Prepariamoci a un cambio vero del modo in cui sarà valutata la solidità delle piccole banche. Ancora pochi mesi e le regole del gioco varranno per tutti. Anzi, sarà come ritrovarsi tutti su un unico campo da gioco. Dal gennaio 2018 varrà anche per le banche chiamate poco significative, o Lsi (less significant institutions, ndr), la vigilanza unica europea. Ci saranno ancora gradi di autonomia per le autorità di vigilanza nazionali (in Italia Banca d’Italia), come spiegato giorni fa in una nota della Vigilanza Bce, ma i criteri diventeranno uniformi. Se polvere sarà stata nascosta sotto il tappeto, è molto più probabile che emerga. Vale solo la pena di ricordare che per mostrare il vero volto di molte banche popolari italiane è stato necessario che scendesse in campo un arbitro chiamato Bce. Cosa succederà? Sicuramente aspettiamoci maggiore severità, risponde Angelo Baglioni, docente di Economia Politica all’Università Cattolica di Milano e autore del libro Banche di Nebbia, appena pubblicato da Università Bocconi Editore (160 pagine, 16 euro). Il cambiamento si avrà, spiega, soprattutto per le banche che oggi si nascondono nei numeri falsati delle medie e che dopo i test potrebbero essere chiamate a nuovi aumenti di capitale. Vale per le banche italiane quanto per i 1.600 piccoli istituti tedeschi che saranno sottoposti a nuove valutazioni. Si vedrà se i sistemi nazionali hanno fin qui chiuso qualche occhio di troppo oppure no. Per Baglioni, tuttavia, la vigilanza della Bce, già minata da una comunicazione contraddittoria e poco trasparente, dovrà fare un ulteriore passo: rivedere le priorità degli stress test e dare più peso al rischio di mercato. Quello che interessa giganti come Deutsche Bank, per intenderci, che finora dagli stress test non sono stati che sfiorati.
Professore, quanto è sostanziale il cambiamento annunciato dalla nota sulla vigilanza dalla Bce, sull’armonizzazione dei criteri per la vigilanza delle banche minori?
È un cambiamento piuttosto sostanziale. Finora le banche classificate come poco significative, cioè Lsi (less significant institutions, ndr), sono state state supervisionate in maniera diretta dalle autorità nazionali. Lo Srep, il processo di valutazione e revisione prudenziale della Bce (Supervisory Review and Evaluation Process), era fatto da ciascuna autorità nazionale secondo i propri criteri. Ci sono già delle linee guida europee, ma il diavolo si nasconde nei dettagli, perché ad esempio il rischio di credito finora è stato definito da ciascuna autorità nazionale.
Che succede l’anno prossimo?
Dall’anno prossimo questo quadro cambia, perché ci saranno criteri uniformi in tutta Europa, su temi come gli Srep e gli stress test. È vero che la supervisione rimarrà alle autorità nazionali, ma i criteri saranno stringenti. Il cambiamento più importante sarà proprio sugli stress test, soprattutto per quel che riguarda la costruzione degli scenari avversi. In questi casi bisogna immaginarsi una congiuntura economica negativa ed è inevitabile che ci si basi su ipotesi arbitrarie. Finché ogni autorità nazionale ha usato i suoi metodi, i test hanno detto poco.
L’autonomia che viene lasciata alle banche centrali nazionali dalle nuove regole è ancora troppa o troppo poca?
Finora l’autonomia è stata forte. Le regole erano ancora frutto della situazione pre-2014, quando non c’era la vigilanza unica. Una gradualità stata necessaria, perché non era pensabile che la vigilanza fosse estesa di colpo a 5mila banche europee. Ora è giusto fare una stretta sulla metodologia. Quel che resta da fare è il problema della comunicazione. La Bce e le banche non sono state coerenti: nel 2014 diffusero i risultati degli stress test, nel 2016 no. E i risultati degli Srep sono secretati dalle autorità nazionali. Su tutto questo servono passi avanti.
RIschiamo, come altre volte, per esempio l’introduzione della direttiva Brrd sul bail-in, di arrivare impreparati quando entreranno in vigore le nuove regole?
