Per fortuna che la lingua è la cosa più virale e zozza. Dionisiaca nel senso non tanto della violenza quanto dell’umida pervasività. Per fortuna che entra nelle orecchie, e nei cervelli, senza permesso – intendiamo la lingua parlata, che è superiore a quella scritta, vedi Platone e Marshall McLuhan-. Ripeti un po’ di volte in ufficio una parola strana: “labe di tobru”, e dopo un po’ qualcuno degli astanti ripeterà un significato a lui ignoto.
Per fortuna esistono lingue fatte apposta per non farsi capire. E per dire cose poco controllabili. Se la lingua è potere l’antilingua, la lingua che serve per NON farsi capire, è antipotere
Fortuna che mentre rimbalziamo polemiche sui giornali e sui social sull’opportunità o meno di una certa parola, una certa definizione, una certa declinazione (presidente o presidenta? Frocio si può dire?), come se il linguaggio fosse lo specchio di tutto l’abitare politico, come se dovessimo una tassa a vita alla funzione rappresentativa della lingua; come se il linguistic turn, andato ad aceto, fosse diventato una forma di controllo che tende al tutto, ai tutti, al trascendentale, a una trasparenza assoluta del nostro parlare e scrivere, fortuna che esiste (ancora) altro.
Pretendono che ci facciamo capire, e che parliamo e scriviamo secondo certi codici linguisticamente corretti, ma appunto, per fortuna esistono lingue fatte apposta per non farsi capire. E per dire cose poco controllabili. Il linguaggio egocentrico è spelonca di ossessivi e segaioli, gli idioletti sono capannine per familiari e innamorati, i linguaggi settoriali sono scranni per specialisti e poltrone unte di salsa barbecue per nerd, i gerghi sono da sempre strada per fuorilegge: imbroglioni, malavitosi. E anarchici.
Se la lingua è potere l’antilingua, la lingua che serve per NON farsi capire, è antipotere. E questo libro Il Riocontra Illutostra. Per entrare in vibranezio con l’ozi della dastra (Giulio È in Audi Editore 64 pp, non ha prezzo) è un prontuario di anarchia, scritto da Aldofre e Nigiova Di Nobru.
Due parole di spiegazione (in ossequio al potere). Il Riocontra è un gergo che si è diffuso in certe zone di Milano a partire dagli anni 70. Veniva (e viene) parlato in strada, in particolare nella zone di Lambrate, consiste nell’invertire le sillabe delle parole già usate nello slang di quartiere. Il “labe di tobru” vuol dire “bella di brutto”. “Zio” (“amico”, “tizio”) diventa “Ozi”. La parola sessista/maschilista: “figa di legno”, diventa “gafi di gnole”.
Il riocontra è parente del Verlan inventato a Marsiglia nell’Ottocento, del Vesre di Buenos Aires, del Podanà greco. Alla lontana anche della Parlesìa che i musicisti napoletani usavano per tramare felici.
Gli specialisti parlano di “funzione criptica” dei gerghi. E infatti in apertura del libro c’è un bell’elenco illustrato di chi non deve capire “uno zoca”: la drema e il drepa (madre e padre), il chiove e la chiove (i vecchi), il tepre (prete), ma innanzitutto il rosbi (sbirro) e l’essere più temibile in giro per la dastra (strada): stiamo parlando del boba (babbo).Il boba tra l’altro se ti capisce per prima cosa ti segnala su Facebook, il correttore del tuo Iphone X (che è più lungo del tuo “zoca”) fa una fatica “stiabe” a imparare il Riocontra, e insomma si è già in un mondo ristretto, antifunzionale, esclusivo (nel senso che esclude) e veramente anarchico
Il boba tra l’altro se ti capisce per prima cosa ti segnala su Facebook, il correttore del tuo Iphone X (che è più lungo del tuo “zoca”) fa una fatica “stiabe” a imparare il Riocontra, e insomma si è già in un mondo ristretto, antifunzionale, esclusivo (esclude) e veramente anarchico. Anche goliardico? Certo, ma non è un mistero che la goliardia sia stata ammazzata dall’ideologia. Per cui il risolino che suscita il librino (che, tra l’altro come veste grafica è identico a una collana Einaudi, ma qui È In Audi) ha un qualcosa di antiideologico. Antisociale. Iniziatico/metafisico.
Ed è un librino fatto bene. Ci sono le regole spiegate passo passo. I metodi di sostituzione delle sillabe. Si spiega bene che fine fanno le doppie nelle parole bisillabiche, come si invertono nelle trisillabiche (tre metodi: cesempli, impertofe, supertofe) e in quelle più lunghe. Ci sono perfino gli esercizi, capitolo per capitolo. Tipo abbeccedario. Ma è un libro (e non poteva non esserlo) anche ellittico.
Che NON dice tutto, anche perché nel Riocontra la regola fondamentale è il Nosuo, il suono.
Perché ci si può divertire a stilare una grammatica ma il senso, lo spirto, l’allegria e il nascondimento del double talk del Riocontra è sempre qualcosa che si capisce a orecchio. Tornando all’aspetto virale e zozzo, e non politicamente controllabile, della lingua: si può provare a fare un salto al Birrificio di Lambrate per capire. Alla terza Sant’Ambroeus con chiacchiere in Riocontra se c’è l’orecchio labe di tobru. Se no releca le lepa. Torna al “presidente o presidenta”, ozi.