Perché la chiamate maggioranza giallo-verde, quando è chiaramente rosso-bruna? La novità di questa alleanza Lega-M5s ci spiazza. Ed ecco che, oltre a dare i numeri, molti commentatori danno i colori. Non è solo colpa loro, ma della difficoltà a definire dei movimenti nuovi. Difficoltà identitarie che nascono degli stessi leader che si propongono di andare oltre la destra e la sinistra classiche. Per approdare dove? Certo, la voglia di spiazzare la vecchia dicotomia destra-sinistra è più forte da parte del MoVimento, che da parte della Lega. Quest’ultima si situava saldamente nel centro-destra. Eppure, Salvini non perde occasione di rimarcare come anche il suo partito superi le tradizionali distinzioni, nonostante proprio il leader in felpa verde sia stato l’artefice di una trasformazione in senso nazionale e lepenista di un partito che nasceva micro territoriale e che addirittura D’Alema definì di sinistra, quando il giovane Salvini militava nei “comunisti padani”.
Ed ecco che, di fronte a questo tourbillon di posizioni, si coniano nuove etichette e nuovi colori. Si ragiona di nuove dicotomie, come sovranisti Vs mondialisti o establishment Vs anti establishment. Ma anche queste etichette ingenerano confusione. Categorie colle quali si spiegano sia partiti destrorsi come la Lega, sia movimenti come Podemos, Syriza, i corbinistas; e perfino il centrismo radicale anti establishment di Ciudadanos in Spagna e Macron in Francia. Eppure, sotto l’apparente confusione, sono anni che intellettuali e opinionisti ragionano su di una alleanza rosso-bruna; su di una alleanza, cioè, fra radicali di sinistra e di destra. Lo stesso M5s, che sembra un collage raffazzonato di posizioni di estrema sinistra (le battaglie No Tav, No Triv, No Muos, ecc) e di destra radicale (si veda l’anti immigrazionismo di Di Maio e l’attacco alle Ong e ai taxi del mare), potrebbe esserne proprio la sintesi, a sentir parlare intellettuali d’area come Diego Fusaro. È dagli anni ‘20 che esiste una corrente di pensiero minoritaria che mixa elementi di estrema destra e di sinistra: il primo fu George Sorel, marxista, padre dell’anarco sindacalismo, letto voracemente dal primo Mussolini socialista e rivoluzionario; la celebre espressione grillina “né destra né sinistra” si deve a Jacque Doriot, fondatore del protofascista Partito Popolare Francese, dopo aver fatto parte del Partito Comunista d’Oltralpe; negli anni ‘70, ci furono i neofascisti di Terza Posizione a sposare la necessità di una alleanza rosso-bruna; questa sintesi è oggi patrocinata con eleganza intellettuale (e senza nessun cedimento a pulsioni violente da mazzieri) dalla Nouvelle Droite di Alain De Benoist, letto con avidità proprio dalla Lega; a via Bellerio, sono molto diffuse le simpatie per Alexander Dugin, ideologo di Putin, ex eminenza grigia sia per i nazionalisti di Žirinovskij che per i comunisti di Zjuganov.
Il filosofo star tv Diego Fusaro, che si definisce marxista, è allievo di un altro marxista, Costanzo Preve, che negli anni ‘70 sposò la necessità di questa ibridazione fra estreme. Insomma, Lega e M5s al popolo parlano la lingua del nuovismo e del superamento delle destra e della sinistra, ma nascono, in realtà, nell’alveo di una elaborazione intellettuale chiara, precisa: il rossobrunismo. Difficile da comprendere in un Paese dove il discorso pubblico è stato segnato dall’opposizione fascisti e antifascisti che, non a caso, alcuni leader pentastellati ritengono categorie da superare.
Ma com’è possibile questa alleanza apparentemente innaturale? Primo, strategia: centrodestra e centrosinistra si sono spesso alleati per “tagliare” le estreme. Quante volte abbiamo criticato l’innaturalità delle Grandi coalizioni? Che, per quanto innaturali, possono servire strategicamente. Professione di pragmatismo che ora praticano anche radicali di destra e di sinistra. Secondo, politica: massimalisti di destra e di sinistra si riconoscono nella comune critica al sistema parlamentare, liberale, al capitalismo finanziarizzato: supportano un’agenda protezionista, finalizzata ad attutire i costi sociali delle crisi economiche. Nel suo capolavoro “La grande trasformazione”, l’economista Karl Polany spiega l’emergere del fascismo come reazione protezionista alla crisi del capitalismo liberale; crisi, rispetto la quale, anche l’alleanza fra partiti socialisti-marxisti e partiti agrari, in Scandinavia, rappresentava una soluzione: alleanza che condurrà alla socialdemocrazia scandinava, per inciso.
Insomma, se estrema destra ed estrema sinistra mettono da parte le differenze sulla loro concezione di popolo – biologico, razziale ed escludente, a destra; includente e composto da classi sociali, a sinistra -, l’alleanza è possibile. A patto, però, che la sinistra abbandoni il suo tradizionale internazionalismo marxista, per sposare un socialismo nazionale (o “in solo Paese”, per citare Stalin), che è quello che molti teorici della sinistra radicale non marxista stanno da anni proponendo. Teorici come Ernst Laclau, ispiratore di Podemos. Ma quello che in Spagna non può fare Podemos – allearsi con la destra -, lo può fare proprio il M5s in Italia, alleandosi con la Lega. Perché Podemos si identifica come un movimento di sinistra, mentre il M5s ha trasformato il suo posizionamento strategico “né destra né sinistra” in una posizione politica. La politicizzazione del pragmatismo. L’Italia è, dunque, come altre volte nella sua storia, un laboratorio politico globale. Non sempre queste sperimentazioni hanno portato bene al Paese. Ora ci tocca aspettare, per giudicare.