Il progresso tecnologico porta con sé un cambiamento delle mansioni e delle conoscenze di coloro i quali operano per produrre beni e servizi. Questo succede da tempo immemore e gli immani sconvolgimenti dell’ultimo secolo sono lì a ricordarci che, in pochi decenni, si può passare dall’agricoltura all’industria manifatturiera e poi ai servizi, migliorando la condizione di vita media ed infatti aumentando il reddito reale di praticamente tutti coloro che lavorano. Questo non è un processo indolore: alcuni guadagnano di più, in questo processo, ed altri di meno. Alcuni persino ci perdono. In generale, scelte politiche adeguate sono necessarie per facilitare la transizione ed evitare che coloro i quali meno si sanno adattare al cambiamento apprendano a farlo e ne ricevano almeno qualche beneficio. Questa è una strada già percorsa innumerevoli volte in passato ed il problema del nostro paese è oggi quello di saper ritrovare l’ottimismo culturale, la flessibilità sociale e la dinamicità istituzionale per gestire tale transizione.
La sfida che il cambio tecnologico oggi ci constringe ad affrontare, quindi, non è quella della “sparizione” dei lavori e delle professioni a cui l’ultimo secolo ci ha abituati – lavori che, secondo alcuni, dovremmo rimpiazzare con sussidi per coloro che li “perdono” – bensì un’altra, più complicata e, forse, davvero nuova. Chiamiamola sfida della complessità crescente: il progresso tecnologico richiede, senza alcun dubbio, conoscenze professionali sempre più sofisticate e sempre più difficili da apprendere e padroneggiare. Ogni nuova tecnologia richiede nuove conoscenze che ne permettano l’utilizzazione e l’acquisizione di queste conoscenze richiede sia una maggiore istruzione sia un utilizzo maggiore delle nostre capacità cognitive. In altre parole: il cambio tecnologico che le invenzioni degli umani ha prodotto nel corso dei secoli ha sostituito, decennio dopo decennio, lo sforzo fisico – la forza bruta, per così dire – con l’intelligenza e la conoscenza. E qui sta, forse, il problema nuovo, che è quantitativo prima che qualitativo.
Le capacità cognitive sono diventate il fattore cruciale nel determinare se una persona sia o meno in grado di utilizzare proficuamente le nuove tecnologie e conoscenze
L’istruzione può permettere a tutti, almeno in principio, di acquisire le conoscenze necessarie al proficuo utilizzo di nuove tecnologie. Con “proficuo utilizzo” intendiamo qui due cose: da un lato la capacità di operare efficacemente con le nuove “macchine” e, dall’altro, la capacità di utilizzare le nuove conoscenze per produrre “macchine” (ovvero, metodi di produzione) più avanzati e profittevoli. Questa operazione di adattamento è possibile, in principio, per tutti: basta avere accesso all’istruzione adeguata – questo è il compito primario che le politiche pubbliche devono assolvere – e le capacità cognitive adeguate ad apprendere le nuove conoscenze. E qui, forse, casca l’asino.
Casca l’asino, ovvero si determina il problema veramente nuovo, perché le capacità cognitive non sono distribuite uniformemente fra le persone. Lo stesso, sia chiaro, vale per la forza bruta: nei secoli che furono le persone fisicamene più forti comandavano o, comunque, avevano la capacità di produrre più di altri e questo permetteva loro una condizione sociale superiore. Senza alcun dubbio la forza bruta, da sola, non è mai bastata: essere “svegli” è sempre stato utile assai. Il fatto è che, negli ultimi decenni, l’essere svegli di mente e rapidi di comprendonio ha assunto un ruolo predominate. Per dirla brutalmente: le capacità cognitive sono diventate il fattore cruciale nel determinare se una persona sia o meno in grado di utilizzare proficuamente le nuove tecnologie e conoscenze.
Una montagna di evidenza empirica ci insegna che la distribuzione delle capacità cognitive – fuor di metafora: il Quoziente d’Intelligenza – segue una curva gaussiana.
Come è possibile vedere nella figura una percentuale relativamente piccola di persone si colloca ai due estremi della curva, il grosso sta nel centro. Il progresso tecnologico sposta progressivamente, da sinistra verso destra, il confine fra coloro che non sono in grado di utilizzare proficuamente le nuove tecnologie e quelli che invece sono capaci di farlo. Finchè quello spostamento avviene nell’intervallo fra, diciamo, 70 ed 80, si creano dei problemi ma questi sono quantitativamente minori. Le sfortunate persone incapaci di usare proficuamente le nuove tecnologie sono in numero relativamente limitato e le più svariate forme di solidarietà sociale ed umana sono state capaci di gestire in un modo o nell’altro (a volte con gravi conflitti, cerchiamo di non scordarlo) le transizioni tecnologiche emerse negli ultimi due secoli.
La situazione si fa progressivamente più complicata mano a mano che il progresso tecnologico sposta la soglia di “proficuo apprendimento” oltre un certo intervallo: fra 80 e 90 la curva si impenna sostanzialmente il che si traduce in un numero drammaticamente crescente di persone che hanno difficoltà obiettive ad usare proficuamente le nuove tecnologie che altri, tipicamente quelli nella coda destra della medesima curva, vanno introducendo. Qui sta forse, oggi, il problema nuovo. Che non è qualitativamente nuovo ma lo è quantitativamente. Perché un conto è cercare di trovare metodi di sostentamento e ruoli sociali utili per un 5-10% della popolazione e ben altra cosa è farlo per il 30-40%.
Chiunque oggi si dedichi all’insegnamento, alla formazione professionale o all’inserimento nel mondo del lavoro è certamente cosciente della rapida emergenza di questo problema: le nuove tecnologie sono, per molte persone, difficili da apprendere ed utilizzare. Questo crea una barriera drammaticamente alta non solo alla mobilità occupazionale ma alla pace sociale stessa. Questo fenomeno, tanto obiettivo quanto drammatico e rapidamente emergente, sta creando una nuova frattura sociale. Essa è diversa da quella a cui ci eravamo abituati, fra capitalisti e proletari. La divisione che sta rapidamente emergendo è fra coloro che hanno le capacità cognitive per utilizzare proficuamente il cambiamento tecnologico e quelli che sembrano non essere in grado di farlo. L’abbiamo compresa a sufficienza ed abbiamo gli strumenti per affrontarla? Vi sono ragioni per dubitarlo: meglio rifletterci senza ipocrisie, tentennamenti e soluzioni messianiche. Hic sunt leones.