I limiti del calo della disoccupazione cui stiamo assistendo sono noti. Se da un lato tra i giovani finalmente aumentano i lavoratori, si fa sempre più pressante la sofferenza dei 35-49enni (troppo vecchi per godere di qualsivoglia incentivo e troppo giovani per rientrare tra gli iper-garantiti). Tra questi i senza lavoro crescono.
Vi è tuttavia un altro problema, non nuovo, ma sorprendente nella sua persistenza: la disoccupazione di lunga durata. Per Eurostat siamo il terzo Paese in Europa con il maggior tasso di disoccupati di lungo periodo (ossia senza un impiego da almeno 12 mesi) e di lunghissimo periodo (cioè quando l’attesa supera i 24 mesi). Dopo di noi, le solite Grecia e Spagna.
Inoltre, più la disoccupazione è lunga, più l’Italia supera la media UE. Di circa il 47% in quella totale (11,2% contro 7,2%), mentre in quella a 12 mesi è maggiore dell’85% (6,5% contro 3,5%) e in quella sopra i 24 mesi è esattamente il doppio (4,4% contro il 2,2%). La stessa Spagna, che ci sopravanza di molto nella disoccupazione totale, è appena sopra di noi in quella di lunga durata.
Considerando quanti cercano un lavoro da più tempo sul totale dei disoccupati, quelli sopra l’anno di attesa sono il 58,8%. Ovvero ben più di metà di chi non trova un’occupazione è in questa situazione da più di 12 mesi. Il 39,5% da 24. In questa classifica siamo in compagnia solo di Paesi come Grecia, Slovacchia, Portogallo, Bulgaria, con i grandi dell’Europa Occidentale in posizioni migliori.
Gli anni precedenti la crisi sembrano appartenere a un’altra epoca. E la sensazione aumenta se osserviamo alcune statistiche. Secondo Eurostat la crescita del tasso di disoccupazione totale è stata dal 2008 del 67,2% per l’Italia, dell’ 8,6% per l’Unione Europea, a fronte di un calo per la Germania del 48,6%. Considerando quello a lunghissimo periodo l’aumento nel nostro Paese è stato addirittura del 144,4% (più che un raddoppio) essendo passati dal 3% al 6,5%. Nell’ Ue del 37,5%, in Germania come al solito un calo (66,7%).
Insomma, dove le cose vanno bene il tasso di senza lavoro cronici cala più della media, mentre succede l’opposto in quelle realtà, come la nostra, in cui la ripresa vera tarda ad arrivare. C’è del resto un chiaro legame, una correlazione tra tasso di disoccupazione e proporzione di disoccupati di lungo periodo (oltre i 12 mesi in questo caso). Con qualche eccezione. Principalmente nei Paesi scandinavi. Danimarca, Svezia, Finlandia, hanno una disoccupazione totale non molto distante dalla media UE, ma una proporzione di non occupati da più di un anno decisamente ridotta.
In questi Paesi vi è un turnover più veloce, pochi rimangono a spasso a lungo, anche perdendo il lavoro. Non sono sempre i soliti a trovarne uno nuovo, lasciando più di metà dei disoccupati ad attendere anni. Di fatto vi è anche più uguaglianza. Non si può non pensare che dipenda molto anche dalla formazione fatta agli adulti. Questi Paesi sono in cima alla classifica per proporzione di persone in training, per qualsiasi fascia di età. L’Italia rimane molto indietro, sia rispetto a questi Stati, sia rispetto alla media UE, e a maggior ragione quando si superano i 35 anni.
Sorprendentemente, la Spagna si avvicina ai più virtuosi, che come percentuale di persone in formazione supera anche la Germania. Che non a caso ha una proporzione di disoccupati di lungo periodo sul totale bassa se paragonata a quella di disoccupati tout court. A paragone con l’Italia, mentre ci supera sì nelle statistiche sul tasso di disoccupazione (pur con dei cali ben superiori ai nostri negli ultimi anni), ma che tuttavia ha sempre avuto una quota di persone in attesa di lavoro da più di 24 mesi inferiore alla nostra, con un gap che nel 2017 è cresciuto, del 31% contro il 39,5%.
E non può essere appunto un caso che proprio laddove i disoccupati, anche se sono di più, riescono più facilmente a trovare un impiego senza attendere anni, il PIL cresca maggiormente. E si finisca per superare, quanto a reddito pro-capite, quei Paesi stanchi come l’Italia in cui è sempre una ristretta fascia a ritrovare un lavoro, e sempre gli stessi a rimanere a spasso per anni, in un immobilismo che d’altronde, al di là del nuovismo proclamato un po’ tutti i politici, è la cifra degli ultimi nostri anni.