Lotta nei fanghi: i comuni si mobilitano per difendere la salute pubblica

48 comuni fra le provincie di Lodi e Pavia vogliono rivolgersi al tribunale: non viene inserito alcun limite alla presenza di idrocarburi nei fanghi di scarto, che vengono utilizzati per concimare il terreno. I rischi per la salute sono molteplici

Comuni contro la Regione Lombardia in uno scontro al Tar che è una vera e propria lotta nel fango. Anzi, nei fanghi. Un prodotto di scarto del ciclo dei depuratori che viene trattato e poi utilizzato come concime nei campi. Una pratica che va avanti almeno dagli anni ’90 e che in Parlamento stava finalmente per essere normata. Ora, 48 comuni fra le provincie di Lodi e Pavia sono pronti a far ricorso al tribunale amministrativo per modificare la regolamentazione adottata dalla Regione a settembre 2017. Una norma che fissa dei paletti per alcune sostanze contenute nei fanghi, in particolare gli idrocarburi per cui il limite è di 10.000 milligrammi per chilo. «La nuova delibera impone la ricerca sistematica e specifica di tali parametri nei fanghi all’ingresso degli impianti di trattamento e prima dello spandimento in agricoltura. Aumentando i parametri di controllo si garantisce un maggior tutela dei materiali che vengono utilizzati come nutrienti per i campi», ha spiegato l’assessore regionale all’Ambiente, Claudia Terzi.

Eppure, per 25 anni, nessuno aveva pensato di introdurre un limite. Per giunta così alto. Nel 1992 la questione viene regolata la prima volta con un decreto legislativo. Lo stesso viene successivamente aggiornato dalla Regione nel 2014. In entrambi i casi non viene inserito alcun limite alla presenza di idrocarburi (specialmente quelli C10-C40). «Ci rivolgiamo al Tar perché non abbiamo altri strumenti per tutelare la salute pubblica», ha affermato Pietro Scudellari, sindaco di Linarolo alla Provincia Pavese. «Per i rifiuti che finiscono in una discarica di inerti è previsto il limite di 50mg. Se si superano – continuava l’intervento del sindaco – la destinazione è una discarica di rifiuti tossici». A preoccupare i sindaci non è l’utilizzo dei fanghi, ma piuttosto i criteri con cui quelli che vengono utilizzati ricevono il nulla osta. Una posizione ribadita anche nell’ultimo tavolo tecnico fra comuni e Regione di martedì 14: «Noi siamo favorevoli all’economia circolare, ma vogliamo essere sicuri di quello che c’è dentro alle sostanze utilizzate. E con le argomentazioni che la Regione ci ha mostrato anche oggi non c’è garanzia», ha commentato a caldo il sindaco di San Martino, Alessandro Zocca. «Certo è stato aperto un tavolo di discussione – ha continuato Zocca – ma questa è una normativa fatta frettolosamente il cui risultato non migliora la situazione precedente». Anzi, a complicare le cose erano già arrivate una sentenza della Corte di Cassazione di gennaio 2017 in cui si poneva una soglia differente: 50mg/kg.

Sulla sola provincia di Pavia nel 2015 sono state riversate 466 mila tonnellate di fanghi (un quinto del totale nazionale) utilizzate da circa 300 aziende agricole e i dubbi sulla salute del territorio e delle persone aumentano. ​

Nel frattempo, sulla sola provincia di Pavia nel 2015 sono state riversate 466 mila tonnellate di fanghi (un quinto del totale nazionale) utilizzate da circa 300 aziende agricole e i dubbi sulla salute del territorio e delle persone aumentano. «Oggi non si controlla quanto di questo materiale finisce nelle acque sotterranee o rimane su quelle superficiali», avverte il geologo Alberto Maccabruni, consulente dei comuni ricorrenti. «La preoccupazione maggiore è che con queste soglie il danno diventi troppo grande da bonificare. D’altronde gli idrocarburi non apportano nessun beneficio in natura tanto che pure Utilitalia (federazione che riunisce le aziende operanti nei servizi pubblici di acqua, ambiente, energia) ha sollecitato i ministeri e le commissioni affinché procedano con gli aggiornamenti alla normativa», ha concluso Maccabruni. L’iter per gli aggiornamenti tecnici già è stato avviato nelle commissioni Parlamentari a ottobre e presto potrebbe arrivare in aula. Capofila è il Senatore Luis Alberto Orellana (ex M5s, ora nel Gruppo misto): «Sono molto soddisfatto, questo testo rappresenta il frutto di mesi di lavoro e un passo importante per stabilire criteri che rendano più efficaci e stringenti i controlli sugli spandimenti, tenendo conto delle innovazioni tecniche e scientifiche. I sindaci del nostro territorio lo attendono da tempo». A conti fatti, sono due i punti cardini della normativa che attende di essere discussa. Il primo riguarda l’aggiornamento degli standard della vecchia legge del 1992 secondo parametri che riguardano l’evoluzione tecnica, le tempistiche, i controlli. Il secondo riguarda una revisioni dell’elenco delle sostanze che devono essere monitorate. Non conveniva aspettare, dunque? «Ce lo siamo chiesti anche noi – risponde Maccabruni – Ma forse così sperano di incentivare i depuratori. Tanto oramai siamo la capitale mondiale dei fanghi con materiale che arriva da Toscana ed Emilia Romagna».

Sotto i riflettori, quindi, finiscono anche le aziende che con questi materiali ci lavorano: «Sappiamo del malumore», ha confidato Pierfrancesco Visconti di Efar Italia. Questa realtà, nata nel 2015, aggrega le principali aziende italiane del settore del riciclo in agricoltura e della produzione di fanghi biologici da depurazione delle acque. Ma come funziona? Prima di tutto, chiunque operi in questo settore deve essere autorizzato da un ente pubblico e sottostare alla normativa vigente. Poi c’è bisogno del materiale. «Il 90-95% dei fanghi viene dalle reti civili», afferma Visconti. Si tratta del prodotto di risulta della depurazione e si presenta come una sostanza che può essere movimentata e spedita ai nostri. Qui il materiale viene trattato, igienizzato, gli vengono tolti gli odori. Infine viene portato alle aziende agricole per lo spargimento. Un business milionario e necessario che svolge una funzione di ponte fra industria civile e agricoltura: «Agli agricoltori convenzionati forniamo tutti i servizi necessari senza chiedere nulla in cambio. Sono le aziende che gestiscono i depuratori a pagarci alla fonte», afferma Visconti. Mentre a sostenere i depuratori ci sono i fondi pubblici: 1,43 miliardi di euro di investimento nazionale nella depurazione per il triennio 2016-19 più le bollette sui rifiuti. Un giro d’affari in cui rientrano anche gli agricoltori che utilizzano i fanghi per le tradizionali coltivazioni di riso dal momento che, una volta sparso, il fango funge da isolante: «Alla fine di tutto, rischiamo di essere noi i responsabili anche se chi utilizza i fanghi solitamente non adopera quel terreno per l’agricoltura, ma ci specula», ha ribadito Ettore Prandini, presidenti di Coldiretti Lombardia. Tutti in attesa, dunque, sperando che la prossima modifica alle soglie sia quella che pensa alla salute dei cittadini.

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