Lotta continuaLitigare, polarizzare, ricucire: ecco la formula che terrà in vita il governo gialloverde (e alti i consensi)

Dall'inizio della legislatura, nonostante tutto, la somma dei consensi di Lega e Cinque Stelle è addirittura cresciuta. Merito (anche) delle violente discussioni, che hanno spaccato il Paese in due e messo le opposizioni all’angolo. E che si sono risolte in una stretta di mano al momento buono

Concluso lo scontro sull’alta velocità Torino-Lione i gialli e i verdi dell’esecutivo più folle della storia della repubblica iniziano a tirare le somme. I primi, i grillozzi di Di Maio e Casaleggio, contano le ferite e le giravolte che sono state molteplici e probabilmente continueranno ad aumentare. D’altro canto, per dirla con un vecchio democristiano frequentatore del Transatlantico di Montecitorio anche il lunedì, «un conto è strillare dalle tribune dell’opposizione un altro è attovogliarsi a palazzo Chigi e non abolire la povertà. In sintesi, governare ha un costo». E il costo da pagare nel caso delle truppe di Di Maio sarebbe stato il calo nei consensi.

Alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 il M5S raggranellò il 32,68%, una percentuale impressionante che sconquassò il bipolarismo della Seconda Repubblica. Oggi gli istituti di ricerca attestano i cinquestelle attorno al 23-24%, nove punti in meno rispetto alla tornata dello scorso anno. La Lega invece sarebbe passata dal 17 per cento delle politiche al 34% dei sondaggi odierne. Tuttavia tirate le somme anche i gialli esultano a taccuini chiusi. «Sì, è vero: noi abbiamo perso qualcosa», confida un grillino. Ma, chiosa, «la forza dei due partiti, complessivamente è aumentata». il che fa pensare che alla fine gli scontri portino bene al governo dell’azzeccagarbugli Giuseppe Conte: non solo c’è stato un travaso di voti all’interno delle forze di maggioranza, ma la somma algebrica dei due partiti è addirittura accresciuta arrivando a sfiorare il 60%. In passato un’impresa di tale dimensione era riuscita soltanto ai comunisti e ai democristiani. Ma era un’altra Italia. Era un’altra stagione.

Da mesi i grillini e leghisti governano e si scontrano. Si scontrano e governano. Come se fosse un gioco per tenere tutti vivi, per allargare il gradimento e per dividere il Paese

Da mesi i grillini e leghisti governano e si scontrano. Si scontrano e governano. Come se fosse un gioco per tenere tutti vivi, per allargare il gradimento e per dividere il Paese. Una strategia, sempre se si tratta di una strategia studiata a tavolino, che ricorda la stagione del Cavaliere di Arcore. Ogni tic, ogni uscita del leader di Forza Italia accendeva il Paese, alzava il livello dello scontro e acuiva la distanza fra berlusconiani e antiberlusconiani. Con un obiettivo che è stato la chiave di volta del successo del tycoon del Biscione: spaccare lo stivale in Cav e anti-Cav.

Non a caso se passiamo in rassegna i primi nove di governo notiamo un’assonanza con la seconda Repubblica targata Berlusconi. I gialloverdi sono finiti incidentalmente a palazzo Chigi. Costretti dai numeri, costretti forse a stare insieme per rappresentare l’intero territorio italiano. Poi, però, una volta a palazzo Chigi hanno governato litigando su ogni dossier. È accaduto sul Tap, sull’autonomia differenziata, sul reddito di cittadinanza, sul caso Diciotti, sul rapporto deficit-Pil, sul Venezuela, sul rapporto con gli Stati Uniti e la Russia di Putin. Insomma, ogni giorno una battaglia, che spesso e volentieri è sfociata in una dichiarazione al vetriolo. Salvo poi tirare i remi in barca e trovare un accordichio, una soluzione che costringeva le truppe a ripetere come un mantra che «questo esecutivo durerà cinque anni».

E forse questa esecutivo durerà cinque anni se i due contraenti saranno capaci di tenere alta l’attenzione, di portare sul tavolo temi che implicheranno una lite, uno scontro e una pax finale. Ebbene se polarizzeranno il sistema e di conseguenza obbligheranno le opposizioni a prendere una posizione. È successo, ad esempio, sull’alta velocità. All’indomani della vittoria alle primarie il neo segretario Zingaretti si è recato a Torino per dire Sì al Tav al fianco di Chiamparino. Una presa di posizione che ha scatenato l’ira della sinistra più radicale e più ambientalista contraria alla grande opera. Ecco, fin quando sarà così i gialli e verdi potranno stare sereni. Ops, forse meglio dire “tranquilli”.

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