Pangea è un quotidiano culturale on line. Pangea ha l’ambizione di portare nella cultura italiana (notoriamente provinciale ma storicamente avventuriera) i grandi temi e i grandi autori della cultura internazionale. Con l’ansia dei corsari e degli astronomi, Pangea mostra le meraviglie del nostro Paese e il meglio del resto del mondo. La rivista, che propone contributi giornalieri, è qui: pangea.news
Certo, c’è qualcosa di sanguigno, cioè di ereditato, di filiale. Alfredo Accatino, che di mestiere fa supereventi in ogni lato del globo (esempi sparsi e assai parziali: è stato direttore artistico degli show per Expo Milano, ha curato la Cerimonia di apertura dei Giochi olimpici invernali di Torino e quella di chiusura a Salt Lake City), è figlio di Enrico, artista importante, svezzato da Carlo Carrà e da Felice Casorati. Per questo, a maggior ragione, al di là di una sapienza corroborante, mediata da una scrittura narrativa consapevole, brillante, questo libro, Outsiders (Giunti, pp.208, euro 29,00), è un magnetico azzardo. Accatino s’è messo in testa di riscrivere la storia dell’arte attraverso le “storie di artisti geniali che non troverete nei manuali di storia dell’arte”, costruendo, così, una specie di contro-storia dell’arte e degli artisti tanto riuscita che dovrebbe sostituire i manuali accademici, polverosi, una polveriera di ovvietà. L’arte l’hanno fatta – e la fanno – i disadatti, i fuori via, i perdenti, i perduti, i geniali anticonformisti, incompresi, vilipesi, a volte. Outisder, appunto. “Outsider perché diversi, spesso in anticipo sui tempi, bollati come pazzi, alieni, stravaganti, conosciuti solo da storici dell’arte non asserviti al mainstream e collezionisti dall’occhio acuto, e mai dal grande pubblico, a cui vengono costantemente negati. Outsider perché hanno rinunciato a lottare, o hanno trascurato le leggi non scritte del mercato per proseguire, in solitudine, la propria ricerca, sino a svanire. Outsider, infine, perché non sono riusciti a sopravvivere al conformismo, alle guerre che hanno sconvolto il Novecento, alle persecuzioni razziali, culturali o politiche, ai pogrom, alle uccisioni selettive e infine ai disastri delle droghe e agli eccessi della beat generation”. Che straordinario elogio del lato sinistro dell’arte, non ufficiale, rivoluzionario, di volitiva bellezza. Nel libro, per intenderci, le storie sono livide e splendide: scopriamo “La Frida Kahlo dell’India” (Amrita Sher-Gil) e poi la baronessa che s’inventò l’orinatoio di Duchamp (Elsa von Freytag-Loringhoven), e poi lo sciamano Pavel Filonov e la fotografa Vivian Maier, che col senno di poi, ora, è famosissima, gli tessono intorno documentari e film, e poi Gino Rossi e Anita Berber e Henry Patrick Raleigh, “il morto di fame che dipingeva i ricchi”. Un ‘bestiario’ di artisti eccentrici, per lo più eccelsi, che la sorte e il tempo hanno relegato ai margini della grande arte. E che ora risorgono, con ghigno titanico. (Davide Brullo)
Leggendo il suo libro verrebbe da fare un elogio smodato degli outsider: “straordinari perdenti… non scelgono mai i luoghi e le date giuste per nascere, creare, amare, morire. Vivono in mondi paralleli”. Come le è venuta l’idea di questo controcanone coi controcosi dell’arte
Ci sono molte motivazioni. La prima è che si fanno sempre i conti con la propria storia e con il proprio passato. Ed essere figlio di un artista, e avendo conosciuto tanti altri artisti, mi ha fatto comprendere come la vita sia strettamente connessa all’opera, e che non bisogna avere timori reverenziali o credere che la storia dell’arte sia stata già scritta e che sia intoccabile.
C’è poi un dato incontrovertibile: è stato il mercato e sono state le culture dominanti a definire chi fossero i maestri e chi le figure di contorno, perché se nasci in Lituania o in Armenia c’è poco da fare.
E se nasci donna devi fare il triplo per essere presa sul serio. Ultimo fattore, il Novecento, un secolo terribile, nelle cui spirali sono stati coinvolti grandi artisti, che la storia ha poi disperso, perché detenuti, perseguitati, morti in guerra. Solo degli “artisti degenerati” dovremmo imparare a memoria i cognomi, in segno di omaggio.