Lo Stato Sociale: “Sanremo? Un bel mondo di merda, non vediamo l’ora di tornarci“

La band indie di Bologna chiuderà il suo tour il 10 settembre al Carroponte di Milano: ”La gran parte della gente pensa che siamo una band per ragazzine perché mettiamo le frasi d'amore su Facebook. Non hanno capito un cazzo”

Nel 2009 cinque ragazzi di Bologna cantavano i primi hipster, quelli che arrivavano al Magnolia di Segrate, alle porte di Milano, “già vomitati”. Una parodia, ma nemmeno troppo, che aveva per titolo “Sono così indie”. Oggi quegli stessi cinque ragazzi di Bologna, Alberto Guidetti, Enrico Roberto, Lodovico Guenzi, Francesco Draicchio e Alberto Cazzola, non hanno ancora smesso di prendere in giro ciò che c’è da prendere in giro partendo dal titolo del loro ultimo disco “Amore, Lavoro e altri miti da sfatare” e arrivando, nel corso del tour che si concluderà domenica 10 settembre al Carroponte di Sesto San Giovanni (sempre alle porte di Milano, ma più grande), perfino a fare una data al Mediolanum Forum di Assago (a questi qua, insomma, le porte di Milano piacciono proprio. E anche i posti grandi). Lo Stato Sociale, dunque, negli ultimi anni di strada ne ha fatta, di palco in palco, nel nostro Bel Paese come all’estero, senza finire nell’oblio comune a tanti altri gruppetti di belle speranze sbucati fuori da YouTube più o meno nel loro stesso periodo. Abbiamo parlato con Alberto Cazzola, che però si fa chiamare Albi, dell’attuale stato dello Stato Sociale. E del come e del perché di molte altre faccende pressoché curiose tra politica, amore e rafanielli. Tutto questo mentre lui, Albi, puliva il bagno di casa.

Partiamo dall’inizio. Nel 2009 in “Sono così indie” cantavate: “Tra un anno al Coachella e tra due anni a fare il benzinaio”. Bene, vi eravate sbagliati…
In realtà è cambiato solo l’orizzonte temporale. Quindi se non sono stati due anni, magari saranno dieci. Noi abbiamo un piano b, un piano c e un piano d. Finiscono tutti nello stesso posto: dal benzinaio.

Ma voi siete ancora “così indie”?
Per certi versi direi proprio di sì perché alcuni modi di essere del mainstream attuale proprio non riescono a fare parte di noi.

Tipo?
Tutta la parte più glam e gossippara della scena. Il divismo. Ovvero tutto ciò che isola chi sta su un palco dagli altri che lo ascoltano. È una separazione che non ci appartiene. Noi proponiamo di fare le cose insieme, anche come stile di vita. crediamo in un allargamento, un elevamento della base. Crediamo, insomma, in chi ci segue e ci viene a sentire. Invece la scena mainstream, soprattutto la parte indipendente che si affaccia al mainstream, questa cosa la dimentica. Ed è normale perché, una volta che le persone cantano i tuoi pezzi, se non hai gli strumenti concettuali per affrontare la situazione, non puoi farlo. Finisce che te la meni e basta. In questo modo, però, non fai altro che alimentare un modello che distrugge tutto. E che si autodistrugge.

Il divismo uccide, insomma. Tra l’altro, a proposito, siete tra i pochissimi della scena che non ho visto sul red carpet della Mostra del Cinema di Venezia.
Ma solo perché non ci ha invitato nessuno! Mi sono proprio chiesto: ma cosa ci fa tutta quella gente lì? Che poi se mi ci invitavano ci andavo, mi vestivo anche bene. Però mi sarei vestito bene per fare lo scemo, mica il poser sul red carpet.

