Si uniscono in branco, prima per gioco poi per malsano diletto. Seguono il modello delle bande latine, mischiando rap (anche se ultimamente va per la maggiore il surrogato trap) con, molto prima di quanto si possa immaginare, alcol e droghe. Le baby-gang non hanno codici di comportamento, se non uno, la pietra angolare: la violenza è divertimento e il divertimento merita di essere ripreso e pubblicato su tutti i social. Già, violenza e non bullismo. Perché l’efferatezza con cui un branco di 30 ragazzini, di un’età compresa dai 13 ai 18 anni, ha colpito e mandato all’ospedale tre bagnini in un lido di Jesolo lo scorso 30 giugno, deve essere considerata come una deviata evoluzione di quei disturbi di comportamento che spingono alla spacconeria e alla sopraffazione sui più deboli.
Identikit di baby-criminali, capaci di assalire un bar della stazione a Pieve Emanuele, in provincia di Milano, solo per un regolamento di conti con un’altra banda finito con un buco nell’acqua. Episodi che pullulano sulle pagine di cronache, seguiti da quelli più cruenti, dove giovani di neanche 25 anni vengono freddati tra l’indifferenza della movida napoletana.
L’innocenza lontana e la presunzione di essere padroni della piazza, del quartiere e (alcune volte) della città, con una platea infinita che è il web. Secondo l’Osservatorio Nazionale sull’Adolescenza il 6-7% degli under 18 vive esperienze di criminalità collettivo e, dai dati riportati dal Ministero della Giustizia, il trend sembra in ascesa vertiginosa. I ragazzi affidati all’Ufficio di servizio sociale per i minorenni, infatti, sono al 15 giugno 2019 circa 18 mila, contro i 21.268 totali del 2018, e i 20.466 nel 2017. La percentuale vede delinquere maggiormente i minori italiani (13 mila) di quelli stranieri (4.651), con una prevalenza di genere tutta al maschile.
Il numero dei reati commessi da minori e giovani adulti in questa prima parte dell’anno aggrava lo spessore dell’emergenza: sono 46.802 tra omicidi volontari (106), sequestri di persona (173), violenze sessuali (940), spaccio di stupefacenti (5.494) e via dicendo
Se i criteri di collocazione limitano le entrate negli Istituti penali per i minorenni, in favore di comunità pubbliche e private, facendo del modello italiano un esempio virtuoso, il numero dei reati commessi da minori e giovani adulti in questa prima parte dell’anno aggrava lo spessore dell’emergenza: sono 46.802 tra omicidi volontari (106), sequestri di persona (173), violenze sessuali (940), spaccio di stupefacenti (5.494) e via dicendo.
Gli ingressi nelle carceri minorili sono comunque 720, rispetto ai 1.132 del 2018, mentre, secondo il Viminale, sono cresciuti gli omicidi commessi da under 18, passando dal 3% del 2015 al 3,64% del 2017. Viene normale pensare a dati del tutto viziati dalla presenza sul bilanciere della quota partenopea, nelle cui zone, le immagini di Gomorra o de La paranza dei bambini parlano da sé, cresce come una pianta infestante il seme della baby-camorra. Tutto vero, ma nella classifica delle città-nido per giovani criminali spicca su tutti Bologna, poi Roma, Catania, Palermo, Bari e infine Napoli.
Appannaggio di boss mafiosi e componenti della Mara Salvatruch, le baby-gang hanno scimiottano look e comportamenti in una realtà succube della fiction. C’è adrenalina e goliardia nel dare un pugno o nello scippare un anziano, un senso di appartenenza viscerale. E alla fine del misfatto: il branco si stringe, esulta e si abbraccia come dopo un gol.
La scelta di Napoli è stata quella di allegare il problema al dossier Camorra: le sacche di povertà e i figli delle cosiddette “famiglie problematiche” si ritrovano con una pistola in mano e un pacco di contanti in tasca ancor prima di aver finito le scuole medie
La scelta di Napoli, capitale italiana della delinquenza con 163 omicidi o tentati omicidi su oltre un milione e mezzo di abitanti e un tasso di morti violente di 10,43 ogni 100.000 persone, è stata quella di allegare il problema al dossier Camorra: le sacche di povertà e i figli delle cosiddette “famiglie problematiche” si ritrovano con una pistola in mano e un pacco di contanti in tasca ancor prima di aver finito le scuole medie.