Questa volta credo di no. La Banca d’Italia aveva già effettuato un processo di supervisione dello Srep, non penso abbia problemi ad adeguarsi ai nuovi standard.
E le piccole banche come ci arriveranno?
Il livello medio della capitalizzazione delle banche italiane non significative è cresciuto parecchio negli ultimi anni. È però vero che stiamo parlando di una media, che può nascondere casi isolati di situazioni critiche. Diversi casi sono già emersi, è probabile che ne usciranno altri. Anche per questo sarebbe opportuna maggiore trasparenza.
«Il cambiamento maggiore si avrà sugli stress test, che non si potranno più costruire su ipotesi arbitrarie di ciascuna autorità nazionale. Le nuove regole uniformi della Bce potrebbero anche comportare maggiore severità sui requisiti di capitale»
Vale però la domanda che si pose qualche mese fa Mediobanca in un report sulle Bcc. Le banche di credito cooperativo mostravano dei Texas Ratio inferiori (cioè erano più solide) rispetto a quelli delle banche Spa e delle popolari. L’ufficio studi di Mediobanca si chiedeva: «Maggiore capacità di selezionare la clientela o minore severità nel valutarla?»
Quello delle Bcc è un mondo molto variegato, è davvero difficile fare un discorso generale. A livello di sistema è diventato mediamente più solido. Questo processo si sta legando alla creazione delle tre capogruppo (Iccrea, Cassa Centrale Banca, Cooperative Raiffeisen), la quale dovrebbe rendere più solido il sistema.
Quale sarà l’impatto delle nuove regole su questo mondo?
Queste regole uniformi potrebbero comportare maggiore severità sui requisiti di capitale. In altre parole, a valle dello Srep ogni anno sarà dato un voto in base al quale saranno richiesti i requisiti patrimoniali minimi. Ora che ci sarà un criterio uniforme, per qualche Bcc questo potrà comportare un inasprimento delle condizioni sui requisiti patrimoniali.
In questi mesi c’è chi ha fatto notare che Banca d’Italia, finché non è finita sotto la tutela della Bce, è stata troppo accomodante verso situazioni critiche che andavano mostrandosi, come quella di Popolare di Vicenza. Ci sono state denunce fatte da Bankitalia ma anche silenzi e assunzioni di ex funzionari di Via Nazionale da parte di Popolare di Vicenza. Come è uscita la vigilanza italiana dalle ultime crisi bancarie, secondo lei? Lo chiedo perché è giusto capire il contesto in cui si innestano le nuove regole.
Penso che questa riforma in arrivo sia da salutare positivamente, perché porta maggiore uniformità a livello europeo. Una delle finalità dell’Unione bancaria era proprio la convergenza della supervisione sulle banche, come metodi e come severità. Stiamo quindi parlando sicuramente di un passo avanti. Guardando indietro alle vicende domestiche, come Vicenza, Veneto Banca, Mps, Banca Etruria eccetera, tutte le crisi hanno fatto emergere una fondamentale carenza di trasparenza di informazione nei confronti dei risparmiatori. Le banche hanno potuto vendere obbligazioni subordinate e, nel caso delle venete, azioni proprie non quotate ai risparmiatori retail, senza dare adeguate informazioni. L’impatto delle crisi bancarie è stato così forte perché prima erano stati venduti questi strumenti in questo modo. Quanto alla “vigilanza prudenziale” da parte di Banca d’Italia, non credo sia stata inefficace. Banca d’Italia aveva fatto numerose ispezioni, rilevando le criticità. Il problema è che queste criticità sono rimaste coperte dalla riservatezza, perché, come sempre Bankitalia ha passato le carte alla magistratura rispettando il segreto di ufficio. La Bce, tuttavia, quando ha preso la supervisione, ha trovato il modo di far uscire le informazioni, rendendo pubblici i risultati degli stress test, e ha imposto i processi di ricapitalizzazione. È stato l’intervento della Bce a far venire alla luce le situazioni critiche che Bankitalia aveva rilevato ma aveva tenuto un po’ sotto il tappeto.
