Massimo Fini: «Quello di Mattarella è un colpo di stato: lui rischia l’impeachment, l’Italia la guerra civile»

Il giornalista milanese, che ha appena pubblicato la seconda parte della sua opera omnia, commenta la situazione politica italiana e critica duramente la decisione del Presidente della Repubblica: «È un fatto inaudito, un colpo di stato»

«È una cosa inaudita, è un colpo di stato presidenziale». Le parole sono importanti, e Massimo Fini, che di parole vive da tutta la vita non ha nessun timore ad usarne di pesanti per commentare quello che è successo durante la serata di ieri. «Non è certo prerogativa di un Presidente della Repubblica dettare la linea politica di un govreno, qualunque esso sia», continua, «Se la maggiornanza democraticamente eletta non ha più la libertà di scegliere i propri ministri e la propria linea, ripeto, qualsiasi essa sia, allora evidentemente siamo di fronte a un cambio di sistema politico, da democrazia parlamentare a repubblica presidenziale. Ma se così fosse sarebbe a tutti gli effetti un colpo di stato.

Cosa potrebbe accadere a questo punto?
A livello istituzionale secondo me ci sono tutte le condizioni per una procedura di impeachment nei confronti di Mattarella, per alto tradimento. Ma la cosa più preoccupante è come potrebbe reagire la piazza. Ci sono dittatori che in Sud America hanno fatto molto di meno per scatenare degli scontri di piazza. È un fatto gravissimo e sono molto preoccupato.

Non è la prima volta che un Presidente pone un veto di questo tipo, però…
Certo, ci fu il precedente di Scalfaro, che non volle Previti nella squadra di governo, ma almeno lì una questione di merito c’era: Previti era l’avvocato di Berlusconi, che in quel momento era presidente del consiglio. A parte il fatto che Previti si rivelerà un delinquente, come molti altri della banda Berlusconi a partire dal suo capo, ma non è questo il problema ora, in quel momento la ragione per il veto c’era eccome, oggi no.

Cosa contesta Mattarella a Savona?
Sostanzialmente quello che Mattarella contesta a Savona è di essere un antieuropeista. Premetto che io sono a favore dell’Europa, anche soltanto perché nessun paese europeo potrebbe mai reggere il contrasto economico e politico con i grandi agglomerati politici del resto del mondo, dagli Stati Uniti alla Cina all’India e alla Russia, per dire. Ma qui il problema è diverso, è che se anche la maggioranza degli italiani dovesse esprimersi per una uscita dall’Eurozona, sarebbe semplicemente un atto democratico e, anche se come sai non credo in questo sistema, so di starci dentro. E fintanto che ci stiamo dentro, e che soprattutto ci stanno dentro loro e ce lo ricordano ogni volta, non vedo come si possa negare la legittimità di una scelta. Detto questo, credo che dopo tutto questo governo, se glielo faranno fare, potrà lavorare bene.

Negli anni scorsi hai guardato con interesse al Movimento 5 Stelle, come vedi oggi l’evoluzione di quelle idee che sta arrivando al potere?
Sì, certo, ho simpatizzato con il Movimento 5 Stelle, ma sempre con il distacco critico che un giornalista deve sempre avere verso l’oggetto del suo interesse. Ho partecipato al primo V-Day, a Bologna, e poi ho seguito con interesse questo movimento come a suo tempo seguii con interesse la prima Lega Nord. Entrambi sono movimenti anti sistema, e siccome questo sistema io lo critico e mi ci trovo male da almeno trent’anni, seguo con interesse tutto ciò che gli si pone in qualche modo contro.

Perché?
Perché nell’ideologia dei 5 Stelle, seppur un po’ confusa, confluiscono istanze sia di sinistra, che di centro che di destra. È una specie di Democrazia Cristiana del secondo millennio e per questo infatti si poteva alleare sia con i dem che con Salvini. Salvini naturalmente applicherà le parti che chiamiamo “di destra” di questo contratto, a cui peraltro non sono contrari i 5 Stelle — sull’immigrazione, sulla sicurezza e sulla giustizia —, mentre Di Maio e i suoi cercheranno di attuare le parti più, se vogliamo, “di sinistra” del programma, ovvero quelle parti relative al lavoro e alla giustizia sociale, uno dei problemi più evidenti dell’Italia, ma anche dell’intero mondo occidentale, che è veramente inammissibile.

