Spedizioni letterarieStoria di un dirigibile al Polo Nord (e della sua tragica, ma avventurosa fine)

Gianluca Barbera, infaticabile avventuriero della letteratura italiana contemporanea, narra l’impresa mutata in tragedia di Umberto Nobile nel 1928. A tentare di salvare l’amico-nemico, si mise Roald Amundsen, che lì perse la vita. La letteratura, come sempre, arriva dove la cronaca arretra

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Gianluca Barbera è l’infaticabile avventuriero della letteratura italiana contemporanea. Con energia ferina, ha risvegliato un genere – quello del racconto di imprese straordinarie – in cui siamo stati eccellenti (si pensi a Salgari ma anche a Vittorio G. Rossi). Mentre il suo “Magellano” (Castelvecchi, 2018) continua a mietere successi (lo spettacolo teatrale desunto dal romanzo, con Cochi Ponzoni protagonista, ha esordito il 22 maggio a Milano e ha fatto battere mani e cuori), è in uscita il secondo romanzo ‘magellanico’, dedicato a “Marco Polo”. Il libro sarà pubblico il 30 maggio, nel frattempo Barbera ha scritto, a sgranchire l’istinto, un racconto in cui narra l’impresa mutata in tragedia di Umberto Nobile. Era il 1928. A tentare di salvare l’amico-nemico, come si sa, si mise Roald Amundsen, la star delle esplorazioni polari – e lì morì. La letteratura, come sempre, arriva dove la cronaca arretra.

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Dopo aver diretto le operazioni di carico della enorme croce di quercia benedetta dal papa, il comandante Nobile consegnò il megafono di ottone al fratello, si abbracciarono e finalmente salì il gradino che immetteva alla gondola, subito accolto dalle grida di benvenuto dell’equipaggio: “Viva l’Italia! Viva Nobile!”.

Sorrise imbarazzato, prese in braccio la sua cagnetta Titina, l’accarezzò come per farle coraggio, poi si affacciò dal portellone e fece segno al personale di terra di mollare gli ormeggi. Il primo motorista accese il motore di poppa. Un attimo dopo anche i due motori centrali presero a rombare. Quando l’ultima fune di traino fu liberata, il dirigibile, che fino a quel momento era rimasto sospeso a pochi metri dal suolo innevato, iniziò a sollevarsi.

Da terra una piccola folla – per lo più composta da cronisti, cineoperatori, tecnici e minatori – osservava immobile la sagoma a forma di sigaro del dirigibile Italia allontanarsi nella nebbia che stazionava sopra la Baia del Re.

Quando scomparve alla vista qualcuno si fece il segno della croce e poi tutti tornarono alle proprie occupazioni.

Erano le cinque del mattino di mercoledì 23 maggio 1928 e il sole era già sorto da parecchio sopra l’accampamento minerario di Ny-Ålesund, presso la Baia del Re, alle isole Svalbard, che da poco appartenevano alla Norvegia.

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