I quattro segreti (peggio mantenuti) dell’Ikea

La multinazionale del mobile a basso prezzo fonda gran parte della sua forza sul marketing identitario: lunghi percorsi per far conoscere tutti i prodotti, personale che non disturba, possibilità di testare, in tutti i modi, i mobili

È tutto calcolato. Dietro ai nomi incomprensibili, ai codici bislacchi, al labirinto in cui vengono esposti i prodotti, si trova il marketing allo stato puro. Nel mondo Ikea niente viene lasciato al caso. Né la disposizione delle cianfrusaglie nei sacchetti, né quella dei divani lungo il percorso espositivo. E neppure l’atteggiamento dei commessi nei confronti dei clienti. Come spiega Lauren Collins in un articolo sul New Yorker (di qualche anno fa), in un magazzino Ikea ci sono tanti, tantissimi trucchi del mestiere all’opera.

Il labirinto
Come è ovvio, il percorso espositivo è studiato in modo che il cliente possa vedere tutti i prodotti Ikea in vendita. Cercava un divano? Si deve beccare anche le librerie, i letti e le credenze. Magari gli viene l’ispirazione e compra qualcosa di più. Spesso funziona. Tra gli addetti ai lavori, almeno tra quelli di lingua anglosassone, lo si definisce “Long Natural Path”, o “Long Natural Way” – più o meno, è il “Sentierone”, il “Labirintone”.
Quello che non tutti sanno è che, ogni 10/15 metri ci deve essere almeno una curva. Altrimenti i clienti si annoiano. Se si volesse poi saltare tutta la strada, esistono le Scorciatoie.

Le scorciatoie
Non potevano non esserci. Sevono agli inservienti come ai clienti frettolosi. Questi ultimi, però, dovranno rivolgersi ai commessi Ikea per conoscere la scorciatoia più vicina ed efficace. Anche perché, di tanto in tanto, le cambiano. “I clienti, soprattutto quelli abituali, cominciano a impararle e riescono a orientarsi da soli”. Basta fare qualche modifica, ristudiare il percorso e zac, il cliente si perde di nuovo. E magari, di fronte a uno specchio, decide di comprarlo.

I prodotti
Sui divani – questo non lo sanno tutti – ci si può anche dormire. Si possono toccare i letti, ci si può sdraiare, si possono testare più o meno tutte le funzionalità degli oggetti. “Ma non per più di tre ore”. Dopo, spiega un’addetta Ikea, “saremo costretti a intervenire”. Come spesso accade, si tratta anche di un fenomeno culturale. Se in Europa nessuno mai si sognerebbe di addormentarsi su un letto in vendita in un grande magazzino (anche perché – e questo è un altro segreto di un certo interesse – questi oggetti non vengono mai lavati e sono cambiati pochissime volte), in Cina è prassi comune. “Ma non ci lamentiamo. È solo un poco di lavoro in più per il nostro staff”.

Lo staff
Ecco, appunto. In molti avranno notato che, in genere, i commessi Ikea, non vengono mai in soccorso dei clienti. Li lasciano girare, guardare, toccare, provare i prodotti. Ma non saranno mai i primi ad attaccare bottone. E questo è perché lo prevede il codice di comportamento. Disponibili, sì, ma solo se è il cliente che viene a chiedere informazioni. Un atteggiamento passivo-aggressivo ben noto nel mondo nordico, dove Ikea ha le sue radici, le sue speranze, i suoi orizzonti.

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