MafieEvviva i figli di camorra che rinnegano i padri, ma è un sacrificio inutile se non li proteggiamo

La camorra fa schifo, urla Antonio Piccirillo. Un messaggio potente, certo. Ma a cui serve uno Stato che usa i figli dei boss per arrestare i padri. E che li protegge, come pentiti o testimoni, anziché mandarli al macello o intrappolarli nella burocrazia. Ricordate Lea Garofalo?

Napoli si ritrova in piazza. Sanguina ancora la ferita della piccola Noemi, colpita da un pallottola che non era per lei ma che si è presa per sbaglio in una piazza che si è trasformata in un recinto da far-west in cui consumare l’ennesima vendetta di Camorra. Ha fatto molto rumore che durante la manifestazione si sia presentato in piazza anche il figlio di un boss di camorre, quel Antonio Piccirillo che senza mezze misure ci ha detto che «la Camorra fa schifo, è sempre stato ignobile. Quello stile di vita non paga».
Giusti e meritati applausi: se saranno i figli in prima linea a rinnegare i padri la battaglia alle mafie sarà molto più semplice e soprattutto simbolicamente più potente. Un figlio che prende la parola per sfidare quella Camorra che in fondo è la sua famiglia è una persona che insegna a non avere paura, che invita tutti a metterci la faccia per sfidare le mafie al di là delle solite manifestazioni contrite che arrivano sempre solo dopo e, soprattutto, mette in grossa difficoltà la credibilità dell’organizzazione che essendo stata tradita dal famigliare di uno dei suoi membri risulta ovviamente molto meno affidabile agli occhi di clienti e fornitori e alleati. Per questo la presenza del figlio di un camorrista è molto di più di una notizia da mettere in pagina nella sezione curiosità ma è un passo fondamentale.

Antonio Piccirillo, con la sua manifestazione di ieri non avrà fatto niente se intorno non troverà uno Stato in grado di difenderlo, di concretizzare il suo dissociarsi dal padre carpendone tutte le informazioni utili a fermarlo

Sia chiaro, niente di nuovo: in Calabria da tempo giudici coraggiosissimi provano ad allontanare i minori dalle famiglie di ‘ndrangheta (che per struttura e per credibilità è molto più solida della camorra e sarà molto più difficile vedere figli di ‘ndranghetisti scendere in piazza) e l’Italia, da tempo, porta l’alto esempio dei testimoni di giustizia (come Lea Garofalo è stata, com’è oggi Piera Aiello o Ignazio Cutrò e moltissimi altri) che hanno deciso di denunciare persone molto vicine a loro interrompendo legami di famigliarità se non addirittura di amicizia.

E qui viene la nota dolente. Antonio Piccirillo, con la sua manifestazione di ieri non avrà fatto niente se intorno non troverà uno Stato in grado di difenderlo, di concretizzare il suo dissociarsi dal padre carpendone tutte le informazioni utili a fermarlo, arrestarlo e interrompere le sue relazioni criminali e invitare gli altri a fare lo stesso.
E qui arriva la seconda nota dolente: la situazione dei testimoni di giustizia in Italia è fallace, in modo sconvolgente. La brama di tagliare scorte ha lasciato a piedi persone che hanno affidato la propria vita (rovinandosela) allo Stato e i buchi del programma di protezione testimoni sono all’ordine del giorno. Lo Stato manda il Piccirillo di turno su tutti i canali televisivi ma fatica, per beghe burocratiche, ad offrigli un’alternativa oltre che un ambiente sicuro. E mettere a rischio i testimoni di giustizia (così come i collaboratori e i dissociati) è il modo migliore per rinforzare le mafie.

Sia chiaro, non stiamo parlando solo di questo governo ma di un problema annoso che ciclicamente riemerge quando ci scappa il morto oppure quando (come troppo spesso succede) alcuni testimoni di giustizia preferiscono uscire dal programma di protezione pur di mantenere intatta almeno un po’ di dignità La stessa Lea Garofalo, diventata icona televisiva prima di essere stata studiata come si dovrebbe, aveva preferito chiedere un prestito all’ex marito mafioso e uscire dal programma di protezione pur di non rimanere prigioniera della burocrazia. Le sue richieste di aiuto erano state recapitate ai più alti membri dello Stato e dell’associazionismo antimafia. E forse su questo converrebbe fermarsi, prima di esultare. E fare qualcosa. Ma per davvero. Per Piccirillo e per noi.

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