Il trasporto pubblico locale non ha, in Italia, un passato glorioso. Abbiamo 1.200 imprese che gestiscono gli autobus e i tram locali, di cui 120 con dimensioni non microscopiche. Un terzo di loro è in perdita, anche perché il tasso di riempimento è di appena il 20%, la metà della Francia. Dai biglietti non ricavano che il 28% del fatturato e il resto è riconducibile a sovvenzioni pubbliche dirette o indirette. Insomma, è un servizio che di economico non ha niente e ha molto di politico. In senso buono, perché si dà un servizio in aree spesso non redditizie; e in senso cattivo, perché da sempre i suoi 11,5 miliardi di fatturato sono estremamente appetitosi per alimentare il clientelismo.
Con le risorse pubbliche che in altri settori sono state tagliate in maniera più drastica, un’azienda pubblica rimane un ottimo modo per piazzare un ex politico, dare una consulenza a un’azienda amica o assumere personale, come nella Parentopoli romana di qualche anno fa. Le società di Tpl (trasporto pubblico locale) sono per oltre l’80% pubbliche e i potentati locali hanno fatto di tutto per non perderle. Tuttavia è stata l’Europa, anche in questo caso, a sparigliare le carte, imponendo delle gare pubbliche per l’assegnazione dei servizi, da svolgere entro il 3 dicembre 2019. Sono possibili eccezioni: gli enti locali possono continuare a prediligere l’affidamento “in house”, ma non senza conseguenze, dato che in questo modo le aziende di trasporto perdono il 15% dei trasferimenti pubblici e non possono svolgere l’attività al di fuori della propria area di riferimento.
Sono le famose liberalizzazioni, che però, ancora una volta, in Italia sono state interpretate alla nostra maniera. I soggetti privati rimangono marginalissimi e gli unici soggetti nuovi entrati nella gestione dei servizi sono pubblici. A volte sono stranieri, come la Arriva, una società di proprietà della tedesca Deutsche Bahn, che gestisce i servizi in diversi comuni della Lombardia, del Friuli Venezia Giulia e del Piemonte. O la Ratp, società francese pubblica (gestrice dei trasporti nell’Ile de la France) che è scesa in campo – per il momento risultando vincitrice – per i servizi della Toscana.
A fare man bassa dei servizi pubblici locali italiani è stato però soprattutto un soggetto pubblico italiano, le Ferrovie dello Stato, attraverso la controllata Busitalia. Nel loro ultimo piano industriale (2017-2026) le Fs si sono poste l’obiettivo di gestire il 25% di tutto il Tpl su gomma entro il 2026. Può sembrare molto, ma se si considera che degli 11 miliardi di valore totale, 8 sono a oggi costituiti da affidamenti diretti o da società in house, significa prendere quasi tutto quello che rimane. Il grosso degli affidamenti deve ancora essere conteso. All’inizio del 2017 (fine gennaio) – si legge nel bilancio 2016 di Busitalia – sono già stati pubblicati undici avvisi di pre-informazione di gara relativi ad affidamenti con gare in scadenza entro la fine del 2017 per oltre 220 milioni di chilometri di servizio all’anno ed un valore superiore ai 400 milioni di euro annui; altri 15 avvisi sono stati pubblicati per gare con scadenza nel 2018. Nel piano industriale si legge che «oltre il 70% della crescita prevista sarà associato ad azioni che escono dal perimetro attuale».
Nel loro ultimo piano industriale (2017-2026) le Fs si sono poste l’obiettivo di gestire il 25% di tutto il Tpl italiano entro il 2026. Per arrivarci la strategia è molto semplice: accaparrarsi tutto quello che viene messo in gara
C’è da scommettere che in tutti i prossimi bandi parteciperà Busitalia, che già, in ogni caso, si è mossa tantissimo negli ultimi cinque anni. La sua storia è relativamente recente e legata all’attuale amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, Renato Mazzoncini. Busitalia nasce nel 2011 dalla scissione della Sita, una storica società di trasporti (fondata nel 1912) della Fiat, che negli anni Ottanta passa alla Sogin, della famiglia pugliese Vinella. In seguito le Fs acquistano la maggioranza di Sogin e comincia una turbolenta convivenza, che finisce con la divisione in due della società. Da una parte rimane la Sita Sud, della famiglia Vinella, che ha servizi in Puglia, Campania e Basilicata. Dall’altra le Fs tengono Sita Nord, che poi diventa Busitalia. Non ha più le competenze della Sogin e a quel punto si fa avanti Renato Mazzoncini, alla guida della società privata Autoguidovie. Si parla inizialmente di uno scambio azionario, si avrà invece una joint-venture. Ma cambia poco, perché dopo Mazzoncini anche il suo successore in Busitalia, Stefano Rossi, sarà ad anche di Autoguidove.