«È stato l’intervento della Bce a far venire alla luce le situazioni critiche che Bankitalia aveva rilevato ma aveva tenuto un po’ sotto il tappeto»
Dopo la vicenda delle banche venete e l’interpretazione sempre più estensiva delle normative (si pensi alla liquidazione coatta amministrativa sui generis per le venete), la vigilanza Bce ha ancora autorevolezza?
Autorevolezza ne ha ancora. Ma l’autorevolezza in qualche fase è stata minata da grossi problemi di comunicazione sul lato della vigilanza. Mentre sul lato della politica monetaria, in particolare da quando il presidente è Mario Draghi, ha dimostrato grandi capacità di comunicazioni, lo stesso non si può dire della vigilanza. La sua comunicazione è stata infelice perché non si è capito che messaggi volesse dare. In questi tre anni ha fatto capire più volte di voler inasprire i criteri, cosa che alla luce dei fatti non è avvenuto. Ha, come ricordato prima, cambiato idea sulla pubblicità dei risultati degli stress test. Più in generale ha avuto un problema di chiarezza che ha nociuto alla reputazione e all’immagine della Bce.
Ci dobbiamo aspettare un impatto anche sulle piccole banche territoriali tedesche?
Sicuramente anche in Germania l’effetto sarà di una maggiore severità. Nel caso tedesco i problemi in ogni caso non sono solo sulle banche medio-piccole, su cui comunque ci sarà un impatto. Sono anche sulle grandi banche e in particolare su Deutsche Bank, una banca su cui bisognerà chiarire la situazione. È la Bce stessa che dovrebbe cambiare registro ed essere più uniforme dal punto di visto dei rischi che va a considerare quando fa gli stress test. La Bce finora si è molto concentrata sul rischio di credito e sul rischio di liquidità, che sono tipici delle banche che prestano soldi alle aziende. Si è concentrata invece molto poco sul rischio di mercato e di controparte, che invece sono tipici delle banche di investimento titoli. Così come si è concentrata poco sui derivati e su altri titoli non scambiati in Borsa. È un fatto noto che Deutsche Bank sia molto esposta ma finora la vigilanza europea ha chiuso un occhio.
«L’autorevolezza della Bce è stata minata da grossi problemi di comunicazione. Ha avuto un problema di chiarezza che ha nociuto alla reputazione e all’immagine della Bce»
In un passaggio del suo libro lei scrive: «Spesso la vigilanza segue un approccio puramente formale, volto a mettere al riparo gli intermediari e le autorità stesse dal rischio legale, anziché a tutelare i risparmiatori». Questa armonizzazione europea porrà fine a questo stato di cose?
È bene chiarire che in quel passaggio non mi riferisco alla vigilanza prudenziale ma alla vigilanza che ha come fine la tutela della trasparenza e la tutela dei risparmiatori. Si verifica in effetti che tutte le regole sembrano più volte a mettere al riparo le società dal punto di vista legale che a informare i risparmiatori. Il punto di contatto con la vigilanza prudenziale è la necessità di rendere più trasparenti i risultati degli stress test e degli Srep.
La scarsa informazione verso i risparmiatori è il punto centrale del suo libro Banche di Nebbia. Qual è la priorità, su questo fronte?
È fondamentale una tutela più sostanziale del risparmiatore. Le banche non devono limitarsi a dare non tantissime informazioni formalmente ineccepibili ma in fin dei conti inutili. Devono dare informazioni semplici, banali, chiare, che siano utili ai risparmiatori. Devono cambiare strategia.
La Consob ha fatto dei passi avanti su questi fronti?
La Consob non ha fatto molto. Molti guai sono nati dal fatto che la Consob, quando ha definito i prodotti complessi, non ha inserito anche le obbligazioni subordinate. È stata una grande lacuna, perché già nel 2013 un documento della Commissione europea aveva anticipato le future regole del bail-in.
«La Consob non ha fatto molto. Molti guai sono nati dal fatto che la Consob, quando ha definito i prodotti complessi, non ha inserito anche le obbligazioni subordinate»