Long ReadTutto quello che sapete sugli alieni è sbagliato (e perché, se arrivano, conviene scappare)

Sì, con ogni probabilità c’è vita altrove. Ma difficilmente è intelligente e antropomorfa. Ed è molto probabile che se arrivasse qui da noi sarebbe poco benevola. Un fisico e un genetista distruggono tutti i luoghi comuni su Alien, Et e tutti i tentativi dell’uomo di immaginare l’extraterrestre

Si spingono fino ai giganteschi filamenti delle galassie che formano la rete del cosmo e oltre, agli insondabili buchi neri. Penetrano il mistero di un cervello troppo grande e complesso per sostenere soltanto la sua sopravvivenza ed enunciano una grande verità: fra tutto ciò che conosciamo, solo la nostra mente – indecifrabile congegno biologico con neuroni più numerosi delle stelle che popolano la Via Lattea – ci consente di donare una storia all’Universo in cui pensiamo e agiamo da milioni di anni; di donargli, in fondo, l’esistenza. Il cosmo della mente spazia dalle distanze siderali all’infinitamente piccolo; ascolta il moto di espansione dell’Universo, il suo respiro; osserva quelle grandezze di cui solo oggi, grazie agli ultimi progressi tecnologici, iniziamo davvero ad avere contezza. È un viaggio attraverso cui il lettore avrà modo di avvicinarsi alla radiazione cosmica di fondo; al luogo in cui, sul confine tra noto e ignoto, svanisce ogni certezza e ci affacciamo alla vertigine dell’oscurità; là dove, insieme alle stelle, brillano il mistero e la bellezza del cosmo, lasciandoci senza fiato.

Di seguto, un estratto del settimo capitolo del libro, intitolato “La vita altrove”

Abbiamo visto che lo studio della vita è abbastanza diverso da quello del mondo dal punto di vista fisico e chimico. Almeno superficialmente quest’ultimo non ha una storia, o l’ha troppo lunga, anche se noi oggi e in particolare in questo libro raccontiamo una storia. Quel che è certo è che la vita ha per forza una storia, non possono esistere forme viventi che non cambino. Quest’iniziale suggerimento di Darwin a proposito della biologia è stato poi inaspettatamente accolto dalla fisica e dalla cosmologia – com’è noto con tempi molto diversi – soprattutto sapendo che durante un tempo di un miliardo di anni nell’Universo fisico succede ben poco, mentre in quello biologico può avvenire tantissimo.

La biologia è quindi una scienza storica che dipende dalle scelte precedenti e mostra che la vita si trova continuamente a un bivio: andare a destra o a sinistra, pur non essendo per nulla necessario che si vada a destra e non invece tranquillamente a sinistra. Ecco perché sarebbe importante poter trovare e studiare forme di vita extraterrestre: per controllare se certe affermazioni biologiche che noi facciamo sono necessarie e universali, o semplicemente effetto della specifica storia biologica terrestre. Siamo quasi sicuri che è vera la seconda opzione, ma nella scienza non si può mai essere certi finché non c’è una verifica o una confutazione sperimentale.

Per millenni abbiamo creduto di essere non solo il centro dell’Universo ma anche i soli a popolarlo, creati sul pianeta Terra secondo un disegno intelligente divino assieme ad altre svariate forme di vita, diligentemente e pedantemente suddivise in mondo vegetale e mondo animale. Già con Giordano Bruno si arrivò a proporre degli schemi più complessi, che implicavano l’esistenza di altri pianeti, dove esseri come noi avrebbero vissuto glorificando anch’essi l’unico Dio. L’ipotesi, si sa, andò… in fumo, forse perché una molteplicità di civiltà avrebbe implicato un’analoga pluralità di chiese e clero, ipotesi certamente inaccettabile per la chiesa romana dell’epoca. In ogni caso, l’idea di vita extraterrestre si è fatta sempre più strada negli ultimi secoli, soprattutto grazie alla fine dell’antropocentrismo causata dal progresso di astronomia e cosmologia e alla conseguente consapevolezza della complessità e dell’immensità dell’Universo. Ha detto Arthur Clarke, autore del libro 2001: Odissea nello spazio: «Esistono due possibilità, o siamo soli nell’Universo o non lo siamo. Entrambe sono ugualmente terrificanti».