Lo scambio è know-how contro dimensioni, perché l’alleanza permetterà ad Autoguidovie di partecipare a diverse gare contando sull’alleanza con la sorella maggiore Busitalia. Mazzoncini diventa amministratore delegato sia di Autoguidovie sia di Busitalia. È competente, veloce e mette subito a segno la prima operazione. Nel 2012 partecipa alla gara per l’acquisto delle quote dell’Ataf, la società dei traporti locali di Firenze. Per il 100% delle quote di Ataf Gestioni spende 18,9 milioni di euro, 6,5 in più della base d’asta, insieme alle compagne dell’Associazione temporanea di impresa: Cooperativa autotrasporti pratese e Autoguidovie. Il sindaco è Matteo Renzi, che da allora terrà d’occhio il manager fino a chiamarlo alla guida di Ferrovie dello Stato. Il rapporto tra i due sarà sempre strettissimo.
È a quel punto che le ferrovie diventano un soggetto attivissimo nel tpl su gomma. Busitalia nel 2014 si aggiudica la gare per Umbria Mobilità, la società – in crisi – che gestisce il trasporto pubblico locale in Umbria. In Umbria l’azienda rimane coinvolta in un’inchiesta della procura di Perugia su una presunta truffa nella contabilizzazione dei chilometri percorsi dal trasporto pubblico locale ai finalizzata a ricevere 6 milioni di euro di fondi statali. Tra gli indagati c’è anche l’ad Mazzoncini che, come il gruppo, si dichiara estraneo a qualunque intento di truffa nell’ambito dei fatti oggetto dell’indagine.
Nel 2015 avviene la fusione tra la municipalizzata Aps Holding di Padova e Busitalia, che già aveva – dati tempi di Sita – il trasporto pubblico extraurbano di Padova e Rovigo e il trasporto urbano di Rovigo. Nasce Busitalia Veneto, di cui la società di Fs ha la maggioranza. Avviene poi lo sbarco al Sud, con la vittoria della gara per acquisire il Consorzio Salernitano di Trasporto Pubblico (CSTP) da tempo in stato di insolvenza.
La figura chiave di tutta l’ascesa di Busitalia è Renato Mazzoncini, attuale ad di Ferrovie dello Stato. La svolta arriva quando nel 2012 Busitalia compra le quote di Ataf Gestione, a Firenze. Il sindaco è Matteo Renzi
Fin qui si tratta di rilevare catorci in dissesto. La strategia però va molto oltre. Le tappe successive sono la gara per il Tpl Toscana, quella per il Tpl Friuli, per il Tpl di Parma, per il Tpl di Pavia e per il Tpl di Frienze nel Mugello e Alto Mugello. Autoguidovie ha invece rilevato le quote pubbliche di Atp Esercizio, a Genova. Rimangono ancora un miraggio i bocconi più grossi: l’Atm a Milano e l’Atac di Roma. A Milano c’è stato un ingresso laterale, con l’acquisizione delle quote di Ansaldi nella Metropolitana 5. L’ipotesi di un ingresso di Busitalia in Atm era tanto scottante che su questo tema, secondo le ricostruzioni di stampa, si è dimesso l’ex presidente Bruno Rota. In seguito a diversi scioperi è però stato chiarito che la società resterà “in house”. A Roma, invece, sembrava inizialmente cosa fatta. Ma la sindaca Virginia Raggi sembra intenzionata a proseguire l‘attività “in house” fino al 2024, per poter gestire meglio il risanamento della disastrata società di trasporti.
Le gare a cui Busitalia ha già partecipato hano storie molto diverse, che hanno come caratteristica comune quella dei continui ricorsi ai tribunali amministrativi. Non sempre va bene, anzi. La gara per il Tpl Toscana vede la vittoria di Ratp. Segue però un ricorso perché la Ratp è una società in house a Parigi. Il Tar dice che nessuna delle due poteva partecipare. Segue un ricorso al Consiglio di Stato, che a sua volta manda la palla alla Corte Europea. Intanto, a fine ottobre 2017, la Regione Toscana mette attorno a un tavolo i due contendenti e affida a entrambi congiuntamente un contratto ponte di due anni, in attesa della sentenza della Corte. Una bandierina è stata messa, il messaggio è chiaro: non si molla di un metro.
Viene persa anche la gara per il Tpl del Friuli Venezia Giulia, dove la gara va al Tpl Fvg Scarl, che concorre contro Autoguidovie/Busitalia. La gara, che vale oltre un miliardo di euro per dieci anni di affidamento, è stata bandita nel 2014 ed è attualmente congelata. A luglio 2017 l’ultima tappa della battaglia: i giudici del Tar del Friuli Venezia Giulia hanno bloccato l’aggiudicazione della gara del trasporto pubblico regionale, definendo “inadeguate e sibilline” le motivazioni fornite dalla commissione giudicatrice, nel merito dell’assegnazione alla Tpl Fvg Scarl.
