Lei lo ha detto testuale: “Imparerò il tedesco”. E LinkPop è qui per aiutarla. L’ex ministro Maria Elena Boschi, originaria di Arezzo ma candidata un po’ a sorpresa al collegio uninominale di Bolzano, l’impegno l’ha preso. Avrebbe voluto correre in Toscana, ha detto, ma “il Partito” (entità immateriale e forse anche aliena) ha deciso che fosse meglio farla correre in montagna, dove del resto va “spesso in vacanza”.
In ogni caso non si sentirà troppo spaesata. Un Arno, come ironizzano in molti (ma LinkPop si dissocia) c’è anche lassù: è Arno Kompatscher presidente della Provincia dell’Alto Adige e leader dell’Svp, il partito autonomista altoatesino. Non sarà un fiume ma è comunque incaricato del compito di traghettarla fino a Roma. Il partito altoatesino, però, non è compatto sulla decisione: occorrerà riunirlo, con il dialogo e il confronto. Unico problema: sono dialoghi e confronti da fare in tedesco.
Ci riuscirà? A dire il vero non importa: se non si dovesse aprire il paracadute di Bolzano, ce ne sono tanti altri a disposizione, cioè i cinque seggi in cui figura al plurinominale. Ma tanto vale che ci provi, anche se ha solo un mese per imparare a destreggiarsi con la lingua di Goethe – molto meno però “dei 30 anni” che, secondo Mark Twain, sarebbero il minimo necessario.
LinkPop ha deciso di aiutarla. Sostituirà la tradizionale lezione di lingua inglese del sabato con una di tedesco, idioma più arduo ma di indubbio fascino. La giovane Boschi (anzi, Wälder) si sentirà meno sola.
Introduzione teorica
Il problema principale, per lei e per tutti, è che il tedesco è dif-fi-ci-le. Utilizza suoni strani (ad esempio la ö e la ü, ma anche la ä), si serve di dittonghi bizzarri (ad esempio “gufo” si scrive “Eule”, femm., e si legge “Oile”). Fa uso di parole lunghissime, mette il verbo in fondo.
Non solo: in tedesco non ci sono solo due generi, ma tre: il femminile, il maschile e il neutro. In più, ci sono quattro casi. Cosa significa?
(Per chi non avesse studiato né latino né greco né, ovviamente, tedesco): Che i sostantivi, ma soprattutto articoli e aggettivi (per i sostantivi: solo maschili e neutri si declinano al genitivo, e al plurale al dativo) cambiano la terminazione a seconda della funzione logica che rivestono all’interno della frase. Se sono soggetto hanno una terminazione, se sono oggetto, ne hanno un’altra. Se sono complementi indiretti (di possesso, o di termine)? Altre ancora. Ogni parola possiede in teoria quattro forme diverse attraverso le quali può venire declinata. Lo spiega bene ancora Mark Twain:
“Un cane è ‘der Hund’; una donna è ‘die Frau’; un cavallo è ‘das Pferd’. Ora, tu declini quel cane al caso genitivo, e pensi che sia lo stesso cane di prima? Nossignore: diventa ‘des Hundes’; mettilo al dativo, e cosa diventa? Be’, è ‘dem Hund’. Ora lo incaselli nell’accusativo e cosa gli succede? Che diventa ‘den Hund’. Ma immaginiamo che si tratti di due gemelli, e allora debba essere messo al plurale. Cosa accade? Che faranno tirare e stirare quel povero cane per tutti i quattro casi fino a quando non penserà di essere una fiera canina internazionale tutta in una persona. Bene. A me non piacciono i cani, ma non tratterei mai un cane in quel modo. Nemmeno un cane preso in prestito. E lo stesso vale con i gatti. Cominciano con il nominativo che sono in buona salute e belli a vedersi, e poi vengono strizzati per tutti i quattro casi e per tutti i 16 articoli e alla fine, quando raggiungono zoppicando l’accusativo plurale, non li riconoscereste nemmeno. Ebbene sì: se la lingua tedesca acchiappa un gatto, ciao gatto”.
Insomma, buona fortuna. Anzi, viel Glück!