Come abbiamo già detto, un’ipotesi ragionevole prevede che ogni stella del cosmo sia accompagnata da almeno un pianeta. Fatte le debite considerazioni di prudenza, circa 1000 miliardi di miliardi di pianeti nell’Universo osservabile godono di condizioni favorevoli a sviluppare una qualche forma di vita. Tuttavia, la nostra per ora unica esperienza ci dice che affinché la chimica e la fisica vigenti sul pianeta si mettano in azione e si arrivi a creare una forma di vita cosciente è necessario qualche miliardo di anni; dapprima per generare molecole in grado di duplicarsi e conseguentemente di produrre aminoacidi, proteine e quant’altro necessario a formare strutture pluricellulari via via più complesse. La selezione darwiniana si occuperebbe poi di scegliere le forme di vita adatte all’ambiente chimico-fisico del pianeta.

Il primo messaggio quindi è che la vita è verosimilmente una caratteristica molto comune (probabile) dell’Universo. A questo punto è interessante elaborare quale tipo di vita ci potremmo attendere sugli altri infiniti pianeti, diciamo per semplicità della Via Lattea. La diversità biologica è di per sé già notevolissima sulla Terra. Basti pensare alle differenze morfologiche e biologiche tra un batterio e un elefante, tra una cavalletta e un orango. Che dire poi delle specie le quali, persa la battaglia evolutiva, si sono estinte: trilobite, plesiosauro o tirannosauro. Magari a breve la tigre e il rinoceronte si aggiungeranno al contingente degli scomparsi, questa volta per colpa di un’altra specie vivente, l’Homo sapiens.

Data la composizione chimica e la densità della nostra atmosfera, le sue condizioni di temperatura, la disponibilità di acqua liquida, l’inclinazione dell’asse terrestre e la distanza dalla sorgente di energia primaria – il Sole – la vita terrestre si è sviluppata attorno al carbonio. Questo elemento si lega facilmente a ossigeno, idrogeno e azoto per formare i composti alla base dei mattoni della vita biologica. Le varie reazioni chimiche degli esseri viventi permettono di trasferire energia ai sistemi biologici e di utilizzare questa per lo scopo primario dettato dall’evoluzione e dalla selezione naturale: la trasmissione del patrimonio genetico alle generazioni successive. Incidentalmente, per l’uomo lo sviluppo darwiniano ha portato a una specie dotata di coscienza e intelligenza e di una capacità innegabile di adattarsi a un ampio spettro di condizioni climatiche, anche estreme, favorendo la sua attitudine a occupare e colonizzare il pianeta e perfino a renderlo funzionale ai propri bisogni.

Come ci avvertiva il compianto Stephen Hawking, se mai una civiltà extraterrestre ci venisse a trovare l’opzione migliore sarebbe quella di scappare. Che cosa hanno fatto i conquistadores spagnoli alle popolazioni Incas o Azteche? E gli americani ai pellerossa? O banalmente cosa rischia una società di formiche in un formicaio esplorato da un bambino curioso di 3 anni di età, o una colonia di topi da laboratorio utilizzata da un biologo?

Certamente in contrasto con una visione semplicistica delle cose, la vita terrestre basata sul carbonio non è l’unica che si sarebbe potuta sviluppare, almeno sulla carta. Benché tale chimica sia innegabilmente quella ottimale sul pianeta Terra, si possono ipotizzare «vite biologiche» costruite attorno al silicio, molto comune nella sabbia e specificamente usato per la realizzazione di circuiti elettronici. Un handicap del silicio è però costituito dalla sua incapacità fisico-chimica di realizzare molecole sufficientemente complesse, stabili e composte da molti atomi. Tra l’altro, questa limitazione impedirebbe la costruzione delle grandi molecole alla base della trasmissione della vita, come per esempio il dna. Il numero d’informazioni «memorizzabili» – un po’ come accade per la memoria di un computer – sarebbe molto minore nel caso di catene molecolari-biologiche basate sul silicio. Può apparire un dettaglio, e non lo è, ma tali molecole sarebbero troppo facilmente solubili in acqua… In habitat molto diversi da quello terrestre, azoto o fosforo potrebbero giocare il ruolo del carbonio. In un mondo siffatto, per esempio con un’atmosfera ricca di ammoniaca, le specie animali viventi dovrebbero respirare idrogeno, copiosamente prodotto dalle loro piante aliene.

Assumiamo pertanto che nei miliardi di pianeti delle zone stellari abitabili della galassia alla fine s’incontrino le condizioni per lo sviluppo di una vita basata sul carbonio, come da noi. A questo punto subentra un altro problema. Se il nostro intento non è solo quello di trovare una qualsiasi forma di vita biologica su un exopianeta, magari costituita da virus, batteri o al limite da semplici specie vegetali, ma invece quello di cercare addirittura prove di vita intelligente come E.T. o simili amici dalla pelle verde, il discorso si fa più complesso.

