Cesare Battisti: terrorista (conformista) di sinistra

L'ex terrorista rosso è un coatto con un palmarès da delinquente di provincia. Miseria umana di certo contesto militante politico e perfino intellettuale di sinistra "antagonista"

REGINALDO CASTRO / AFP

Se mai, un giorno, dopo avere già affrontato il conformismo di sinistra tout court, dovessi, volessi, scrivere un piccolo trattato sulla supponenza riferita a un certo contesto che, per semplicità, definiremo “antagonista”, prossimo all’idea e alla prassi del “partito armato”, credo che in copertina figurerebbe – testo visivo a fronte – il volto, la faccia, la smorfia di Cesare Battisti, l’ex terrorista rosso, un palmarès da delinquente di provincia, un assassino. Già, un detenuto “comune” politicizzatosi in carcere negli anni Settanta, un “coatto”, pronunciato alla romana, l’uomo è nato a Cisterna di Latina, le porte di Roma.

Così, quando, l’altro giorno, ho saputo del suo arresto al confine tra Brasile e Bolivia, fermato appunto dalla polstrada locale mentre cercava di “telare”, dico così giusto per proseguire e far nostro un lessico da coatti, non ho potuto fare a meno di esprimere la mia soddisfazione umana e politica, meglio, “civile”, nero su bianco, in nome della difesa della fantasia, sulla lavagna del mio profilo Facebook. Ho commentato testualmente: «arrestato il delinquente Cesare Battisti, è una vittoria, sebbene tarda, della giustizia, è una sconfitta della più ottusa subcultura della militanza armata». Infine, ho aggiunto: «basterebbe un po’ d’amor d’ironia per trovare inaccettabile la persistente e pervicace supponenza di un simile assassino dalla faccia odiosa». Punto.

In verità, le mie riflessioni sulla miseria culturale e morale del personaggio iniziano ben più di dieci anni fa, rilevavo allora, appunto, ora la vicenda politica e criminale ora il detestabile tratto caratteriale distintivo. Cesare Battisti, come dimostra la sua vicenda giudiziaria, ha fatto parte di un’esperienza di lotta armata. Latitante dal 2004, è stato arrestato nel 2007 in un albergo di Copacabana, a Rio de Janeiro in Brasile. Ex leader del Proletari armati per il comunismo, Battisti, com’è forse noto, era stato già fermato a Parigi anni prima su richiesta della giustizia italiana perché condannato definitivamente due volte all’ergastolo, nonché in quanto imputato di altri due omicidi. Era stato però scarcerato con obbligo di firma, in attesa della procedura d’estradizione richiesta dal governo del tempo.

Da allora era sparito. Traevo queste informazioni dalle agenzie. Visto che, come forse accennavo, non ho mai sentito la sua storia degna di vero interesse, la fuga di un individuo privo insomma d’ogni effettivo carisma. Fastidio semmai, fastidio politico e, lo ribadisco, umano, accresciuto dal linguaggio usato dai suoi amici del movimento di solidarietà sorto in Francia, quando Battisti era, appunto, in attesa di sentenza, e ancora, citando sempre le sue smorfie di quei giorni, dall’atteggiamento mantenuto dal diretto interessato. Su tutto svettava però, sempre ai miei occhi, la supponenza degli intellettuali parigini che gli stavano intorno, quasi egli fosse un nuovo (il paradosso è voluto) Sacco e Vanzetti, un ennesimo caso di infamia giudiziaria perpetrato dalla giustizia italiana, “fascista” per definizione: Roma come il Cile di Pinochet.

Queste considerazioni sono comunque svanite tempo dopo, quando mi è bastato vederlo ospite a “Le Iene”, a quel punto c’è voluto assai poco per intuire una levatura e un eloquio davvero miserabili, così l’ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo, un nome e una sigla sufficienti a far balenare il dubbio che l’ironia non abbia mai illuminato quell’emisfero insurrezionalista, lo stesso che altri, con altrettanta retorica, hanno invece definito una “generazione di insorti”.

Battisti, ricordiamo ancora, è stato condannato all’ergastolo dalla Corte d’assise e d’appello di Milano per aver ucciso il gioielliere Torreggiani, e anche ferito suo figlio quindicenne, da allora costretto su una sedia a rotelle, per l’omicidio di un maresciallo degli agenti di custodia di Udine e di un agente della Digos. Inoltre, faceva parte del gruppo che fece irruzione nella sede del MSI a Mestre, assassinando un iscritto a quel partito.

Intendiamoci, così rilevavo, Battisti è pienamente legittimato (da se stesso e ovviamente dai suoi amici parigini e brasiliani) a sostenere che la questione politica dei cosiddetti “anni di piombo” debba essere chiusa attraverso un’amnistia generalizzata, un po’ meno accettabile è semmai la supponenza che gli viene forse dall’essere adesso uno scrittore di gialli. Modestissimo scrivente, aggiungo. Un dilettante di maniera.

