Viviamo tempi strani, ma proprio strani forti, che se non ci fosse in ballo la sopravvivenza del pensiero scientifico occidentale ci sarebbe quasi da metterla sul ridere. E invece, dopo aver letto lo sconclusionato commento condiviso su Facebook dal consigliere regionale del Lazio Davide Barillari, quota Movimento 5 Stelle, passa totalmente la voglia di scherzarci sopra perché il problema è gigantesco. Con tutta probabilità è il più serio e preoccupante problema gnoseologico — ovvero che riguarda il rapporto dell’uomo con la conoscenza — da quando bastavano tre cardinali per bruciare un filosofo in piazza.
«La politica viene prima della scienza», scrive Barillari, e ancora «La scienza deve essere democratica, e quindi deve ascoltare tutti… compresi i ricercatori e scienziati, che con dati alla mano, contestano il dogma ufficiale». Lasciando perdere l’uso delle virgole — probabilmente il consigliere ha idee tutte sue anche sulla sintassi, ma qui non ci interessano — questa frase zoppicante ha al suo interno una tale quantità di baggianate da far grattare il capo a chiunque abbia anche una minima conoscenza di cosa sia la scienza e di cosa il metodo che la guida, quel metodo scientifico, o sperimentale se vi piace di più, che nel corso degli ultimi secoli è stato alla base della costruzione della nostra conoscenza e che, forse se ne stupirà il buon Barillari, ha già vissuto momenti complicati di contestazione, superandoli, guarda un po’, proprio grazie a se stesso.
Il metodo scientifico è di una forza travolgente e di una resistenza granitica. È praticamente inscalfibile e indistruttibile, e sapete perché? Perché conosce perfettamente i propri limiti. Anzi, di più, li santifica i suoi limiti e ha escogitato di tutto per riuscire a riconoscerli e superarli, tra cui anche il cuore pulsante del proprio metodo, già ribaltato nel primo Novecento da filosofi e epistemologi — da gente come Russell o Popper — che paradossalmente dicevano cose non troppo lontane da quelle di Barillari, come quella metafora pittoresca usata con cui Russell mise in crisi un paio di secoli buoni di induttivismo grazie a tacchino troppo sicuro di sé e del suo metodo e il giorno del ringraziamento.
È solo per questo che la scienza non è diventata un’altra chiesa e un’altra Inquisizione: perché ha santificato la propria falsificazione facendone la propria benzina. Se fino al primo Novecento infatti il metodo della scienza era sostanzialmente quello induttivo, quello, cioè, che a partire dall’osservazione della realtà e grazie alla replica di singoli esperimenti, arrivava alla teoria — dal particolare al generale —, da ormai più di un secolo la scienza si è arricchita, grazie alle critiche di filosofi come i già citati Bertnard Russell e Karl Popper, capendo che la validità di quel metodo era limitata e rischiava, quello sì, di prendere dell grosse cantonate, credendo un po’ troppo in sé stessi e nella infallibilità della scienza, come poi successe a molti filosofi e scienziati positivisti.
E invece, e qualcuno lo dica a Barillari e tutti coloro che pretendono di insegnare alla scienza a fare la scienza senza sapere nulla di scienza: la scienza ha capito di essere fallibile e di non avere il superpotere di conoscere la verità, ma soltanto di avvicinarcisi, piano piano, con tra l’altro la quasi certezza — salvifica pure questa — di non poterci arrivare nemmeno alla vera verità, grazie ad altra gente come per esempio un Kurt Godel qualsiasi.
Perché la scienza è più importante della politica? Semplice, perché la scienza a differenza della politica e della religione non imporrà mai nessuna fede, nessun credo, nessun dogma, se non quello di sforzarsi di essere sempre all’altezza di se stessa, e di cercare ogni giorno di smentire le proprie certezze.
E allora, cosa rispondere alla pretesa di Barillari di imporre la democrazia al contesto scientifico? Insomma, perché mai la scienza non dovrebbe essere democratica? La risposta non è particolarmente complessa e riguarda il concetto di autorevolezza e di comunità, due cose che rischiamo di aver dimenticato nel Novecento e che invece ci servono come il pane. Nella scienza uno non vale uno. Nella scienza si deve convincere una intera comunità e i pesi delle opinioni dipendono dalle prove a disposizione e da quante volte hai già convinto quella stessa comunità, non certo da quanta gente riesci a portare dalla tua parte, anche perché altrimenti saremmo ancora al medioevo. Quello vero.
Facciamo un piccolo salto indietro e andiamo all’8 novembre del 2016. Fu il giorno in cui l’Oxford Dictionary scelse, dopo molte discussioni interne, che Post Truth, ovvero Post Verità, sarebbe stata la parola di quell’anno pazzo che aveva vissuto lo shock della Brexit e che stava per incoronare Trump come Presidente degli Stati Uniti d’America. Ecco, quel giorno fu un giorno sbagliato.
E fu sbagliato perché, pur dimostrando di avere a cuore il destino sempre più traballante del dibattito intellettuale nella nostra società, l’Oxford Dictionary toppò in maniera fragorosa l’espressione. Se l’inglese distinguesse le parole autorità e autorevolezza forse avrebbero scelto Post Authority e ci avrebbero regalato due anni di riflessioni a 360 gradi non sulla verità, la cui esistenza assoluta è accettata soltanto dalla religione e dalla politica, ma sull’autorevolezza, una metrica molto più delicata, che non si estorce ma si guadagna, che non si può ribaltare nemmeno con la più cruenta delle rivoluzioni e nemmeno con il più idiota dei post du Facebook.
E con questo siamo anche arrivati a rispondere anche alla prima e più importante domanda esposta dall’onorevole Barillari nel suo post. Perché la scienza è più importante della politica? Semplice, perché la scienza a differenza della politica e della religione non imporrà mai nessuna fede, nessun credo, nessun dogma, se non quello di sforzarsi di essere sempre all’altezza di se stessa, e di cercare ogni giorno di smentire le proprie certezze.
Perché la vera democrazia è quella della scienza, non quella della politica. Perché la scienza, a differenza della politica e di quello che pensa Barillari, di certezze non ne ha, tranne quella di sapere di non avere certezze. È la vera democrazia perché usa le parole per imporre le sue verità relative, mentre la politica, con la forza e la violenza, cerca di imporre le sue veritò assolute. Ed è anche per questo, caro Barillari, se ci fosse l’evidenza effettiva che vaccinarsi sia pericoloso per gli individui, come pensa qualcuno, e non salvifico per la nostra società, be’, quell’evidenza in quel caso sarebbe la posizione ufficiale della scienza e non quella urlata dai banchi del parlamento o da una pagina di Facebook, di gente che la scienza, la comunità scientifica e l’autorevolezza dimostrano di non sapere bene che cosa siano.