Sarà per l’anno prossimo. Considerando invece l’anno passato, ci racconti il momento più bello di questo tour e, per contrappasso, quello più disagiante?
I momenti più belli di questo tour sono stati quelli in cui siamo tornati a suonare in luoghi con cui abbiamo un rapporto speciale, come lo Sherwood a Padova. Poi c’era pure un botto di gente. Quando fai le cose con persone a cui vuoi bene i live vengono meglio, si divertono di più tutti.

Sì, ma il disagio?
I disagi più grandi sono stati i rischi di annullamento causa maltempo. Una data poi è saltata davvero, nel Salento. Niente di grave, eh? Solo un piccolo uragano che si è accanito sul nostro palco. Però ci siamo inventati un acustico improvvisato per le persone che erano venute a sentirci. Probabilmente non avranno sentito un cazzo delle chitarre, ma abbiamo cantato tutti insieme ed è stato bello.

Ma possibile che alla fine vi vada sempre tutto bene? Siete davvero quotidianamente così divertenti e divertiti?
In genere sì, poi però ci sono anche i momenti seri.

Tipo?
Tipo di recente a Bologna abbiamo intervistato il Ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli e il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti.

Voi? E come ci siete finiti?
Ci hanno invitato i ragazzi di Radio Immaginaria, c’è il video dell’intervista sul loro sito se volete farvi due risate. In realtà no, a parte gli scherzi, è stata una situazione molto istituzionale. Abbiamo posto ai Ministri (non la band, eh?) delle domande, cosa che in genere non si usa fare in questo Paese. Domande su temi a cui teniamo molto come l’alternanza scuola-lavoro e chiarimenti sui dati Istat relativi al Jobs Act.

E avete ottenuto risposte soddisfacenti?
Sai, quando parli coi Ministri si va a finire nei soliti discorsoni, sempre gli stessi. Però almeno ci abbiamo provato senza mandarla troppo in caciara. Dopo l’intervista abbiamo educatamente stretto la mano a entrambi. In quel momento avremmo voluto mandarci a fanculo ma vabbè, non l’abbiamo dato a vedere. Non troppo. In compenso ci sono arrivate un sacco di critiche per questa cosa.

La gran parte della gente pensa che siamo una band per ragazzine perché mettiamo le frasi d’amore su Facebook. Non hanno capito un cazzo. Siamo appassionati di cazzate, sì, scriviamo anche canzoni sentimentali, ma siamo pure molto altro. Il “contenitore” in cui andare a esprimerci non ci spaventa appunto perché abbiamo del contenuto.


Lo Stato sociale

Cosa vi hanno detto?
Su Facebook è volato qualche “rafanielli”.

Cioè?
È una canzone dei 99 Posse. “Rafaniello” significa “finto comunista”. Oggi si direbbe “Comunisti col Rolex”, credo, anche se quel disco non l’ho ascoltato.

E voi vi sentite più “Rafanielli” o più “Comunisti col Rolex”?
No, ecco, le uniche critiche che ci fanno incazzare davvero sono quelle sull’etica. Quando, come in questo caso, da sinistra ci arriva una frecciata del genere ci infastidiamo perché credo che sia meno evolutivo chiudersi in casa a fare il comunista da solo rispetto a uscire, andare in giro a dire un po’ come la si pensa, che è quello che facciamo noi, ovunque ci sia data l’occasione per farlo. La gran parte della gente pensa che siamo una band per ragazzine perché mettiamo le frasi d’amore su Facebook. Non hanno capito un cazzo. Siamo appassionati di cazzate, sì, scriviamo anche canzoni sentimentali, ma siamo pure molto altro. Il “contenitore” in cui andare a esprimerci non ci spaventa appunto perché abbiamo del contenuto.

Non vi spaventerebbe nemmeno Sanremo?
Noi non ci fermiamo davanti a niente. Come ti dicevo, abbiamo l’idea, un po’ del cazzo magari, che si possa andare ovunque a dire quello che si ha da esprimere. Poi quest’anno si dice che ci sia Claudio Baglioni, siamo sicuri che apprezzerà le nostre proposte.

