Quando un paio di mesi fa, a notte fonda, durante una claudicante puntata del DopoFestival, quando la solerte Marinella Venegoni metteva all’angolo il pugile suonato Claudio Baglioni riguardo la vergognosa assenza di donne nel cast del suo Festival un poco lucido Francesco Renga prendeva la parola lasciandosi andare a una sua poco chiara dissertazione sul perché la voce delle donne risulta essere poco gradevole all’ascolto è successo il finimondo. Un finimondo di questi tempi, prevalentemente social. Quindi un finimondo destinato a essere riassorbito nel giro di qualche ora, nel caso specifico di qualche giorno, presto sostituito da qualche altra cazzata. Nello specifico, a non lasciare subito riassorbire il tutto, a parte il suo, suo di Renga, tentativo di approfondire l’argomento, andando a parlare di frequenze alle due di notte, nel momento in cui un allarmato Rocco Papaleo cercava di spostare la discussione altrove, in un qualsiasi altrove meno spinoso, il fatto che di lì a poco Fulvio Collovati, centrale difensivo campione del Mondo con la nazionale di Bearzot nel 1982 e oggi commentatore sportivo dentro la tv, rincarava la dose, seppur in chiave calcistica, dicendo qualcosa che suonava come “Ogni volta che sento una donna parlare di calcio mi viene il mal di stomaco”. Riapriti cielo. Ecco una piggoia di accuse di sessismo per entrambi. Ecco Renga messo alla gogna, ecco Collovati allontanato per un paio di puntate da Quelli che il calcio.
Come se il problema con il sessismo stesse nelle dichiarazioni scomposte, questo sì, di entrambi.
Ora, passo a occuparmi di musica, che è il mio campo, volessimo analizzare la faccenda solo a partire di Renga, ma non è questo il tema di questo articolo, verrebbe da dire che la faccenda delle frequenze che il cantante bresciano voleva affrontare, male, a tarda notte, non è neanche del tutto sbagliato. Ma soprattutto, il fatto che nel 2019, cioè oggi, ci si soffermi sulla voce, parlando di artiste donne che cantano, e solo di voce, potrebbe sì aprire una questione sessista in ambito musicale. Perché se Renga, che vuoi o non vuoi è un artista anche piuttosto affermato da circa trentacinque anni, nel giustificare l’assenza vergognosa di donne nel cast di Sanremo si sofferma sulla voce è perché, in effetti, nel 2019, cioè oggi, le donne in ambito musicale sono ancora quasi sempre e solo prese in considerazione per la voce. Per dire, potrebbe mai esistere in Italia una cantante o cantautrice palesemente stonata e con la zeppola come un Jovanotti? Potrebbe mai esistere una cantante o cantautrice con la erre arrotondata emiliana e non proprio un talento verso il bel canto come un Francesco Guccini? Per venire ai tempi nostri, potrebbe mai esistere una cantante o cantautrice che si presenti in tv con Kway, cappellino calato in testa, l’aria di chi non si fa una doccia da forse troppo tempo, non esattamente una bellezza stando ai canoni tradizionali come Calcutta? Non affaticatevi a cercare le risposte, erano domande retoriche e la risposta è no. Non potrebbero. Perché non le lascerebbero andare su un palco. Peggio, perché una cantante o cantautrice che avesse quelle caratteristiche, avesse anche i rispettivi talenti dei tre artisti, con le debite differenze, si autocensurerebbe e su quel palco neanche si sognerebbe di andarci.
Traslo sul mondo del giornalismo e sulla tv. L’altra sera da Lilli Gruber a 8 e mezzo c’erano come ospiti Sallusti, Severgnini e Telese. Ecco, immaginatevi questi quattro nomi, con le facce che hanno oggi, chirurgia plastica compresa, e capirete di cosa parlo.
Il fatto è che in Italia abbiamo un serio problema con il sessismo. Un problema culturale. Al punto che spesso, non sempre ma spesso, siamo sessisti senza neanche saperlo. Un po’ alla Scajola.
Passo a parlare di musica, o meglio, torno a parlre di musica.
È di pochi giorni fa il fattaccio della presentazione del cast del Concertone del Primo Maggio a Roma, organizzato da Massimo Bonelli di iCompany per conto dei sindacati e in onda su Rai3 e Radio Rai 2. Insomma, una cosa istituzionale, che riguarda sia il servizio pubblico che, soprattutto, il mondo dei sindacati. Il cast, anche interessante dal punto di vista musicale, con dentro ottimi nomi, è totalmente maschile. Neanche una artista solista donna su oltre trenta nomi presenti. Solo quattro donne nel cast principale, tutte parte di band, da La Rappresentante di lista ai Coma Cose, passando per i misconosciuti La Municipal, evidentemente su quel palco proprio perché seguiti managerialmente dalla stessa iCompany (ma non è di magheggi che voglio parlarvi oggi). Con giusto tre altre presenze femminili, tre, passate dai contest (Ylenia Lucisano, i Tristi e Margherita Zanin, e anche qui si potrebbe aprire il chi sta con chi). Insomma, roba che in confronto di due festival di Baglioni, con rispettivamente quattro donne il primo anno, e sei il secondo, era la Festa dell’8 Marzo.