La nostra Terra esiste da circa 4.5 miliardi di anni. La prima vita elementare si è creata quasi 500 milioni di anni dopo, per arrivare al genere Homo soltanto qualche milione di anni fa. Una vera e propria cultura si è infine sviluppata solo da poche migliaia di anni. Ora si può essere ottimisti o pessimisti sul futuro della specie umana sulla Terra. Qualcuno potrà ritenere che mancanza di risorse, riscaldamento globale, guerre nucleari e nuove malattie potranno condurre alla nostra estinzione come specie intelligente (sic) o almeno riportare gli eventuali superstiti nelle caverne. Gli ottimisti pensano invece che il progresso continuerà al ritmo esponenziale degli ultimi due-trecento anni, a farci stabilizzare come padroni del pianeta e aprire la via alla colonizzazione di altri mondi. Ancora una volta non sappiamo come andrà a finire. Il messaggio è che ragionevolmente le altre potenziali civiltà aliene avranno dovuto percorrere un cammino analogo. La probabilità di incontrare E.T. è quindi ridotta di un ulteriore fattore pari al rapporto tra un qualche migliaio di anni di civiltà e 4-5 miliardi di anni necessari per arrivare al nostro livello di civilizzazione. Questo fatto implica che scoprire una forma di vita in un pianeta extraterrestre si tradurrebbe probabilmente solo nel trovare piante o animali molto elementari.

Infine, non dimentichiamo la vastità dell’Universo e la diluizione delle sue componenti quali stelle e galassie. Anche le comunicazioni via onde elettromagnetiche di qualsiasi tipo richiederebbero tempi di centinaia o migliaia di anni per il più semplice scambio di saluti. Tenuto conto della non avvenuta ricezione di alcun segnale intelligente alieno finora, possiamo dire che le considerazioni sopra esposte siano del tutto ragionevoli. In tutto questo, ovviamente, tralasciamo i presunti avvistamenti di extraterrestri che negli ultimi decenni hanno fatto nascere la mitologia e la letteratura degli ufo. Al momento non esiste alcuna prova scientifica di tali avvistamenti. Tuttavia, nonostante le analisi appena esposte, gli alieni, gli ufo, i piccoli omini verdi e i vari mostri invasori hanno da sempre popolato la letteratura e la cinematografia di fantascienza. In tale contesto, purtroppo, la parola scienza stride con errori, esagerazioni, violazioni di principi di fisica e talvolta anche del puro e semplice buon senso. Si tratta di un male comune ad altri aspetti di tale letteratura che pure ha raggiunto altissimi livelli, per esempio con Asimov e Kubrick. Basti pensare ai razzi delle astronavi che emettono assordanti suoni nel vuoto cosmico o ai loro viaggiatori che anziché fluttuare nel vuoto camminano tranquillamente nei corridoi dei vascelli, tra l’altro di solito inutilmente giganteschi e corazzati (pensate al costo per inviarli nello spazio).

Ma ammesso che alieni con capacità intellettuali, culturali e tecnologiche simili o superiori alle nostre esistano, come sarebbe logico immaginarseli? Capita spesso che questi esseri, anche se enormemente più avanzati di noi dal punto di vista scientifico e tecnologico, non fosse altro perché hanno trovato il modo di abbattere le barriere dello spaziotempo con voli superluminali e teletrasporto, risultino quasi sempre cattivissimi e in fondo stupidi. Le ultime due caratteristiche poco si accordano con la provata competenza tecnico-scientifica. Alla base vi è l’idea un po’ razzista che anche gli scienziati terresti siano capaci di mirabolanti risultati tecnici, ma appaiano spesso privi di sentimenti, bontà e anche astuzia. Difficile a credersi. La figura dello scienziato è spesso trattata con sufficienza in letteratura e cinematografia fiction. Capacissimo di teletrasportarsi ma non in grado di sopravvivere al primo banale inconveniente. Per fortuna ci sono gli eroi dei film, gente comunissima in cui il pubblico può immedesimarsi, assieme a qualche personaggio positivo tutto muscoli che alla fine uccide i cattivi e riporta i buoni a casa; tra l’altro salvando il mondo con qualche astuto trucchetto che manco a dirlo il plurilaureato scienziato non avrebbe mai escogitato.