Che cosa è inammissibile?
È inammissibile che ci siano immense ricchezze sempre più concentrate e al contempo gigantesche sacche di povertà sempre più grandi e sempre più povere. Del resto questo fenomeno s’era annunciato tanti anni fa. Io già negli anni Ottanta scrivevo che era chiara la tendenza alla sparizione della classe media, e che era altrettanto chiaro che i ricchi sarebbero diventati sempre più ricchi e forse un filo più numerosi, mentre i poveri sarebbero diventati molto più poveri e molto più numerosi. Credo che i 5 Stelle cureranno questo aspetto, anche perché il reddito di cittadinanza, per come lo hanno concepito, è una misura che va in questo senso. E poi c’è anche un altro elemento, uno nuovo e ai miei occhi il più interessante, che realmente non è né di destra né di sinistra tradizionali: il privilegiare il tempo che Grillo chiama tempo liberato a discapito del tempo del lavoro.

Qual è la novità?
Sai, il lavoro diventa un mito con la rivoluzione industriale, sia per Marx, che lo vede come l’essenza del valore, sia per i liberal-liberisti, che lo considerano quel fattore che coniugandosi con il capitale dà il famoso plus valore. Con queste cose però, siamo finiti ad essere tutti sostanzialmente degli schiavi salariati, come scrive splendidamente Nietsche, che aveva capito molto più di tutti gli altri.

Secondo te due movimenti come Lega e 5 Stelle, che hanno moltissimi punti di divergenza, possono essere compatibili per un governo politico?
Io sono convinto che i due movimenti siano molto meno lontani e molto più compatibili integrabili di quanto non si vada dicendo e scrivendo in questi giorni e quello che a me più convince è quello che più gli viene contestato, ovvero di essere dei movimenti anti sistema.

Fatalmente sono due forse anti sistema che arrivano al sistema, riusciranno a mantenersi forze anti sistema anche da dentro?
Questo è il problema delle élite. È chiaro che le élite esisteranno sempre, il problema è per chi lavorano le élite: se lavorano per se stesse e per i loro amici o se lavorano per la cittadinanza. Facciamo un esempio storico: il pio e mitizzato Ottaviano Augusto governò in nome del popolo a favore dell’aristocrazia parassitaria senatoriale feignante del suo tempo. Il maledetto e dannato Nerone, che pur faceva parte dei ceti più alti, governò a favore della plebe e di quelli che chiameremmo i ceti emergenti, cioè ii ceti produttivi e contro l’aristocrazia parassitaria e improduttiva. Per questo Nerone farà una brutta fine e sarà costretto al suicidio. Tornando a noi, sono vari i destini che possono accadere a un gruppo rivoluzionario che si appresta a diventare élite. Potrebbero per esempio impedirgli di farlo, come è poi la storia di Nerone, e fintanto che questo governo non giurerà non possiamo saperlo. Perché per ora siamo in questa situazione di stallo da 80 giorni.

Come mai questo stallo?
Per la semplice ragione che tutti coloro che sono ben incistati in questo sistema, e parlo dei partiti tradizionali, dei poteri economici finanziari, degli intellettuali e dei giornalisti sono contro.

E se ce la dovessero fare cosa potrebbe succedere?
Be’, se dovessero arrivare al potere, il rischio di diventare a loro volta prevaricatori è molto forte. È la storia di molte rivoluzioni, di quella russa, per esempio. Poi c’è una terza possibilità, ed è quella in cui i vecchi poteri, esperti come sono di trasformismo e gattopardismo, accettino la cosa e facciano finta che tutto cambi perché nulla in realtà cambi. L’unica speranza positiva però è una quarta possibilità, quella in cui queste forze mantengano la parola data e riescano a cambiare il sistema restando nella legalità e nella trasparenza, senza prepotenza e senza prevaricazioni.

