Eccoci alle primarie del Pd. Dopo una lunga gestazione, come conviene a qualsiasi pachiderma che qualcuno vorrebbe addirittura liquido è arrivato il benedetto giorno dell’incoronazione del re. Ieri l’altro c’è stato anche il dibattito su Sky. Bruttino. Si può dire? Quasi dimesso come un aperitivo, uno spritz alla spicciolata al bar. Scostamenti sui temi, quasi nessuno, se non nei modi sempre abbastanza adolescenziali di Giacchetti (che come tutti quelli senza troppe possibilità spara a salve anche contro i cartonati, ormai) e pochissima chiarezza sui rapporti con gli altri (tranne, va detto, proprio Giachetti). Ascoltare questo Pd parlare d’Europa, così come avvenuto ieri, appare come una lunga, noiosa, predica laica, una di quelle che tocca per forza fare come se fosse un passaggio obbligato del rito.
Poi tutti a parlare di se stessi, dei Cinque Stelle e di Salvini. Avete presente quelli che per risultare differenti si mettono a confronto con il peggio che c’è sul mercato, così tanto da sembrare patetici? Ecco, così. Il contrario esatto di Salvini, tra l’altro, che ogni volta, anche se in diretta facebook, parla di qualcosa riesce a lasciare la netta sensazione di come l’eventuale decisione possa impattare sulla vita reale delle persone. Per un attimo l’Europa mi è sembrata quasi più vicina e compagna di Zingaretti e soci. Che poi, se ci pensate bene, è proprio l’Europa a parlare (e a dare indicazioni) su asili, sul welfare, sulla necessità di finanziare scuola e ricerca e di fare passi avanti sulle donne e sulla parità. A proposito: donne? Non pervenute. Non solo come candidate (in realtà Giacchetti corre con una donna) ma soprattutto come front woman e come centro di elaborazione delle idee. E parlare delle donne oggi è un tema fortissimamente maschile se ci pensate perché sono le donne che più spesso affrontano i temi della vita normale che sembra interessare così poco al PD.
Eppure proprio la insipidità dei candidati rende gli elettori di queste primarie l’unico dato veramente interessante per rispondere alla prima domanda cha conviene porsi: esiste ancora quella comunità?
Eppure ora partono le celebrazioni delle primarie: c’è anche un obiettivo minimo di partecipazione. Un milione di persone hanno detto, stando giustamente cauti, ben lontani dai tre milioni e mezzo che nel 2007 incoronarono Veltroni, dai tre milioni e centomila che incoronarono Bersani fino ai due milioni e ottocentomila che incoronarono Renzi. Insomma, numeri in calo e niente all’orizzonte che faccia prevedere un ritorno ai tempi più fastosi. Un milione di elettori sarebbero abbastanza, dicono tutti, accettando di fatto un dimezzamento rispetto a quelle del 2013. A posto così.
Eppure proprio la insipidità dei candidati rende gli elettori di queste primarie l’unico dato veramente interessante per rispondere alla prima domanda cha conviene porsi: esiste ancora quella comunità?. Esiste ancora quello zoccolo duro che al di là del leader di turno si riconosce in un manifesto (più volte tradito, evidentemente) che per anni ha sorretto i democratici? Questo è il dato fondamentale, al di à del vincitore. Se esiste ancora quella comunità allora avrà senso sopportare le difficoltà del momento politico difficile e avrà senso sopportare anche le inesperienze di comunicazioni di Zingaretti o Martina ben lontane dal guasconismo di Renzi. Altrimenti forse sarebbe il caso di trovare il coraggio di porsi la seconda grande domanda che da mesi attanaglia gli iscritti, i simpatizzanti e gli osservatori della politica: ha ancora senso, il Pd?