La cattiveria degli extraterrestri generalmente ben si concilia con il loro aspetto fisico. Pensate agli invasori della Guerra dei mondi. Talmente brutti, spaventosi e perfidi da giustificare il loro annientamento finale da parte dei virus terrestri. Se lo sono meritato. Cattiveria e bruttezza fanno pendant con un semplicismo infantile e ancestrale. Pensate se il dolce E.T. o gli eterei alieni degli Incontri ravvicinati del terzo tipo, amorevolmente interessati a noi, avessero avuto le sembianze di Alien. Sull’aspetto esteriore degli alieni è opportuno focalizzare la nostra attenzione. Un primo fattore è la comune ipotesi di antropomorfismo. La megalomania dell’uomo si è spinta a ritenere che un potenziale Creatore dovesse avere sembianze umane, quindi nulla di più normale che esasperare gli aspetti negativi dell’umanità e trasferirli lombrosianamente ai nostri fratelli extraterrestri. Denti guasti e aguzzi, bava, voce grave o gracchiante, grugno terribile, mani adunche, sproporzione tra arti, tronco e capo, andamento claudicante ecc. Ma comunque e quasi sempre due gambe, una testa, due occhi e molti muscoli, anche se talvolta fisiologicamente non necessari sul loro pianeta. I vulcaniani e i romulani di Star Trek sono proprio molto umani, anche per facilitare la realizzazione dei film, certo. Al massimo hanno le orecchie a punta, i capelli a caschetto e una qualche escrescenza sopra al naso. Nessuna differenza su statura, numero di dita e occhi, nonostante gli habitat molto diversi dai quali provengono. Ma è giusto così? Entrambi i casi appaiono delle esagerazioni: gli spietati lucertoloni o gli umanoidi con le orecchie alla Spock.

Quali sono gli elementi che possono determinare il look dei cugini alieni? Da noi l’essere più intelligente del pianeta si è evoluto da un antenato che avevamo in comune con la scimmia, grazie a una serie di mutazioni positive ed evoluzionisticamente dominanti. Maggiore volume cranico, cervello più pesante, capacità di parola, stazione eretta, pollice opponibile ecc. In questa lista come visto in precedenza cause ed effetti si mescolano. Tuttavia a priori avremmo potuto avere un’evoluzione altrettanto positiva da parte di altre specie animali. L’apparenza dell’umano sarebbe stata del tutto differente. Sarebbe bastato un evento climatico o cosmico tale da estinguere i primati e favorire altre forme viventi, magari con tempi ed esiti evolutivi diversi. Per questi motivi risulta improbabile avere alieni umanoidi o comunque simili ai primati terrestri. A supporto di ciò ricordiamo ancora l’enorme biodiversità delle specie terrestri.

Fattori decisivi sarebbero le specifiche caratteristiche dei pianeti ospitanti. La fauna terrestre, uomo incluso, è assolutamente determinata dalla storia del pianeta attraverso milioni di anni di evoluzione, di cambiamenti climatici, di adattamento all’habitat, di estinzioni di massa dovute a eventi esterni, per esempio l’impatto di grandi meteoriti o l’esplosione di supernove vicine. Questo significa che anche esattamente a parità di condizioni geografiche e ambientali, ossia nel caso di un pianeta identico alla Terra, con le stesse caratteristiche astronomiche e astrofisiche, l’evoluzione avrebbe certo potuto prendere delle strade totalmente imprevedibili e quindi capaci di produrre differenze ben maggiori di orecchie a punta.

La quantità di ossigeno nell’atmosfera avrebbe modificato il sistema cardio-respiratorio-circolatorio, la densità dell’atmosfera l’apparato vocale e acustico, l’illuminazione il sistema visivo, perché no più esteso verso l’infrarosso o l’ultravioletto. La maggiore o minore forza di gravità, funzione delle dimensioni e densità del pianeta, avrebbe sostanzialmente impattato sull’eventuale sistema scheletrico-muscolare e sulle dimensioni degli esseri. I nostri grandi dinosauri avevano raggiunto in qualche modo le dimensioni massime per un essere vivente sulla Terra. Lo dimostra anche il successo evolutivo d’insetti e piccoli mammiferi. E che dire della temperatura media, dell’escursione termica giorno-notte o del periodo dell’alternanza delle stagioni dovute all’inclinazione dell’asse di rotazione del pianeta, e al periodo di rivoluzione attorno alla stella di riferimento. La densità e la composizione dell’atmosfera avrebbero causato una maggiore o minore esposizione ai raggi cosmici, aumentando o riducendo le mutazioni genetiche indotte dalla radiazione. E così via. Insomma, immaginare E.T. è difficile. Quello che possiamo fare è almeno evitare errori banali e semplificazioni eccessive.

