Se fosse un talent sarebbe senza dubbio X Factor, con tutti che aspirano al ruolo di Lorenzo Licitra, il bravo figlio che mette la musica nel frullatore – un po’ di anni ’80, un po’ di pop, un pizzico di innocua trasgressione – e porta a casa la vittoria a sorpresa. Questa campagna elettorale, per la prima volta in mano a un gruppo di quarantenni rampantissimi, si preannuncia diversa da tutte anche per l’imprinting anagrafico dei protagonisti: Matteo Renzi, Matteo Salvini e Luigi Di Maio – 110 anni in tre – non hanno da pagare tributi al vecchio standard politico fatto di programmi scritti, decaloghi, documenti collettivi, ma se la giocano in solitaria, un occhio allo share e l’altro ai sondaggi. Come, appunto, i personaggi di un talent che settimana dopo settimana devono costruire un racconto convincente.
L’ultima volta che il Paese andò alle urne, nel 2013, la ritualità e le facce erano ancora quelle del vecchio mondo. Berlusconi, Bersani, Grillo, 205 anni in tre. Fecero concessioni spesso surreali alla società dello spettacolo, tipo i flash mob per “smacchiare il giaguaro”, ma per il resto rispettarono la tradizione con corpose indicazioni programmatiche scritte nero su bianco, dalla A di “Ambiente” alla S di “Sgravi Fiscali”: centinaia di pagine per dire «abbiamo un progetto, non solo qualche faccia».
Nel M5S la cosa fu presa con tanta serietà che alla voce Energia c’era addirittura il calcolo dei litri di gasolio sufficienti per ogni metro quadro calpestabile (sette, per chi fosse curioso). Bersani si limitò a otto punti, ma li presentò e fece votare in direzione. Dopo immani dibattiti e limature. Il Cavaliere ne scrisse 23, sotto forma di contratto firmato da lui personalmente. Tutti avevano opinioni molto nette e riconoscibili sui temi del momento, dall’Europa alle tasse, al lavoro.
Luigi Di Maio dice che a un eventuale referendum sull’uscita dall’Europa voterebbe Sì, ma se governasse lui quel referendum non si farebbe perché non ce ne sarebbe bisogno. Insomma Sì, ma anche No
In questo giro, il giro dei trenta/quarantenni, nessuno si vuole incatenare ad affermazioni troppo precise. Luigi Di Maio dice che a un eventuale referendum sull’uscita dall’Europa voterebbe Sì, ma se governasse lui quel referendum non si farebbe perché non ce ne sarebbe bisogno. Insomma Sì, ma anche No. E il copione è lo stesso sulle alleanze: Sì, siamo alleabili, ma dopo il voto e sul nostro programma di governo, il che in pratica equivale a un “Vedremo” piuttosto ambiguo.
Matteo Salvini parla di immigrati e dice che quelli che lavorano e pagano le tasse «sono tutti italiani», però lo fa da un palco dove c’è scritto No Ius Soli: insomma, sono italiani o no? Oppure Boh? Quanto a Renzi, l’osservato speciale di questa campagna, più che un progetto sembra promuovere una personalità (la sua) e uno stile di governo (sempre il suo).
La campagna elettorale formato Young risulta insomma l’esatto contrario dell’immaginabile. Gli slogan incendiari – reddito di cittadinanza, rottamazione, ruspe – elaborati da questi ragazzi quando la prima linea era ancora dei “vecchi”, sembrano archiviati proprio adesso che la prima linea è tutta loro, senza più necessità di compromessi. Al loro posto entrano suggestioni più morbide, più generiche, più reversibili e felpate. Un po’ è il classico cerchiobottismo della politica italiana, molto la convinzione che, esattamente come a X Factor, il vincitore lo determinerà il corpaccione dei moderati e che alla fine gli italiani votano il modello Licitra: rassicurante, capace di non scontentare nessuno, di mettere insieme Elton John e Lady Gaga.
La campagna elettorale formato Young risulta insomma l’esatto contrario dell’immaginabile. Gli slogan incendiari – reddito di cittadinanza, rottamazione, ruspe – elaborati da questi ragazzi quando la prima linea era ancora dei “vecchi”, sembrano archiviati proprio adesso che la prima linea è tutta loro, senza più necessità di compromessi
Cè poi un elemento più profondo. La Generazione X a cui tutti i nostri appartengono, è quella dei cartoni animati, dei videogames, dei primi computer, delle televisioni commerciali. Il suo imprinting diffida del pensiero collettivo, si è formato nella necessità di essere imprenditori di se stessi. Ama tutto ciò che è liquido, veloce, aggiornabile. La sola prospettiva di legarsi a un “prodotto” che domani potrebbe risultare superato gli sembra inconcepibile. E che cos’è un programma se non un prodotto da sottoporre agli elettori? Anche per questo Di Maio, Renzi e Salvini, con i loro 110 anni in tre, se la giocano sulle emozioni e tengono nel vago i progetti e le future alleanze. Sono un vincolo, non una risorsa. Si farà sempre in tempo a pensarci dopo, se un dopo ci sarà.