda giovane e abbiamo fatto sicuramente un errore di comunicazione interna se non siamo riusciti a spiegare a tutti che il pagamento a consegna assicura un 20% di retribuzione maggiore in media.

Siamo un’azienda giovane e abbiamo fatto sicuramente un errore di comunicazione interna se non siamo riusciti a spiegare a tutti che il pagamento a consegna assicura un 20% di retribuzione maggiore in media.

Dopo le proteste è cambiato qualcosa?
Abbiamo capito e creato una linea di ascolto migliore con i nostri rider, con anche alcuni ulteriori interventi migliorativi come , le convenzioni con le ciclofficine per la manutenzione delle bici e la chiusura del servizio in fasce orarie a bassa intensità di lavoro, che potevano risultare penalizzanti per le possibilità di guadagno dei rider.

Vi piace il termine gig-economy, economia del lavoretto?
Ci ritroviamo di più nella definizione di ‘on demand economy’, anche perché ci piace poco parlare di ‘lavoretto’: il lavoro è lavoro e basta, pur nelle sue diverse forme e accezioni. On Demand Economy significa invece che, attraverso l’innovazione tecnologica, Foodora ha costruito una piattaforma in grado di incrociare i desideri dei consumatori, che hanno sempre meno tempo per cucinare, l’offerta dei ristoranti, che hanno spesso cucine in grado di realizzare più ordini rispetto a quelli generati dai coperti in sala, e la disponibilità dei riders alla ricerca di un’occupazione flessibile.

Qualcuno, però, lavora solo con Foodora. Colpa delle politiche del lavoro o Foodora, comunque, dovrebbe avere dei limiti nello sfruttare queste situazioni?
Il mestiere di fattorino è sempre esistito, principalmente come occasione per arrotondare, ma nessuno ne ha mai criticato i ‘datori di lavoro’ (nonostante, si può immaginare, il ricorso al ‘nero’ fosse una regola). Il malessere attuale deriva dalla crisi economica e dalla crescente disoccupazione, che non c’entrano con Foodora. Il nostro impegno è di agire eticamente all’interno della nostra sfera di responsabilità.

Nei prossimi anni vedete un’Italia molto più abituata alla gig economy? Ci saranno persone che si sosterranno mettendo insieme piccoli redditi da diverse attività di gig/sharing economy (Uber, Foodora, Airbnb)?
Le modalità con cui alcuni servizi venivano erogati in passato sono destinate a diventare definitivamente obsolete. La sharing economy dovrebbe trovare sempre più spazio, perché in fondo risponde al principio, sempre più sentito, di non lasciare inutilizzate le risorse che possono invece contribuire ad alimentare il circuito economico e lavorativo.

Il mestiere di fattorino è sempre esistito, principalmente come occasione per arrotondare, ma nessuno ne ha mai criticato i ‘datori di lavoro’ (nonostante, si può immaginare, il ricorso al ‘nero’ fosse una regola)

La diatriba sul fatto che i fattorini siano autonomi o dipendenti è aperta. Cos’è, secondo voi, a far sì che Foodora goda di uno statuto speciale potendo non farsi carico di ferie, malattie e quant’altro?
Foodora non gode di nessun trattamento speciale: ha deciso di applicare una forma contrattuale, quella delle collaborazioni coordinate e continuative, che è prevista dall’ordinamento italiano e che a nostro avviso è la più adeguata per il tipo di lavoro dei rider, caratterizzato da grande flessibilità e autonomia per il collaboratore. Si tratta peraltro di una scelta di maggior tutela per il lavoratore, che garantisce la copertura assicurativa sia in caso di malattia sia per gli infortuni. Per altro nella gran parte dei casi nel nostro settore non vengono neanche applicati i contratti. Foodora, invece, versa regolarmente i contributi Inps e Inail e provvede inoltre per i propri rider ad un’assicurazione integrativa a copertura del rischio di infortuni di terzi.

In molti rapporti di lavoro di tipo collaborativo accade che, superata una certa soglia di ore di lavoro, di prestazioni fornite o di reddito mensile, allora cambi il tipo di rapporto lavorativo (e retributivo). Potrà succedere anche per Foodora?
Le caratteristiche della nostra attività sono vincolanti, perché gli ordini dei clienti sono concentrati in larga parte in due soli momenti della giornata: a ora di pranzo e, soprattutto, a ora di cena. Già da questo si comprende che il nostro lavoro non può essere compatibile con le tradizionali 8 ore lavorative al giorno. I rider, poi, possono decidere se e quando lavorare e hanno anche la facoltà di non presentarsi per effettuare la consegna, anche all’ultimo momento e senza obblighi ulteriori, a riprova della natura autonoma e di grande flessibilità del lavoro. In ogni caso, la quantità di prestazione resa da ciascuno dipende dalla libera scelta del singolo e non incide in alcun modo sulla natura dell’attività che rimane autonoma.

Quando in Italia arrivò Uber, i consumatori lo accolsero piuttosto bene, perché ritenevano i prezzi dei taxi troppo alti. Stessa cosa per Blablacar, paragonato ai treni costosi, sporchi e in ritardo. Foodora, invece, si è presentato senza scardinare alcun sistema e forse anche per questo ha avuto qualche difficoltà in più, soprattutto in termini di immagine. Siete d’accordo?
È vero: non siamo andati a cannibalizzare altri settori o categorie, ma abbiamo sviluppato un segmento che prima non c’era o comunque era marginale. Proprio per questo motivo, non lo vediamo assolutamente come un problema, ma come un elemento positivo, non solo per noi ma per tutta la filiera. Per esempio, molti ristoratori sono riusciti ad incrementare il giro d’affari in misura considerevole e senza necessità di ampliamenti strutturali del locale né il costo dei coperti.

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