Del resto, a distinguerle dalle mafie adulte, le baby-gang non hanno riti di iniziazione ad hoc e prendono vita proprio all’interno di quelle strutture che dovrebbero fare da scudo a certi tipi di realtà. Tutto nasce tra i banchi di scuola: si assapora la fama suscitata nei simili per l’ingiustificata ferocia degli atti di bullismo, per poi, una volta consolidato il cerchio di appartenenza, applicarlo senza limiti alcuni all’esterno.
Non è un caso se gli abbandoni scolastici dei giovani dai 18 ai 24 anni sono superiori di 4 punti percentuale alla media Ue (14% contro il 10,6%), con una propensione più consistente nel Mezzogiorno (1% per quanto riguarda la scuola media, 4.8% per quanto riguarda la scuola superiore). Le regioni come Calabria, Campania, Lazio e Sicilia sono quelle con il numero più alto di minori problematici, le cui storie hanno un epilogo pressoché simile: l’abbandono dello studio è seguito dalla ricerca di un lavoro, fondamentale per i bilanci familiari, il quale spesso e volentieri porta a commettere atti di devianza minorile.
Nuovi affiliati muniti non di armi ma di smartphone: senza remora e con la totale distorsione di quella traccia innocua lasciata dagli intoccabili di “Ci hai rotto papà”. Nessun gioco, nessuna burla; sangue e pugni hanno preso il posto di partitelle sotto casa e ginocchia sbucciate, lo smartphone quello degli abbracci dei compagni e delle strigliate delle madri
La situazione di Bologna, però, dove per esempio il tasso di abbandono scolastico è molto basso, fa luce su una nuova trasformazione del fenomeno: “Oggi non dobbiamo più andare a cercare la violenza dentro condizioni particolarmente svantaggiate o pensare a ragazzi con dei profili a rischio ben evidenti e conclamati”, spiega in un report la dott.ssa Maura Manca, Direttore Responsabile dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza Onlus.
“Troviamo la violenza in quelli che possono essere considerati agli occhi di genitori e insegnanti adolescenti in un certo senso “normali”. Negli ultimi anni, infatti, la devianza minorile ha subito profonde trasformazioni. Apparentemente a questi ragazzi, non manca niente e possono veder soddisfatta ogni loro richiesta, ma manifestano una marcata onnipotenza, non si accontentano e devono cercare nella messa in atto di queste condotte un altro modo di manifestare il proprio potere e nascondere a se stessi il vuoto interiore e il bisogno di riconoscimento”.
In questo capitolo tutto italiano, la situazione degli stranieri lancia tuttavia segnali poco rassicuranti. L’abbandono nella scuola secondaria di I grado corrisponde al 3,3% (contro lo 0,6% degli italiani) e nella scuola secondaria di II grado la percentuale sale addirittura all’11.6% (contro il 3.8%). La dispersione e il complicato monitoraggio rendono i dati deboli, evidenziando una tendenza a delinquere in particolare nei minorenni provenienti da Marocco e Albania, per totale a metà 2019 di 4.651 giovani in stato di fermo contro i 5.522 del 2018.
Nuovi affiliati muniti non di armi ma di smartphone: senza remora e con la totale distorsione di quella traccia innocua lasciata dagli intoccabili di “Ci hai rotto papà”. Nessun gioco, nessuna burla; sangue e pugni hanno preso il posto di partitelle sotto casa e ginocchia sbucciate, lo smartphone quello degli abbracci dei compagni e delle strigliate delle madri. L’intero schema ha fallito in questi ragazzi e non servirebbe a nulla abbassare da 14 a 12 anni la soglia d’imputabilità, come proposto dalla legge del deputato leghista Gianluca Cantalamessa. Un’aridità formativo-educativa scatena “l’effetto branco” nei giovani e fermare tale violenza, spesso, risulta essere impossibile.