Ecco, è di pochi giorni fa il fattaccio della presentazione del Concertone del Primo Maggio a Roma, organizzato da Massimo Bonelli di iCompany, cui per altro le social media manager dell’evento hanno provato a mettere una pezza assai peggio del buco, con un post ironico in cui sottolineavano come Primo Maggio Roma fosse a “trazione femminile” visto che quasi tutte quelle che lavorano dietro le quinte sono donne, come dire che una fabbrica i cui dirigenti sono uomini e le operaie donne è una fabbrica votata al femminile, ecco, è di pochi giorni fa il fattaccio della presentazione del Concertone del Primo Maggio a Roma, organizzato da Massimo Bonelli di iCompany, tutto al maschile, che arriva una seconda notizia, in qualche modo apparentata a questa, che forse è pure peggio. Esce infatti per Sony Music/Legacy Recording Faber Nostrum, disco tributo a Fabrizio De Andrè. Un album, per dirla col comunicato stampa, con la partecipazione di alcuni dei nomi più influenti della nuova scena musicale italiana: Artù, Canova, Cimini feat. Lo stato sociale, Colapesce, Ex-Otago, Fadi, Gazzelle, La Municipal (sempre loro, toh), The leading guy, I Ministri, Motta, Pinguini tattici nucleari, Vasco Brondi, Willie Peyote e The Zen Circus.
Tutti bei nomi, non ci sono dubbi. Magari non proprio tutti tutti, ma quasi tutti. E tutti maschi. Anche stavolta, apprendiamo dal comunicato stampa, a coordinare il tutto c’è Massimo Bonelli di iCompany, e il progetto è condiviso dalla Fondazione Fabrizio De André Onlus. Sulle prime c’è stato chi ha ironizzato su un errore nel titolo, Faber Nostrum sarebbe dovuto essere Faber Noster, dicevano, ma è evidente che il problema è un altro. Sempre quello.
È di pochi giorni fa il fattaccio della presentazione del cast del Concertone del Primo Maggio a Roma. Il cast, anche interessante dal punto di vista musicale, con dentro ottimi nomi, è totalmente maschile. Neanche una artista solista donna su oltre trenta nomi presenti.
Ora, dando per assodato che Massimo Bonelli non sia sessista, e dando per assodato che non lo sia neanche Dori Ghezzi, è evidente che il problema è davvero di natura culturale. A nessuno sembra suonar strano che al Concertone del Primo Maggio non ci siano artiste donne. La risposta “Abbiamo contattato alcune BIG ma erano impegnate” è aberrante, perché nel cast ci sono nomi che di BIG non hanno nulla, ma sono ugualmente tutti uomini. Se anche a nessuno sembra suonar strano che pure in un tributo a De André non ci siano donne, in quanto evidentemente ritenute poco rappresentative della nuova scena musicale italiana i fatti sono due, o chi opera in questo settore, quello musicale, ha delle falle in fatto di conoscenza della nuova scena musicale italiana, o più semplicemente pensa che praticare una discriminazione del genere e di genere sia naturale. Perché intendiamoci, se lasciamo passare per normale che nei cast dei festival non ci siano donne, nelle antologie non ci siano donne, in quegli stupidi articolini fatti da giornalistini che parlano di Next Big Thing non ci siano donne, poi succede davvero che le donne non ci siano. Costantemente tenute a bordo campo. Ammutolite. Azzerate. Annientate.
Del resto, pensiamoci, a parte la Venegoni di cui sopra non ci sono donne tra le principali firme della critica musicale italiana, non ci sono donne a capo delle case discografiche italiane, major e non, non ci sono donne a capo dei network radiofonici italiani, non ci sono mai state donne a fare i direttori artistici del Festival di Sanremo. Di che ci dovremmo mai meravigliare?
Ecco, io, che sono un uomo, qualche domanda me la faccio. E la faccio. Perché mi sono stancato di essere il solo a rompere il cazzo (perché è di cazzi che tocca parlare, evidentemente) riguardo al sessismo di questa filiera. E perché soprattutto mi meraviglio, inguaribile romantico che sono, che nessuna artista, di quelle mainstream, quindi in qualche modo già arrivate, e neanche nessun artista uomo, di quelli magari presenti proprio sul palco del Primo Maggio Roma e dentro la tracklist di Faber Nostrum, abbia le palle (siamo sempre lì, anche il nostro linguaggio è sessista, e che cazzo) di lamentarsi di questa situazione.
Ho provato, a partire dal primo Sanremo targato Baglioni/Salzano a lanciare flashmob sotto l’hashtag urticante #LaFigaLaPortoIo, quest’anno ho pure portato venticinque cantautrici in carne e ossa a tenere showcase nei luoghi del FuoriFestival, a Sanremo, ma evidentemente non basta. Tocca fare di più. Ci vuole davvero un gesto eclatante. Che so?, Ambra che mentre presenta il Primo Maggio si spoglia, come una Femen. O, la ributto lì, che uno degli artisti del cast si presenti sul palco vestito da donna, o inviti sul palco una artista donna lasciandole almeno per un brano il palco, come gesto simbolico.
Ma soprattutto ci vorrebbe che il problema del sessismo venisse a galla una volta per tutte. Che se ne parlasse. Esattamente come si dovrebbe fare o si sta cominciando a fare in altri settori della società. Qui c’è il vantaggio ma anche la responsabilità che i cantanti hanno un pubblico che li sta a sentire, e che magari si rifà a quello che sente per farsi una propria opinione. Che almeno gli artisti alzino la voce, quelli che ce l’hanno e hanno ancora palchi e album in cui farsi sentire.