Per spiegare quel che sta succedendo alla gran platea del Circo Massimo Davide Casaleggio usa la metafora dell’aragosta, il crostaceo che cambia due volte nella vita il suo carapace per adattarlo al corpo che cresce. Il bizzarro paragone chiarisce la principale preoccupazione della classe dirigente del M5S nella prima adunata post-governo, un’ansia che è stata il leitmotiv di tutti gli interventi, dalla barricadera Paola Taverna al premier Giuseppe Conte: confermare che il Dna del Movimento resta sempre lo stesso nonostante l’approdo nei palazzi della casta, le poltrone, i molti compromessi legati alle intese di governo.
Un’ansia in larga parte infondata: il popolo Cinque Stelle non sembra avere alcuna nostalgia dei tempi della purezza senza potere, anzi. Conte è applaudito come una rockstar, forse più di Beppe Grillo. E il tabellone più utilizzato come sfondo per i selfie non è quello che riassume i gloriosi esordi grillini, dal 2005 al primo V-Day, ma quello intitolato “I Cinque Stelle al governo”, con il testo integrale del Contratto di Palazzo Chigi e le immagini di questi 143 giorni alla guida dell’Italia.
Certo, la Woodstock grillina non sarebbe tale senza qualcosa di urticante che evocasse l’antico istinto distruttore, ma a questo ci pensa Beppe Grillo infilando nel comizio conclusivo una frase sulla necessità di limitare i poteri del Quirinale (guidare il Csm, l’esercito e nominare senatori a vita sembra troppo al guru M5S) sulla quale si appunterà l’attenzione dei giornalisti e la preoccupazione generale. Tuttavia, oltre quella provocazione c’è molto altro di cui tenere conto per capire in che direzione si muove il partito di maggioranza relativa, forse un po’ ammaccato nei sondaggi ma ancora tale nei risultati elettorali.
La Woodstock grillina non sarebbe tale senza qualcosa di urticante che evocasse l’antico istinto distruttore, ma a questo ci pensa Beppe Grillo infilando nel comizio conclusivo una frase sulla necessità di limitare i poteri del Quirinale (guidare il Csm, l’esercito e nominare senatori a vita sembra troppo al guru M5S) sulla quale si appunterà l’attenzione dei giornalisti e la preoccupazione general
Chi immaginava che i Cinque Stelle sarebbero andati a sbattere al primo angolo, chi diceva che il contenitore della protesta non avrebbe retto al salto della barricata, chi paragonava questo mondo ad altre meteore populiste della nostra storia come l’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini, dovrà aggiornare le analisi. L’annuale raduno dell’Italia Cinque Stelle che si è chiuso ieri sera a Roma dimostra non solo la costante capacità di mobilitazione del Movimento ma anche la sua maturazione politica. Ha un leader politico, Luigi Di Maio. Un intellettuale di riferimento, Davide Casaleggio.
Un premier amico, Giuseppe Conte, che si confronta con la platea come un politico consumato, chiamando l’applauso con la competenza retorica di un comiziante professionista. Ha la sua ala ruspante, Gianna Taverna, e il suo Che Guevara, ovviamente Alessandro Di Battista che ha annunciato il suo imminente ritorno. Ha un’ala progressista (Roberto Fico) e un’ala moderata (Alfonso Bonafede, ma non solo). Insomma: ha conquistato l’articolazione plurale dei partiti di una volta mentre i suoi avversari del Pd e di Forza Italia hanno fatto l’esatto contrario, hanno emarginato o rottamato chiunque non si tenesse “in bolla” o uscisse dal mainstream dettato dalle segreterie.
Dall’happening grillino esce anche un progetto europeo molto preciso, che consiste nel mettere insieme le forze emergenti alternativo ai vecchi blocchi popolari/socialisti ma anche all’area sovranista
Dall’happening grillino esce anche un progetto europeo molto preciso, che consiste nel mettere insieme le forze emergenti alternativo ai vecchi blocchi popolari/socialisti ma anche all’area sovranista. Di Maio non ha citato nomi o sigle, ma è evidente che pensa ai partiti verdi, ai liberali, alle forze per la democrazia diretta che già eleggono un drappello abbastanza consistente nell’Europarlamento.
Il tentativo è fallito in questa legislatura per mancanza di numeri e per la concorrenza della destra-destra, obbligando i grillini ad acconciarsi a intese con gruppi assai diversi da loro, dall’Ukip inglese ai conservatori lituani. Adesso che tutto è in movimento le cose potrebbero cambiare e il vice-premier ha annunciato per gennaio un Manifesto comune con altre forze europee. “Saremo ago della bilancia, proprio come è successo in Italia” promette alla folla. Applausi. Cori ritmati. L’Europa che fino a pochi mesi fa era il nemico da abbattere per via referendaria adesso è una vetta da raggiungere, una bella signora da conquistare.
Sì, per dirla con Casaleggio il crostaceo è cresciuto, si è fatto più robusto e più sicuro di sé, al punto che forse per la prima volta non ha bisogno di irridere il nemico o di seppellirlo di insulti, ma gli riserva al contrario una specie di affettuoso compatimento. Beppe Grillo commisera Matteo Renzi assediato dai giornalisti nella sua ultima performance televisiva: “Mi ha fatto tenerezza mentre lo massacravano di domande”, dice, prima di intonare il de profundis per una sinistra “senza più talenti”, che “è vecchia anche quando affronta temi nuovi”. La seconda vita del M5S non ha più bisogno di usare la sciabola per attirare l’attenzione, ma la vera sorpresa è che anche senza quei Vaffa, senza l’ostentazione del rancore, senza l’invettiva velenosa, la palese calunnia, riesce a tenere insieme il suo popolo e a farlo contento.