Per questi motivi, a titolo di esempio, la morfologia del mostro di Alien appare difficilmente comprensibile. Una sorta di super-rettile dotato di spietata determinazione tutta volta a uccidere i poveri e incauti astronauti umani. L’essere extraterrestre è gratuitamente cattivo e ci si chiede come passi le giornate nella lunga attesa di nuovi esploratori terrestri. Non si capisce come possa sopravvivere e moltiplicarsi in assenza di prede, quali sono i motivi evolutivi per un apparato orale così complesso, quali le ragioni della bava corrosiva e, in fondo, il motivo di tanta diabolica intelligenza. Gli animali non sono cattivi; uccidono per nutrirsi e per difendere la prole o comunque per motivi legati alla riproduzione. Raramente uccidono senza motivo e quasi mai i propri simili. Questa è una prerogativa dell’uomo, ma pur sempre motivata da sentimenti forti. La cattiveria fine a se stessa è rara e comunque associata a situazioni patologiche e probabilmente recessive dal punto di vista evolutivo.

Qualche annotazione a margine sull’etica aliena. Nella letteratura e filmografia si oscilla tra l’estrema cattiveria (a dire il vero spesso ingiustificata) e la sublime bontà. Probabilmente i rapporti terrestri-alieni di comparabile livello di civilizzazione sarebbero determinati da considerazioni differenti: interessi economici o coloniali dovuti a imperialismo o alla necessità di materie prime, di curiosità scientifica, di cautela per potenziali rischi di tipo biologico. Un elemento decisivo sarebbe il differenziale culturale e sociale tra le due civiltà. A titolo di esempio E.T. è poco credibile benché rassicurante. Come ci avvertiva il compianto Stephen Hawking, se mai una civiltà extraterrestre ci venisse a trovare l’opzione migliore sarebbe quella di scappare. Che cosa hanno fatto i conquistadores spagnoli alle popolazioni Incas o Azteche? E gli americani ai pellerossa? O banalmente cosa rischia una società di formiche in un formicaio esplorato da un bambino curioso di 3 anni di età, o una colonia di topi da laboratorio utilizzata da un biologo? Il differenziale di civiltà, per fortuna, può anche corrispondere a un diverso livello etico. Ma anche se motivati dalle migliori intenzioni, qualche terrestre finirebbe senz’altro sul tavolo chirurgico degli scienziati alieni desiderosi di conoscere il nostro sistema arterioso, certo dopo un’opportuna anestesia. E cosa dire se gli esploratori extraterrestri fossero alla ricerca del litio che, magari, è fondamentale per la loro tecnologia avanzatissima. Pensate che si arresterebbero davanti alle nostre rozze armi nucleari?

Un altro elemento poco credibile, anch’esso associato alla possibile visita di extraterrestri sulla Terra, è costituito dal menzionato fenomeno degli ufo e dai suoi annessi e connessi, quali per esempio le repentine apparizioni-non apparizioni di alieni, i cerchi sul grano e le passate visite a Maya e antichi Egizi. Ancora una volta ci troviamo dinanzi a presunte azioni da parte degli alieni totalmente ingiustificate e quindi inverosimili. Verrebbe in mente a una missione esplorativa terrestre, una volta raggiunto un pianeta abitato da una specie animale chiaramente inferiore dal punto di vista scientifico-tecnologico, di sprecare il poco tempo a disposizione e i milionari investimenti da parte delle agenzie di finanziamento per giocare a nascondino lasciando di notte ambigui segni di sé su campi coltivati (e perché no sulla sabbia del deserto?), per poi fuggire all’alba? Quale il senso di tanta delicatezza (stupidità) nei nostri confronti? In realtà anche in questo caso ci troviamo di fronte alla trasposizione infantile di stereotipi molto terrestri, conditi da complottismo e superficialità. La mancanza di una diffusa cultura scientifica che ci permetta di analizzare scientificamente tutti i fenomeni della natura, alieni inclusi, e di un adeguato spirito critico fa il resto.

*Edoardo Boncinelli è il più importante genetista italiano. Per più di vent’anni ha svolto attività di ricerca presso l’Istituto di genetica e biofisica del cnr di Napoli. È stato direttore del Laboratorio di biologia molecolare dello sviluppo presso l’Università San Raffaele e direttore di ricerca presso il Centro per lo studio della farmacologia cellulare e molecolare del cnr di Milano.

**Antonio Ereditato è professore di Fisica delle particelle elementari presso l’Università di Berna e direttore del Laboratory for High Energy Physics e dell’Albert Einstein Centre for Fundamental Physics sempre a Berna. Svolge attività di ricerca al cern di Ginevra, al Fermilab di Chicago e al J-PARC di Tokai, in Giappone, dove partecipa ai più importanti esperimenti internazionali sulla fisica delle particelle.

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