Le fiamme non erano ancora state domate che già le notizie dei gesti di generosità per Notre-Dame facevano il giro del mondo. Subito dopo il discorso di Macron che dava l’avvio alla colletta, nel giro di sole 24 ore, erano già stati raccolti 600 milioni di euro. A oggi si stima che la raccolta abbia superato il miliardo necessario per riparare i danni.
A iniziare la staffetta è stata la famiglia Pinault, alla guida del colosso del lusso Kering di cui fanno parte griffe quali Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta, Balenciaga ecc., che ha annunciato l’immediata donazione di 100 milioni di euro. Poche ore dopo, l’altro big del lusso, Lvmh, a capo di marchi del calibro di Fendi, Bulgari, Christian Dior, Guerlain ecc. ha risposto offrendone ben 200 di milioni. Altrettanti ne ha promessi anche il gruppo di cosmetici L’Oreal, insieme alla famiglia Bettencourt Meyers. Certo, con queste e con tutte le altre donazioni successive, Parigi e i parigini potranno riavere uno dei maggiori capolavori gotici della storia dell’umanità, visitata ogni anno da milioni di persone tra turisti e fedeli, oltre che il simbolo dell’intera storia di Francia.
Attorno a Notre-Dame, dalla sua edificazione a oggi, si sono agitati interessi economici, ostentazione di potere, pressioni politiche. Le stesse dinamiche che si agitano oggi nei giorni della ricostruzione. Eppure un luogo di culto dovrebbe essere espressione di pace, interiore ed esteriore
Dal canto loro i marchi interessati hanno incassato un ritorno di immagine talmente positivo e globale che nessuna altrettanto costosa campagna pubblicitaria sarebbe stata in grado di assicurare: oggi nel mondo chiunque compri per esempio una maglietta di queste griffe, accarezzerà in cuor suo l’idea di avere rimesso al suo posto un pezzetto di Notre-Dame. Un pezzetto di un tempio simbolo della cristianità. E fino a qui nulla di male nel fare del bene e trarne anche un impatto vantaggioso. Ma quanto costa una maglietta in termini di impatto ambientale? Per produrne una di cotone vengono impiegati circa 2700 litri d’acqua e prodotti 10 chili di Co2. Senza contare imballaggi e trasporto. Allo stesso tempo le coltivazioni di cotone sono responsabili per il 24% dell’uso di insetticidi e per l’11% dell’uso di pesticidi facendo del settore tessile il secondo più inquinante dopo quello oil&gas.
Ogni anno vengono venduti 8 miliardi di nuovi capi. Il 400% in più rispetto a soli quaranta anni fa. A livello mondiale il mercato della moda vale 1.3 trilioni di dollari e in questo mercato la Francia ha un ruolo non proprio da comparsa. E il marketing del fashion è ormai distinto da tempo come uno dei più capaci nel farci innamorare velocemente di un prodotto e di farcene disamorare altrettanto in fretta in coincidenza della nuova collezione. Un vortice talmente inarrestabile che non sono nemmeno più le stagionalità a scandirne il ritmo.
Il punto della mia riflessione non è tanto volere evidenziare quanto sia paradossale usare, per ricostruire il tempio parigino, il denaro guadagnato distruggendo il tempio dell’umanità, ma farci notare quanto le dinamiche che muovono le azioni degli esseri umani e delle società siano sempre le stesse. Attorno a Notre-Dame, dalla sua edificazione a oggi, si sono agitati interessi economici, ostentazione di potere, pressioni politiche. Le stesse dinamiche che si agitano oggi nei giorni della ricostruzione. Eppure un luogo di culto dovrebbe essere espressione di pace, interiore ed esteriore. Un luogo in cui gli uomini si ritrovano per stringersi nella propria comunità, per condividere esperienze, supportarsi reciprocamente, progredire insieme, educare i propri figli e influire positivamente sugli altri affinché tutto l’insieme sia orientato al Bene. L’uomo nel suo cammino evolutivo ha saputo fare grandi cose, dal manufatto semplice ma rivoluzionario come la ruota a cattedrali di rara maestria, dalla Divina Commedia alla rilevazione del Bosone di Higgs, la particella di Dio. Essere stati così capaci da scoprire come dividere un atomo non ci garantirà alcun futuro certo e prospero fintanto che non impareremo a dividere anche il pane.
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