Le istituzioni, dal ministero della Salute alla Regione Lazio, continuano a tenere i toni bassi, a ribadire che il rischio è controllato e che i valori sono nella norma. Ma l’incendio divampato nel deposito dell’azienda di smaltimento dei rifiuti Eco X sulla via Pontina Vecchia, tra Roma e Pomezia, ha creato una nube tossica che preoccupa e non poco i cittadini di un’area talmente vasta, da toccare oltre 20 Comuni fino ai quartieri più a Sud della Capitale. «Dire che ad oggi è tutto sotto controllo è inutile e dannoso», sottolinea non a caso Roberto Scacchi, presidente di Legambiente Lazio, uno dei primi che ha sottolineato la gravità di quanto accaduto venerdì scorso, parlando addirittura di «uno dei peggiori incendi degli ultimi anni». E la prova provata di come si stiano confondendo le acque è dato da quanto avvenuto ieri: in tanti, sui media e nelle istituzioni, hanno tentato di tranquillizzare i cittadini sottolineando che i dati dell’Arpa sulle cosiddette “polveri sottili” (Pm10) erano tutto sommato accettabili (lo stesso Comune di Pomezia, guidato dall’M5S Fabio Fucci, ha dichiarato in una nota che i valori rilevati, sebbene sopra soglia, fossero «analoghi ai valori registrati nel centro urbano di Roma nei periodi invernali di maggiore criticità»). Peccato che, come sottolinea ancora Scacchi a Linkiesta, «è come cercare una mela con una canna da pesca in un fiume: il vero problema sta da un’altra parte e si cerca in altro modo. Con quel tipo di analisi, ad esempio, la diossina non è riscontrabile. Quei report analizzano soltanto la presenza di monossidi o base azotate, tutti quei criteri che ci dicono se c’è pesantezza nell’aria dovuta al traffico o all’eccessivo riscaldamento. Ecco, diciamo che ora sappiamo che a Pomezia non c’è ordinariamente un gran traffico, tutto qui…».
«Dire che ad oggi è tutto sotto controllo è inutile e dannoso»
OLTRE 150 AZIENDE A RISCHIO – Al di là di ogni allarmismo, dunque, il rischio, vero e concreto, ha un nome chiaro: diossina. E non risiede soltanto nell’aria, ma anche e soprattutto nel suolo. «Nei prossimi giorni – continua Scacchi – dovranno essere eseguite analisi a campione sul terreno per capire se i prodotti agricoli sono stati contaminati». Un problema non da poco, anche in ordine economico. A fornire i numeri è stata la Coldiretti: sono 150 circa le aziende agricole che ricadono nella zona di divieto di raccolto e pascolo. Se i prodotti dovessero risultare contaminati, ovviamente saranno distrutti. Con tutte le conseguenze del caso. Non a caso, se è vero che le istituzioni mantengono un basso profilo con il Governatore Nicola Zingaretti che, ieri, dopo un vertice tra Asl-Arpa-Regione ha assicurato che «per quanto riguarda l’agricoltura non ci sono contaminazioni in atto», è altrettanto vero che dalla stessa Coldiretti rivelano a Linkiesta che «nel caso in cui dovessero saltare tutti i raccolti, ci mobiliteremo affinché ci sia immediatamente un risarcimento danni».
VOMITO, NAUSEA E PUZZA DI BRUCIATO – I cittadini coinvolti dall’incendio e dalla nube tossica, intanto, attendono risposte alle loro tante domande. Troppi dubbi li assalgono, asfissianti come quel terribile odore di plastica che si pensava potesse svanire dopo qualche ora. E invece no: è ancora lì. È rimasto e perdura ancora. «L’area interessata è molto vasta – ci dicono ancora da Legambiente – il puzzo di plastica tocca i quartieri romani più a Sud come quello di Spinaceto a arriva fino ad Anzio». Un’area tremendamente vasta, che dista quasi 50 km da punto a punto. E le segnalazioni che in questo periodo stanno arrivando anche alla task force messa in piedi dall’Osservatorio Nazionale Amianto non fanno che corrobare l’ipotesi che la nube di Pomezia sia drammaticamente tossica. Tanto che qui all’Ona non si hanno dubbi: «c’era amianto nello stabilimento Eco X da cui si è generato il rogo di Pomezia, la cui nube tossica ha avvolto un’ampia porzione della campagna romana e del nord della Provincia di Latina». Non a caso l’azienda è stata posta sotto sequestro dalla Procura di Velletri per capire cosa sia andato in fiamme e, soprattutto, cosa si sia disperso nell’ambiente. Quanto dicono dall’Osservatorio Amianto non lascia ben sperare: «Odori acri, bruciore agli occhi, nausea e vomito, queste sono le dichiarazioni di coloro che hanno richiesto aiuto alla nostra unità di crisi», dicono. Stessi sintomi denunciati anche a Legambiente («tanti hanno avvertito nausea in questi giorni», ci conferma Scacchi) e come, infine, evidenziato anche da alcune associazioni di categoria e sindacati. La Uil, ad esempio, ha parlato in questi giorni di diversi casi di malore riscontrati ai portalettere, inevitabilmente esposti alla nube. Non è un caso che le scuole dell’area più prossima all’incendio ancora non abbiano riaperto. Discorso diverso per le industrie. E qui le preoccupazioni non sono poche: «l’area dell’incendio – ci spiega ancora Scacchi – è un’area industriale e quelle aziende hanno tutte riaperto, con tutti i rischi del caso».
All’Osservatorio Nazionale Amianto non hanno dubbi: «C’era amianto nello stabilimento Eco X da cui si è generato il rogo di Pomezia, la cui nube tossica ha avvolto un’ampia porzione della campagna romana e del nord della Provincia di Latina».
I CITTADINI DENUNCIANO, LE ISTITUZIONI TACCIONO – Vedremo nei prossimi giorni, dai dati e dalle indagini della Procura, cosa verrà fuori. Ma già dalle prime ore emerge un dubbio più che concreto. «L’allarmismo va evitato sicuramente – sottolinea ancora Roberto Scacchi – Però è evidente che le cose vanno monitorate. Noi avevamo intercettato la segnalazione dei cittadini che avevano denunciato un accumulo esagerato di plastica nel deposito». Una segnalazione che, forse, non ha avuto il giusto risalto. A novembre 2016, infatti, il comitato di quartiere vicino alla zona della Eco X segnala, in maniera lapalissiana, «l’accumularsi di ingenti quantitativi di spazzatura con conseguenti miasmi maleodoranti presso i piazzali della società Eco X». Risultato? Nulla di nulla. «Dal Comune non abbiamo mai avuto una risposta», ha detto il presidente del comitato di quartiere Giuseppe Martinelli, interpellato dall’Ansa. Quel che pare, insomma, è che si sarebbe potuto fare di più. A cominciare dal controllo dei criteri di sicurezza. «Questo è uno dei temi centrali – chiosa ancora Scacchi – viene da pensare che un’impiantistica necessaria per evitare incendi non c’era nella Eco X, perché probabilmente non era nemmeno necessaria per legge. Altrimenti la gestione dell’incendio sarebbe stata differente». Fa niente: ci si penserà in seguito. Per adesso la popolazione attende. Con le finestre chiuse. E il timore anche di mangiare.