A proposito di Lega però il fatto che ora si possa presentare come forza antisistema, seppur negli ultimi anni sia stata una delle forze che è stata al potere e ci si è incistata è un miracolo di Salvini. Come è successo?
Credo che in fondo sia una dinamica da ricondurre al fatto che questa Lega, ormai molto distante dalla prima, quella del primo Bossi, un po’ di quell’aria antisistema l’ha respirata. E poi c’è anche da dire che Salvini, che è un uomo ambizioso, ha capito che questo era il momento giusto per sottrarsi alle tutele berlusconiane per poter giocare la partita da solo.

Perché invece secondo te il PD, che sulla carta sembrava avere più cose in comune coi 5 Stelle, a cominciare da una parte dell’elettorato, non ha voluto saperne di stringere un’alleanza di governo con loro?
Sì, come dicevo prima la natura dei 5 Stelle li rende adatti a tutte le alleanze, e quella coi Dem era una delle possibilità, forse la prima per i motivi che dicevi. Se non l’hanno fatta credo sia perché il PD è ancora prigioniero di Renzi, il quale non accetta di aver perso — sopo quella fiammata delle Europee al 40% ha perso tutte le elezioni, dalle amministrative al referendum — e non vuol uscire di scena. Naturalmente ha i suoi uomini un po’ dappertutto ed è riuscito a imporre come linea al partito il non fare una parte minoritaria in un governo con una forza che ha preso quasi il doppio dei voti del PD, che ricordiamolo resta il secondo partito con il 18%, seguito dalla Lega con il 17. Quindi non ci sono motivazioni logiche, credo, in quel rifiuto, ma solo una motivazione strategica di Renzi.

La classe dirigente di sinistra si è sempre formata attraverso i conflitti, dalla seconda guerra mondiale, al 68 e al 77 poi. Ma come mai invece dal movimento No Global e dalle sue battaglie, anche violente, non è emersa una nuova classe dirigente di sinistra?
Prima di tutto distinguerei i vari periodi. La classe dirigente del PCI, i vari Amendola, i pur bifido Togliatti, Pajetta, questa era gente forgiata dalla seconda guerra mondiale, e tutta la classe dirigente che è passata da quel crocevia drammatico della storia del Novecento è stata effettivamente selezionata da quegli avvenimenti. Sono invece meno convinto che sia successa la stessa cosa nel 68, né tantomeno il 77.

Perché?
Perché, per quanto riguarda il 68, per usare le parole che usò Einaudi per la massoneria, “fu una cosa comica e camorristica”. Erano tutti figli della borghesia che avrebbero dovuto abbattere la borghesia stessa, una cosa che avrà fatto ribaltare nella tomba il vecchio Marx. Il 77 è invece un movimento effettivamente più di protesta e di sinistra più vera, però lì siamo già nel post Sessantotto, che avendo azzerato l’Università, ha creato della gente che aveva sì desiderio di emanciparsi e liberarsi, ma non aveva gli strumenti. Come disse bene questa volta Dario Fo, “l’operaio sa 100 parole, il padrone ne sa 1000 e per questo è il padrone”. E questo è successo, la massa di quei ragazzi che fecero il Settantasette erano praticamente analfabeti ed è per questo motivo che non è venuto fuori niente.

E i No Global?
Ecco, in questo caso è un po’ più enigmatico quello che è successo. Il movimento No Global nasce sulla spinta della globalizzazione, che ha estremizzato tutti i vizi del capitalismo, però in poco tempo si trasforma in qualcosa di più simile a un New Global. Penso per esempio ad Agnoletto, persona che io stimo e con cui una volta a una presentazione ho discusso propri di questo. Sostanzialmente gli contestavo il fatto che non fossero più, come dicevo prima, contro la globalizzazione, ma pensavano di poter arrivare a una globalizzazione più umana. Quindi, se sommi le solite strategie del potere — penso ai black block — a questo loro incartarsi su come interpretare la globalizzazione ti spieghi meglio il perché si sono autosqualificati.

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