Quindi avete già fatto delle proposte?
Sono dieci anni che ci proviamo ma ci scartano sempre, guarda. No, non è vero. Mi piacerebbe molto andarci per il folklore. L’anno scorso siamo passati dal Festival come inviati de Le Iene. È stata la prima volta per noi. Ho visto un po’ che bel mondo di merda che è e non vedo l’ora di tornarci.

Allora ve lo auguriamo.
Sì, però a questo punto ti rivelo una cosa in esclusiva. Sai che in questi giorni si parla di una specie di conduzione multipla del Festival, no? Ecco, perché i presentatori saremo noi cinque. Non lo sa ancora nessuno, ma è così, te lo giuro. Te lo giuro mentre pulisco il bidet.

Cioè dall’inizio di questa intervista stai lavando il bagno?
Sì, tendo a diventare sempre un po’ politico mentre mi accingo a pulire il bidet, hai notato? Ora sto passando lo straccio sullo specchio.

Beh, allora non c’è momento migliore per chiederti quale sia, oggi, l’Italia Peggiore.
Ah, mi riproponi la domanda sul disco vecchio?

Sì, perché L’Italia Peggiore è uscito nel 2014, sono passati tre anni, se è vero che al peggio non c’è mai fine, magari c’è qualcosa di nuovo da dire.
In realtà si può benissimo sovrapporre quanto già detto nel 2014. L’Italia peggiore oggi è sempre quella che si specchia nel virtuale fregandosene del reale, è quella che governa un Paese senza farsi eleggere, ma anche quella che fa opposizione sulle paure della gente perché le paure sono una responsabilità, non ci si può costruire sopra una carriera politica, come non si potrebbe fare sull’ignoranza. Questo vale per tutti i tipi di populismi, di qualunque orientamento. Noi siamo super partes perché è sempre solo populismo il modello dominante.

L’Italia peggiore oggi è sempre quella che si specchia nel virtuale fregandosene del reale, è quella che governa un Paese senza farsi eleggere, ma anche quella che fa opposizione sulle paure della gente perché le paure sono una responsabilità, non ci si può costruire sopra una carriera politica, come non si potrebbe fare sull’ignoranza.

A proposito di “modello dominante”, nel vostro ultimo disco “Amore, Lavoro e altri miti da sfatare” c’è una canzone che si intitola “Nasci Rockstar, Muori Giudice ad un Talent Show”. Avete già detto che il riferimento non è a Manuel Agnelli. Ma a qualcuno dovete pur aver pensato mentre la scrivevate, no?
Sì, abbiamo pensato a noi.

Perché aspirate a diventare giudici di X Factor?
Sì brava, hai capito perfettamente. No, a X Factor non saremmo durati due secondi nemmeno come concorrenti. Per fare i giudici siamo troppi, non è che possiamo darci alla lotta greco romana tra noi per accaparrarci una poltrona lì, dai. Tornando alla canzone che hai citato, ti ho detto che l’abbiamo scritta pensando a noi perché è vero: il sistema ti fagocita, ti impone di stare a determinate regole. Anche sul modo di fare cultura. Sei costretto a fare dei compromessi.

E voi ne avete fatti?
Sì. Non siamo contrari ai compromessi, mica abbiamo la verità in tasca. Quando sei disposto lasciar andare una tua idea per qualcosa di più grande, se questo consente di favorire il bene collettivo, benvenga. Benvanga il compresso. Mamma mia, sono ancora più politico quando finisco di pulire lo specchio.

Ma quindi ora il bagno è a posto? Hai finito?
Sì.

Che curiosa coincidenza, è finita anche l’intervista. Ma la felicità, invece, l’abbiamo finita?
No, “abbiamo finito la felicità” è solo la stupida conseguenza di una canzone (Amarsi Male, ndr). La felicità non finisce mai.

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