In tempi di fake news, ce n’è una che coinvolge il mondo della finanza e che andrebbe raccontata bene. È quella dei cosiddetti fondi falsi attivi, una strategia d’investimento tramite la quale il portafoglio di un fondo comune viene gestito replicando la composizione di un indice di mercato (Ftse Mib, Dax, S&P 500, etc..) – passivamente quindi – nonostante dichiari di essere attivo, ossia gestito da una persona in carne e ossa orientata – e pagata – per ottenere performance migliori rispetto a tali indici.
Vista così, a occhi profani, è una bugia (quasi) innocente. Per l’investitore profano, che poco s’intende di indici di borsa e scelte d’investimento, è difficile sapere in anticipo le performance di un fondo. Ed è altrettanto difficile capire se e come un fondo attivo possa essere vero o falso. Tanto più un periodo come questo in cui le performance in borsa sono ottime.
Le cose, tuttavia, non sono così semplici. Perché tra un fondo attivo e uno che dice di esserlo ci sono parecchie differenze. Di costo, soprattutto. Molto banalmente, i gestori dei fondi attivi sono remunerati proprio perché il loro compito è cercare opportunità in grado di creare valore aggiunto rispetto al mercato. Giocoforza, un fondo attivo è più caro, in partenza, rispetto a un fondo passivo, così come una berlina, più veloce e più sicura – quando i mercati perdono, soprattutto – è più costosa di un’utilitaria. Ecco: i fondi falsi attivi sono utilitarie travestite da berline: in città e sulle strade a tre corsie, quando c’è il limite di velocità basso e il rischio di incidenti è molto ridotto non ci si accorge delle differenze. Nel bel mezzo di una nevicata su una strada di montagna, invece, la differenza si nota eccome.
I fondi falsi attivi sono utilitarie travestite da berline: in città e sulle strade a tre corsie, quando c’è il limite di velocità basso e il rischio di incidenti è molto ridotto non ci si accorge delle differenze. Nel bel mezzo di una nevicata su una strada di montagna, invece, la differenza si nota eccome
Altra brutta notizia: se pensate siano casi isolati, che imbattersi in un fondo falso attivo sia solo uno sfortunato imprevisto vi sbagliate di grosso. L’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, per gli amici Esma, ha passato in rassegna le performance di circa 2.600 fondi d’investimento europei durante il biennio 2012-2014 e ha scoperto che parecchi dei fondi d’investimento europei monitorati possono essere classificati come “closet indexing”, gergo tecnico con cui sono indicati i fondi falsi attivi. Better Finance, più precisa, è arriva a scoprire che ce ne sono ben 165 a rischio di esserlo, su 1.013 fondi azionari europei analizzati dal database Morningstar. Il 16%, quasi uno su cinque.
Se non siete un’autorità o un media specializzato, le cose si fanno più complesse. In teoria, perlomeno. Perché in pratica ci sono app in grado di smascherare i fondi falsi attivi, o più in generale, quelli che fanno pagare per vantaggi che non offrono. Una di queste app si chiama Angel Costi e analizza la struttura commissionale di 12.000 fondi, verificandone la conformità con l’attività di gestione realmente offerta. Inoltre, attraverso un algoritmo di controllo, calcola anche la congruità delle commissioni di performance applicate. Con un cruscotto di quattro colori in una matrice per indentificare graficamente la bontà degli investimenti, Angel Costi è pure molto semplice da comprendere, anche per un profano degli investimenti, per capire se i costi di un fondo sono accompagnati da una gestione che si distingue dalla media e se le commissioni di performance previste sono giustificate. Mark Zuckerberg, prendi appunti.