Queste considerazioni sono comunque svanite tempo dopo, quando mi è bastato vederlo ospite a “Le Iene”, a quel punto c’è voluto assai poco per intuire una levatura e un eloquio davvero miserabili, così l’ex terrorista dei Proletari armati per il comunismo, un nome e una sigla sufficienti a far balenare il dubbio che l’ironia non abbia mai illuminato quell’emisfero insurrezionalista, lo stesso che altri, con altrettanta retorica, hanno invece definito una “generazione di insorti”. Non sembra, ed è il dato politico più grave e moralmente inaccettabile, che l’uomo abbia mai davvero voluto chiarire i dettagli della sua storia trascorsa, della sua vicenda di assassino, ribadisco, supponente.

Ma l’affaire Battisti va ben oltre il volto detestabile del soggetto. Immaginare infatti che i suoi sostenitori ci stiano guardando con un senso di schifo misto a riprovazione (no, proprio più schifo che riprovazione) mi fa riflettere sulla miseria umana di certo contesto militante politico e perfino intellettuale di sinistra cosiddetto antagonista. Come se stessimo commettendo noi un crimine, indicando in Battisti ciò che egli in modo conclamato è, cioè un assassino supponente, un delinquente comune che ha fatto della menzogna la sua arma di copertura. Doveroso provare pena per questa sorta di inquisizione leninista, e il fatto che tacciano sulle nostre parole conferma ciò che da giorni penso, anzi, da anni, la loro infinita pochezza. Implicitamente, è bene lo sappiate, le anime belle che hanno fatto di Battisti una bandiera di libertà e futura umanità, ci ritengono dei fascisti complici degli aguzzini di Stato.

Se solo provo a pensare che Battisti e i suoi “compagni” immaginavano di prendere prima o poi, il potere per affermare, in prospettiva, il comunismo, se solo provo a pensare Cesare Battisti al potere al posto di Gentiloni o di Renzi. Davvero questi signori del “partito armato” si sono immaginati inizialmente dietro la scrivania dei Restivo, dei Rumor, degli Andreotti, di Aldo Moro.

Nel caso degli intellettuali francesi che per lungo tempo, forti della dottrina Mitterrand, che dava asilo ai militanti politici italiani, c’è di mezzo lo storico pregiudizio anti-italiano, un senso di superiorità, il risaputo istinto di superiorità che fa dire a Philippe Sollers, scrittore francese, persona tuttavia simpatica umanamente amabile, anche lui tra i primi firmatari dell’appello pro-Battisti, gli fa dire testualmente: “Gli italiani vengono in Francia per sapere cosa pensare”. Frase che Sollers pronuncia testualmente, rivolto al sottoscritto, nel 1988, durante un’amabile serata alla “Closerie des Lilas”, a Montparnasse, già luogo di ritrovo di Zola, Baudelaire, Modigliani, Picasso, Beckett, Pound, Gide.

Se solo provo a pensare che Battisti e i suoi “compagni” immaginavano di prendere prima o poi, il potere per affermare, in prospettiva, il comunismo, se solo provo a pensare Cesare Battisti al potere al posto di Gentiloni o di Renzi. Davvero questi signori del “partito armato” si sono immaginati inizialmente dietro la scrivania dei Restivo, dei Rumor, degli Andreotti, di Aldo Moro.

Né, in tutta questa storia, posso dimenticare quel signore, suo compagno di strada, che, replicando al mio articolo di dieci anni addietro dedicato proprio alla faccia di Cesare Battisti, attribuiva il mio risentimento verso il suo eroe a un fatto di invidia. Personalmente, facevo notare che «Battisti in breve, a meno che mi sia sfuggito qualche dettaglio, non ama porsi su un piano di parità. Nonostante le sue indubbie responsabilità penali». E quello ribatteva: «Ma cos’è che poi dà veramente noia ad Abbate? Semplice! Battisti è pubblicato ‘dalla prestigiosa casa editrice Gallimard, la stessa di Sartre e Camus‘. E invece Abbate ciccia!».

Sarà stato il 1977, subito dopo la cacciata di Lama dalla Sapienza e il gesto delle P38 ai cortei, quando le ragazze borghesi mollarono i loro fidanzati sottili come creature disegnate da Aubrey Beardsley – ragazzi non meno “compagni”, intendiamoci – per mettersi con i duri oranghi di Autonomia operaia, così questi ultimi pensarono d’essersi ormai finalmente issati sul tetto delle vere soddisfazioni sociali, così pensarono i semplici, gli amici a venire di Cesare Battisti, ignorando che già nell’estate del 1978 sarebbero stati scaricati in malo modo, privati della sdraio e perfino della bottiglia di “Mateus” . Battisti, solo lui, le dame del post-soccorso rosso, come la scrittrice francese Fred Vargas, hanno invece continuato ad amare, a tenere nel cuore, e anche questo e un capitolo ulteriore dell’ideale trattato sulla supponenza.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club