Una battaglia giudiziaria è stata portata avanti anche nell’area del Mugello e Alto Mugello, dove invece, alla fine, Busitalia è risultata soccombente.
Le gare a cui Busitalia ha già partecipato hano storie molto diverse, che hanno come caratteristica comune quella dei continui ricorsi ai tribunali amministrativi. Il messaggio è chiaro: non si molla un centimetro, l’obiettivo è vincere a ogni costo
Ma ancora più infuocate sono state le gare per Parma e per Pavia. Nel caso di Parma, è successo l’opposto rispetto alla Toscana. L’Ati Busitalia-Autoguidovie nel 2016 ha vinto la gara, offrendo il doppio degli investimenti in nuovi autobus e filobus rispetto agli avversari di Tep, i precedenti gestori del servizio. Nell’ottobre 2017 arriva però l’annullamento della gara da parte del Tar di Parma. Alcuni passaggi della sentenza, ripresi dal giornale Rosso Parma, danno uno spaccato di come è stata gestita la gara. Evidenziano un grande conflitto di intesse. Nelle parole della sentenza suona così: «illegittimità della partecipazione dell’aggiudicataria in virtù della situazione di conflitto di interessi determinata dalla presenza nell’organico aziendale della stessa di un Dirigente già Amministratore della citata Lem Replay, precedentemente coinvolto nelle attività di approntamento della documentazione di gara». Tradotto significa che il consulente che ha preparato la gara (nella sentenza segnato come ing. OMISSIS, ma il cui nome è ricostruito dal giornale locale) è stato poi assunto da Busitalia. Inoltre lo stesso ingegnere era stato consulente di Busitalia nell’ambito della fusione in Veneto che aveva portato alla creazione di Busitalia Veneto. Sul caso c’è un’indagine in corso.
A Pavia c’è stato forse il caso più controverso di tutti. La prima gara per il trasporto locale aveva visto vincere il consorzio Tplo, formato da Stav, Sapo, Line,Pt e Stac. Al secondo posto era arrivata Autoguidovie, la società in joint venture con Busitalia. Dopo una diffida arrivata alla Provincia da parte di Autoguidovie e un parere legale – ricostruisce Il Giorno – Tplo è stato escluso dalla gara perché considerato un consorzio ordinario e non stabile. È cominciata, spiega il giornale, «una “guerra” a colpi di ricorsi arrivata fino al Consiglio di Stato e che potrebbe continuare con un nuovo intervento del giudice amministrativo in sede di revocazione». Al Consiglio di Stato è stata confermata la vittoria di Busitalia. Ma c’è uno strascico, un’inchiesta penale che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di quattro persone: l’ex assessore alla Mobilità della Provincia Paolo Gramigna, il presidente della commissione aggiudicatrice Mauro Maccarini, i tecnici Armando Leoni di Genova e Claudio Brasca, di Marcignago. L’accusa è di turbativa d’asta. Le indagini sono in corso. Il bando sarebbe stato confezionato su misura per favorire Autoguidovie. Sulla questione è pendente anche un ricorso all’Anac.
L’approccio muscolare di Busitalia è contestato apertamente da Alberto Cazzani, consigliere delegato della Stav di Vigevano e presidente di Anav Lombardia (Associazione nazionale autotrasporto viaggiatori, aderente a Confindustria). «Le gare vanno fatte – ha commentato – e vanno fatte bene. Le poche, isolate esperienze sin qui fatte in Lombardia e in Italia non delineano un modello positivo di liberalizzazione. Purtroppo in molti casi, la burocrazia ha ostacolato l’accesso al mercato, quando invece buone regole e buona amministrazione dovrebbero favorirlo. Serve pertanto un modello nuovo, chiaro e concertato con la rappresentanza delle imprese e la Lombardia deve proporsi di essere regione benchmark a livello nazionale».
Cazzani sottolinea come le gare cambino a seconda della posizione di forza di Busitalia. A Padova, dove la società delle Fs è incumbent, il bando, dice a Linkiesta, «ha dei requisiti abnormi, in termini di fatturato, patrimonio netto e chilometri percorsi all’anno. Escludono già il 99% delle aziende private italiane». La richiesta delle imprese del settore è che le liberalizzazioni siano vere e non costruite per creare un nuovo monopolio benedetto dalla politica.
«A Padova, dove la società delle Fs è incumbent, il bando ha dei requisiti abnormi, in termini di fatturato, patrimonio netto e chilometri percorsi all’anno. Escludono già il 99% delle aziende private italiane»