La politica estera dell’Unione europea? Senza un esercito siamo solo chiacchiere e distintivo

Dalla crisi in Ucraina a quella in Siria, l'Unione europea ha un ruolo secondario o irrilevante. Gli Stati non vogliono lasciare la scena internazionale a Bruxelles e senza una forza armata le nostre minacce e dichiarazioni non sono credibili

MAXIM SHIPENKOV / POOL / AFP

Per Angela Merkel il problema più urgente dell’Unione europea è avere una politica estera coerente. Non ci sono la crisi dei migranti o le elezioni del 24 settembre in Germania nella mente della Cancelliera.

Nell’intervista, pubblicata domenica dal Frankfurter Allgemeine, Merkel ha dichiarato: “serve una posizione comune su Cina e Russia, la volontà di un Paese singolo può soccombere a quella del gruppo”. Il riferimento, per nulla velato, è alle sanzioni inflitte dall’Unione europea alla Russia per non aver rispettato gli accordi di Minsk, il patto che ha messo fine alla crisi Ucraina. Formalmente tutti gli Stati Ue hanno votato il loro rinnovo fino al gennaio 2018 ma molti, tra cui l’Italia, chiedono di fermarli anche per non danneggiare le loro imprese.

E poi Merkel aggiunge: “l’Europa e specialmente la Germania sono pronte ad assumere un ruolo attivo nella diplomazia con la Nord Corea”. È proprio qui la contraddizione: gli Stati europei più grandi chiedono una politica estera coerente ma non vogliono rinunciare a dire la loro.

La politica estera europea è un sindacato diffuso. I leader nazionali portano avanti gli interessi dei singoli Stati e nel migliore dei casi tentano di guidare gli altri. Come ha proposto di fare Merkel sulla questione della Corea del Nord.

Non si contano i vertici per risolvere le crisi internazionali con Francia, Germania e a volte Italia nello stesso tavolo occupato da Russia e Stati Uniti. Dalla guerra in Siria alla crisi Ucraina i rappresentanti dell’Unione europea o non ci sono o sono in disparte. Stesso discorso per la questione migranti. Prima il Governo italiano stringe un patto con quello libico e solo dopo, a conti fatti, ne discute con gli altri partner europei al summit di Parigi del 28 agosto.

È difficile pensare che Italia, Germania e Francia rinuncino al ruolo prestigioso nel G8, G20, o agli incontri bilaterali con Stati Uniti, Russia o Cina. Cedere questo potere a Bruxelles sarebbe come rinunciare alla propria credibilità internazionale.

Eppure il Trattato di Lisbona del 2007 ha istituito la figura dell’alto rappresentante Ue, il ministro degli esteri europeo, dotato di un corpo diplomatico numeroso (3600 dipendenti) chiamato Servizio europeo per l’azione esterna (Seae). Il “ministro degli esteri” Ue ha molti poteri ma non quello più importante: l’autonomia. Tutte le sue decisioni devono essere approvate all’unanimità dai 28 stati membri.

Le decisioni prese dall’attuale Alto rappresentante Federica Mogherini non possono essere rapide come quelle di un Segretario di Stato Usa. Strategie, iniziative, accordi: ogni aspetto deve passare al vaglio dei ministri degli Esteri di tutti gli Stati membri. Questo bradipo diplomatico produce solo, si fa per dire, dichiarazioni condivise, ma innocue.

Per risolvere la questione, “Lady Pesc” (politica estera e sicurezza comune) ha riunito i ministri degli Esteri europei a Tallin, in Estonia. Ve ne eravate accorti? L’obiettivo di questa tre giorni diplomatica finita ieri, era quello di trovare una strategia per velocizzare le decisioni. Per ora, nessuna idea innovativa.

L’incontro voluto da Mogherini è un segnale della sua politica. Fin dalla sua elezione nel 2014 , grazie all’appoggio dell’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, ha confermato alcuni dei pregiudizi di chi non la voleva in quella poltrona. Si è dimostrata un ministro preparato e in grado di mediare le esigenze 28 Stati, ma con poco carisma.

Ha contribuito a raggiungere risultati importanti come quello dell’accordo nucleare con l’Iran. Anche se quando i negoziati si sono fatti seri, Usa e Iran si sono riuniti da soli e formalmente l’accordo è stato firmato dai 5+1 (Iran e i cinque rappresentati del Consiglio di sicurezza Onu: Germania, Francia, Stati Uniti, Russia e Cina). Mentre non è riuscita a far sentire la voce dell’Ue nelle crisi in Siria e Corea del Nord.

Se i 28 Stati cedessero tutta la loro sovranità in questo ambito e avessimo un Superministro degli esteri al livello di Talleyrand o Kissinger il problema della politica estera europea sarebbe uno solo: non ha un esercito. Senza, siamo solo chiacchiere e distintivo.

Forse Mogherini interpreta il ruolo come dovrebbe essere: un direttore d’orchestra pronto a suonare lo spartito scritto dal Consiglio europeo, l’organo che riunisce i capi di Stato e di Governo. Un lavoro sottotraccia che non gode di visibilità. A Politico ha detto di non volere un’Unione europea a una sola voce ma “tante voci differenti purché ognuno sia udibile nel coro”. Un passo in avanti rispetto all’impalpabile Catherine Ashton, però l’Ue ha bisogno di qualcosa in più.

Abbiamo il 6,9% della popolazione mondiale, per numeri assoluti solo Cina e India hanno più cittadini dell’Unione. Nel suo insieme l’Ue sarebbe la prima economia del mondo con il 20% delle esportazioni e importazioni mondiali e l’Euro è la moneta più forte del mercato. Siamo il principale donatore di aiuti umanitari, non possiamo solo allinearci alle politiche estere altrui, dobbiamo dettare l’agenda. E farlo in molti, se non tutti gli scenari più complessi.

Difficile cambiare nel breve periodo. Se i 28 Stati cedessero tutta la loro sovranità in questo ambito e avessimo un Superministro degli esteri al livello di Talleyrand o Kissinger il problema della politica estera europea sarebbe uno solo: non ha un esercito. Senza, siamo solo chiacchiere e distintivo.

È vero che la politica estera mondiale negli ultimi anni si fa con il soft power (cioè ottenere obiettivi diplomatici senza l’uso della forza), più che con l’hard power. Ma avere un esercito rende credibili le posizioni di forza. Le nostre minacce di ritorsione sono irrilevanti oppure un’eco di quanto già deciso dalle Nazioni Unite o dagli Stati Uniti. Senza una forza militare, l’Ue continuerà a fare da spettatore in scenari come la guerra in Siria e Corea del Nord.

Molti si chiedono che senso abbia un esercito europeo quando c’è già la Nato, l’organizzazione di Stati europei e del nord America nata nel 1949 per contenere l’espansione dell’Unione sovietica. Il problema è che la Nato comprende anche Paesi non Ue come Turchia, Canada e Stati Uniti, potenze regionali e mondiali con interessi diversi dai nostri. Erdogan non la pensa come Bruxelles e Washington con Trump non guarda più all’Atlantico, ma al Pacifico.

Unire la forza economica e culturale a quella militare renderebbe l’Unione il perno di qualsiasi tavolo negoziale. Lo spazio ci sarebbe: la Cina è una potenza economica ma non ancora militare, la Russia invece soffre il male opposto con caserme piene e casse vuote, mentre gli Stati Uniti sono indeboliti dalla politica ondivaga di The Donald. Se non lo coglieremo saremo destinati all’irrilevanza diplomatica.

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