Poco prima del Palio di Siena, sulla sabbia appena battuta di piazza del Campo, i cavalieri cercano, con le buone, con le sporche o con le cattive, di prendersi una posizione di vantaggio per la partenza. L’unica regola è che vale tutto, esattamente come nella mischia del Partito Democratico, entro cui è iniziata una lotta in vista delle primarie del partito che si preannuncia rocambolesca e confusa.
In questa mischia, c’è chi ci si butta prima di petto, mettendocisi subito in prima persona, forte di un riconoscimento sul campo, come Zingaretti. Poi c’è chi ci si butta di testa, cercando di legittimare una posizione che è complicata da legittimare. È il caso dell’ex Ministro dell’Interno Marco Minniti che in questa peculiare e tragicomica mischia ci entra con un libro, edito da Rizzoli, che è contemporaneamente un manifesto, una dichiarazione di intenti, un racconto della sua attività di Ministro, ma anche una definizione, sbagliata: Sicurezza è libertà.
Bisogna dare atto a Minniti del fatto che abbia di certo deciso da che parte attaccare la mischia. Il problema, però, è che messa giù così lo fa da destra, ovvero dalla direzione in cui nessuno può pensare di ricreare un fronte unitario di sinistra, di vera sinistra. Un campo che deve tornare ad essere di nuovo ideologico, ma che non può giocare nello stesso campo delle destre nazionaliste e sovraniste, ma deve farlo tornando sul suo di campo, un campo dove la sicurezza è un effetto della libertà e del diritto, non una causa.
Il punto di partenza di tutto il ragionamento di Minniti è che la sinistra stia perdendo malissimo contro l’avanzata del populismo grillino da una parte e del sovranismo leghista dall’altra perché non è riuscita ad accettare che il tema della Sicurezza sia un tema fondante della democrazia. Minniti lo scrive chiaramente: «Il futuro delle democrazie sta proprio nella capacità di conciliare i poli di quella che vogliono indurci a credere sia un’alternativa».
«Il futuro delle democrazie sta proprio nella capacità di conciliare i poli di quella che vogliono indurci a credere sia un’alternativa»
Il problema è che la sicurezza è esattamente quella cosa lì: è il controllo, è la sorveglianza, è la polizia, sono i centri di espulsione, sono i controlli alle frontiere, sono gli arresti dei migranti direttamente in Libia. Così come il suo stesso ministero, ben prima di quello di Salvini, l’ha intesa, infatti, la Sicurezza è controllo, non è libertà. Quanto meno non è libertà nel senso vero della parola, è libertà vigilata, controllata, posta sotto sorveglianza. E non è quello di cui ha bisogno la sinistra per ripartire. Al limite ce l’avrebbe bisogno la destra, che no avendo l’assoluta fede democratica che fortunatamente Minniti ha, sta giocando con il fuoco dell’autoritarismo.
La sinistra, e non ce ne voglia Minniti, se vuole veramente occuparsi della vita delle persone e della loro felicità dovrebbe cambiare l’equazione che lui propone. Invertirne i termini. Perché è la Libertà che è Sicurezza, non il contrario. Anche perché anche nei regimi totalitari c’è sicurezza, probabilmente anche più che nei regimi democratici, ma non c’è certo libertà.
Le parole sono importanti per davvero, e Sicuro, che deriva dal latino Securus, ha al suo interno due parole: un prefisso se-, che sta per senza, e un sostantivo, cura che è identico all’italiano. Senza cura. Cosa c’entra con Sicurezza? Centra. Perché significa, in soldoni, che sentirsi sicuro è potersi permettere di non prestare attenzione a come stanno gli altri. Il che potrebbe voler dire tante cose, eh, fprse perisno per molti italiani, ma nessuna di quelle cose è di sinistra.
Sentirsi sicuro è potersi permettere di non prestare attenzione a come stanno gli altri. Il che potrebbe voler dire tante cose, eh, fprse perisno per molti italiani, ma nessuna di quelle cose è di sinistra.
Esigere sicurezza vuol dire pretender di avere delle ricchezze, delle possibilità e dei privilegi, anche pochi e miseri come tutti noi, senza dover pensare che ci sono altri che non ce li hanno. Questo significa sicurezza. E se è questa la sicurezza che si lega alla libertà, allora quella è libertà condizionata al fatto che tutti quelli che le nostre possibilità, le nostre ricchezze, le nostre case e i nostri privilegi non possano vivere insieme a noi. E questa sicurezza vuol dire esclusione. Non la stessa esclusione su base razzista del “Prima gli italiani” di Matteo Salvini, ma è una esclusione brutta in modo simile. Perché non c’è libertà senza inclusione e apertura vera. Perché non c’è libertà finché non si considerano tutti gli esseri umani alla pari, liberi uguali.
«Noi viviamo in un mondo ossessionato. E lo sappiamo», Minniti inizia con una citazione dello storico Johan Huizinga. Ma quello è solo l’attacco del libro che cita, La crisi della civiltà, un attacco che continua così: «Nessuno si stupirebbe se, un bel giorno, questa nostra demenza sfociasse in una crisi di pazzia furiosa, che, calmatasi, lascerebbe l’Europa ottusa e smarrita; i motori continuerebbero a ronzare e le bandiere a sventolare, ma lo spirito sarebbe spento». Seguendo il ragionamento di Minniti, scendendo a patti con la paura e chiedendo sempre più sicurezza senza capire che quella parola non significa diritto alla felicità, ma controllo e limiti alle libertà altrui, allora rischieremo sul serio di spegnerlo di nuovo quello spirito europeo.